Per configurare il delitto di violenza sessuale, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata.
Questo principio è stato ribadito dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 38909, depositata il 24 ottobre 2024, accogliendo il ricorso del Procuratore Generale.
In primo grado, il Tribunale aveva condannato un uomo, a seguito di giudizio abbreviato, per il reato previsto dall'art. 609-bis del codice penale, commesso ai danni della moglie, infliggendo una pena di due anni e due mesi di reclusione. La Corte d'Appello aveva successivamente riformato tale sentenza, assolvendo l'imputato.
Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello ha proposto ricorso in Cassazione contro la sentenza assolutoria, contestandone le argomentazioni. Secondo la Corte territoriale, dalle dichiarazioni della donna non era emerso un esplicito dissenso alla consumazione dei rapporti sessuali, né era stato dimostrato che l'imputato fosse consapevole della contrarietà della moglie ai rapporti intimi.
Il Procuratore ha sostenuto che la decisione della Corte d'Appello non ha tenuto conto dei principi di diritto consolidati dalla Cassazione, in particolare quello secondo cui il dissenso della vittima può essere esplicito o implicito, espresso o tacito, e non richiede necessariamente un'esteriorizzazione attraverso una resistenza attiva. Il consenso manca già quando l'atto sessuale è compiuto approfittando delle condizioni di difficoltà o dello stato di diminuita resistenza della vittima.
Nel caso in esame, il silenzio della donna era dettato dalla paura di subire ulteriori comportamenti violenti e vessatori da parte del coniuge, in un clima familiare caratterizzato da continui abusi fisici e psicologici.
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha riconosciuto che la decisione d'Appello non è conforme ai principi espressi in materia. In particolare, ha ribadito che, per la configurabilità del delitto di violenza sessuale, è sufficiente che la volontà del soggetto passivo sia coartata. Non è richiesto che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale; è sufficiente che il rapporto non voluto dalla vittima sia consumato approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza della persona offesa.
Contrariamente a quanto sostenuto dai giudici d'Appello, il dissenso, elemento costitutivo del reato di violenza sessuale, può essere anche implicito o taciuto. L'errore di fatto sulla sua sussistenza costituisce errore di fatto che deve essere provato dall'imputato qualora non l'abbia percepito al momento della consumazione.
Il fatto che l'imputato abbia creato un clima familiare permeato da continue vessazioni nei confronti della moglie porta a considerare che i rapporti sessuali consumati dalla donna per timore di ulteriori abusi si configurino come violenza sessuale ai sensi dell'art. 609-bis del codice penale, anche in assenza di un dissenso manifesto.
Per questi motivi, la Corte ha annullato la sentenza impugnata, rinviando per un nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello.
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