Responsabilità del blogger per l'omessa rimozione di commento offensivo

Articolo di Michele Iaselli del 12/12/2022

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Il blogger risponde di diffamazione aggravata se non rimuove un commento offensivo pubblicati sul proprio sito da terzi?

Sulla questione interviene nuovamente la Cassazione con la sentenza n. 45680 depositata il 1° dicembre 2022.

Analizza per noi la pronuncia il Prof. Michele Iaselli.

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La Sezione V della Cassazione penale, con la sentenza in esame, delinea in modo preciso ed inequivocabile le responsabilità del blogger nel caso di messaggi offensivi pubblicati sul proprio blog confermando precedenti posizioni della stessa giurisprudenza di legittimità e chiarendo, inoltre, molti dubbi interpretativi.

La Suprema Corte nel respingere il ricorso presentato da un blogger condannato dalla Corte territoriale di Messina per diffamazione chiarisce che la figura dell'amministratore del blog è da intendersi come soggetto che gestisce un mezzo che consente a terzi di interagire in esso tramite la pubblicazione anche in forma anonima di contenuti, commenti, considerazioni o giudizi e lo stesso blog, pur essendo strumento di informazione non professionale, è idoneo a divulgare quegli stessi contenuti tra un vasto pubblico di utenti, che hanno, per le stesse caratteristiche del mezzo, la possibilità di accedervi liberamente. Su tale premessa fattuale la Corte di merito ha ritenuto di sussumere la condotta contestata all'imputato nel comma 3 dell'art. 595 c.p. sotto la previsione di diffamazione con qualsiasi altro mezzo di pubblicità.

Tale inquadramento giuridico, diversamente da quanto opinato dalla difesa, per la Cassazione appare corretto, corrispondendo ad un consolidato orientamento della giurisprudenza della stessa Corte. Infatti, in linea generale, più pronunzie hanno ritenuto di estendere le ragioni incriminatrici della diffamazione ai contenuti racchiusi in blog o altri strumenti di pubblicità via internet (sez. 5, n. 50187 del 10/5/2017; sez. 5, n. 27675 del 7/6/2019; Sez. 5 Sentenza n. 13979 del 25/01/2021 e da ultimo, per tutte, Sez. 5, n. 13979 del 25/1/2021).

Deve, tuttavia, precisarsi per completezza che i suindicati strumenti non godono delle garanzie riservate alla stampa, trattandosi di forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, come chiarito dalle Sez. U, con sentenza n. 31022 del 29/5/2015, che ha esteso le guarentigie proprie riconosciute alla stampa solo alle testate giornalistiche telematiche.

Sul tema generale - ovvero la responsabilità per le pubblicazioni diffamatorie di soggetti diversi dagli autori dei post o commenti - l'amministratore di un sito internet è stato ritenuto non responsabile ai sensi dell'art. 57 c.p., proprio perché tale norma - come annotato - è applicabile, secondo la già citata pronunzia delle Sezioni Unite, alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook). Questa stessa sezione, con sentenza n. 16751 del 19/2/2018 ha precisato in proposito che il mero ruolo di amministratore di un forum di discussione non determina il concorso nel reato conseguente ai messaggi ad altri materialmente riferibili, in assenza di elementi che denotino la compartecipazione dell'amministrazione all'attività diffamatoria. In senso coerente la Sez. 5 con Sentenza n. 7220 del 12/01/2021 ha ribadito che anche l'amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell'art. 57 c.p., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook), salvo che sussistano elementi che denotino la compartecipazione dell'amministratore alla attività diffamatoria.

Nel caso in esame, tra le varie eccezioni, la difesa osserva che sarebbe errata la motivazione, in quanto aveva giudicato il blogger responsabile, poiché, appresa l'antigiuridicità di un contenuto nello spazio da lui amministrato, non ne aveva disposto la rimozione, ovvero non si era attivato per informare l'autorità competente ad oscurarlo. Si rappresenta, quindi, ex adverso che il blogger non ha titolo per ritenere antigiuridico un determinato contenuto, non può disporre in autonomia l'oscuramento, né può informare l'autorità competente ad oscurarlo.

In proposito la Suprema Corte osserva che il ricorrente solo assertivamente esprime le precedenti proposizioni, mancando di chiarire in base a quale normativa, di qualunque livello, sussisterebbero i citati impedimenti e, sul piano giuridico, non considera quanto chiaramente espresso dalla stessa Corte in una precedente pronunzia che ha riguardato il medesimo imputato, per una condotta sovrapponibile a quella ora oggetto di giudizio. In essa si è, infatti, affermato che il blogger è responsabile per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori. (Sez. 5, Sentenza n. 12546 del 08/11/2018).

Nella pronunzia richiamata ci si è riferiti a più pronunzie della CEDU -in particolare quella sul caso Phil /Svezia (9.3.2017) - dalle quali si è ricavata l'affermazione di esclusione della automatica responsabilità dell'amministratore di un sito per qualsiasi commento scritto da un utente, sempre che, una volta venuto a conoscenza del contenuto diffamatorio del commento, si sia immediatamente ed efficacemente adoperato per rimuoverlo, ricavandone logicamente - con argomentazione a contrario - che il blogger o gestore di sito, può rispondere dei contenuti offensivi pubblicati sul suo mezzo/spazio informatico quando, presa cognizione della lesività dei contenuti, li mantenga consapevolmente.

Si è quindi chiarito che, in assenza di un titolo specifico di imputazione di responsabilità, non potendo applicarsi ai gestori di siti internet, blog et similia una responsabilità ex art. 57 c.p., non essendo equiparabili tali figure ai direttori responsabili dei giornali, l'ascrivibilità del fatto deve essere ricostruita in base alle comuni regole del concorso nel reato, oltre che per attribuzione diretta, qualora l'autore dello scritto denigratorio pubblicato sul blog sia il medesimo gestore.

Infine si precisa che secondo la giurisprudenza di legittimità, l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione. Nel caso di specie la motivazione della Corte di appello appare coerente con questa impostazione, avendo in definitiva opinato che l'epiteto mafioso fosse, ex se e nel contesto di riferimento, gravemente lesivo della reputazione dei destinatari.

Sul punto la stessa sezione ha già ritenuto che la parola "mafioso" assume carattere offensivo e infamante e, laddove comunicata a più persone per definire il comportamento di taluno, in assenza di qualsiasi elemento che ne suffraghi la veridicità, integra il delitto di diffamazione, sostanziandosi nella mera aggressione verbale del soggetto criticato. (Sez. 5 -, Sentenza n. 39047 del 29/05/2019).


Il provvedimento:

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