Quali sono gli effetti della risoluzione per inadempimento nel contratto di vitalizio assistenziale?
Sulla questione è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25094 del 18 settembre 2024.
Com'è noto, con il contratto di vitalizio assistenziale, il vitaliziante si obbliga, in corrispettivo dell'alienazione di un bene, a prestare al vitaliziato, vita natural durante, mantenimento e assistenza. Si tratta, dunque, di un negozio intuitu personae, avente ad oggetto una prestazione infungibile, attraverso cui un soggetto bisognoso di cure può garantirsi assistenza cedendo una sua proprietà o costituendo un'obbligazione di tipo assistenziale a favore del soggetto al quale la proprietà viene trasferita. Di conseguenza, le prestazioni a favore del vitaliziato possono essere eseguite, in mancanza di diversa pattuizione, solo dal vitaliziante contrattualmente individuato, il quale, in caso di suo inadempimento, è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa.
Nel caso di specie, gli ermellini respingevano il ricorso presentato avverso la decisione della Corte d'Appello che aveva dichiarato l'inadempimento dell'obbligo di assistenza, pronunciandosi per la risoluzione di due contratti di mantenimento nei quali la convenuta si era impegnata a prestare assistenza a due coniugi, a fronte della cessione della proprietà di alcuni immobili.
Gli attori contestavano l'inadempimento dell'obbligo di assistenza, chiedendo la condanna alla restituzione dei cespiti ricevuti in forza dei contratti.
Proponeva ricorso per cassazione la convenuta la quale, con il primo ed il secondo motivo, lamentava la violazione degli artt. 1175, 1176, 1218 e 1220 cod. civ., in quanto la Corte d'Appello non avrebbe tenuto in considerazione i comportamenti bizzarri dell'originario attore (l'azione, per i gradi successivi al primo, è stata proseguita dagli eredi!), causa scatenante dell'inadempimento delle prestazioni, e nemmeno avrebbe tenuto in conto della dichiarazione scritta con la quale si era detta disponibile a riprendere l'assistenza, così come previsto nei contratti, qualora le condotte dell'uomo fossero cessate. Pertanto, i due contratti oggetto di causa non avrebbero potuto essere dichiarati risolti per inadempimento dalla vitaliziante, in base alla predetta dichiarazione.
La ricorrente contesta, con il quarto motivo, la violazione dell'art. 167 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente condiviso la statuizione del Tribunale che aveva configurato la domanda della vitaliziante di restituzione delle prestazioni già rese in adempimento dei due contratti di cui è causa, sub specie di domanda riconvenzionale subordinata, considerandola tardiva perché proposta oltre i termini di cui all'art. 167 c.p.c., senza tener conto che la restituzione costituisce conseguenza automatica della risoluzione del rapporto in virtù del quale la prestazione era stata resa.
La Corte ha ritenuto i primi due motivi sollevati inammissibili o, comunque, manifestamente infondati, perché con essi la ricorrente, nel lamentare che la Corte d'Appello avesse ignorato le condotte di prevaricazione poste in essere da uno dei vitalizianti, ha presentato una lettura alternativa del fatto e delle risultanze istruttorie rispetto a quanto stabilito dal giudice di merito, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un'istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, volta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass. SS.UU., sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Neppure può proporsi un apprezzamento diverso delle prove, dovendosi ribadire il principio secondo cui:
"L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata."
Il quarto motivo deve dichiararsi anch'esso inammissibile o comunque manifestamente infondato, perché riguarda la statuizione con la quale la Corte d'Appello, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che la richiesta di restituzione delle prestazioni eseguite dalla vitaliziante costituisse domanda riconvenzionale subordinata, e che essa fosse stata tardivamente proposta oltre, cioè, i termini di cui all'art. 167 c.p.c., contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente secondo cui la restituzione costituisce conseguenza automatica della risoluzione del rapporto in virtù del quale la prestazione era stata resa.
Per la Cassazione, invece, la risoluzione per inadempimento produce un effetto liberatorio ex nunc rispetto alle prestazioni da eseguire, ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto a quelle già eseguite, ma con l'eccezione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, tra i quali si annovera il contratto atipico di vitalizio assistenziale. Sulla base di queste considerazioni, la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
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