Diffamazione a mezzo Internet, attenzione alla prescrizione!

Articolo di Michele Iaselli del 06/02/2023

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La Corte di Cassazione sez. V Penale con la sentenza n. 1370 depositata il 16 gennaio 2023 ha chiarito alcuni importanti aspetti procedurali relativi al delitto di diffamazione.

Difatti nel caso di specie ha annullato senza rinvio una sentenza di condanna della Corte territoriale per diffamazione aggravata tramite Internet (blog) perché il reato è estinto per prescrizione.

In effetti proprio recentemente la Suprema Corte ha affermato che il delitto di diffamazione realizzato tramite il web ha natura di reato istantaneo di evento, che si consuma nel momento in cui la frase o l'immagine lesiva diventano fruibili da parte di terzi, con la conseguenza che da quel momento inizia a decorrere il termine di prescrizione del reato (Sez. 5, n. 24585 del 14/03/2022).

E' stato, al riguardo, spiegato che, nell'ipotesi in cui la condotta offensiva dell'altrui reputazione si concretizzi nella diffusione di scritti o di filmati attraverso la rete web di internet, la consumazione del delitto di cui all'art. 595 c.p. viene a coincidere con l'inserimento nel web del documento diffamatorio, di modo che da tale momento, ai sensi dell'art. 158, comma 1, c.p., inizia a decorrere il temine di prescrizione del reato: ciò perché la diffamazione, che è reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato (Sez. 5, n. 23624 del 27/04/2012; Sez. 5, n. 25875 del 21/06/2006).

Si tratta di un orientamento formatosi in riferimento al tema della tempestività della querela, posto che la decorrenza del termine di tre mesi per la proposizione della stessa presuppone necessariamente che il reato si sia perfezionato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva (Sez. 5, n. 46485 del 20/06/2014); donde, è stato enunciato il principio di diritto secondo il quale, ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento, in assenza di prova contraria da parte della persona offesa, ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web", atteso che l'interessato, normalmente, ha notizia del fatto commesso mediante la "rete" accedendo alla stessa direttamente o attraverso terzi che in tal modo ne siano venuti a conoscenza (Sez. 5, n. 22787 del 30/04/2021; Sez. 5, n. 38099 del 29/05/2015).

In conclusione, occorre ribadire che, in virtù della natura di reato istantaneo di evento che è propria anche della fattispecie di diffamazione realizzata tramite Intemet, la stessa si consuma nel momento in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web" perché è in quel momento che queste diventano fruibili da parte dei terzi, essendo inserite in un ambiente comunicativo per sua natura destinato ad essere normalmente visionato da più persone (Sez. 5, n. 3963 del 06/07/2015), senza che abbia rilievo il prolungarsi della lesione del bene giuridico protetto dalla norma, trattandosi di evenienza che non incide sulla struttura del reato, trasformandolo in reato permanente.

Ebbene proprio alla stregua di tali indicazioni direttive, nel caso di specie, essendosi la diffamazione in danno della parte offesa consumata in epoca prossima al 12 dicembre 2009, ossia allorché questi ebbe contezza del commento offensivo della sua reputazione postato sul blog "(Omissis)", il delitto oggetto di contestazione corrispondente esclusivamente al fatto di cui alla querela in pari data - si è estinto per prescrizione in epoca prossima al 12 giugno 2017, quindi ben prima del 17 maggio 2019, data della pronuncia della sentenza di primo grado.

In merito si ricorda che le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 39614 del 28/04/2022, hanno statuito, con principio certamente valevole per ogni giudizio di impugnazione, in tema di decisione sugli effetti civili ex art. 578, comma 1, c.p.p., che nel momento in cui il giudice di appello, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione del reato, pervenga alla conclusione - sia sulla base della semplice "constatazione" di un errore nel quale il giudice di prime cure sia incorso, sia per effetto di "valutazioni" difformi - che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute: ciò perché, è stato spiegato, "l'inapplicabilità dell'art. 578 c.p.p. a tutte le ipotesi in cui l'estinzione del reato si collochi "a monte" della sentenza di condanna in primo grado comporta che, nel caso di specie, dev'essere disposta la revoca delle statuizioni civili precedentemente adottate, con conseguente esclusione di ogni valutazione del giudice (penale) dell'impugnazione in ordine alla responsabilità dell'imputato". Tra l'altro, come ricordato dallo stesso diritto vivente, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 182 del 30 luglio 2021, ha osservato che "(i)mprescindibile condizione perché il giudice dell'impugnazione possa decidere, non ostante il proscioglimento dell'imputato, sugli interessi civili è dunque, anzitutto, l'emissione di una valida condanna nel grado di giudizio immediatamente precedente, impugnata dall'imputato o dal pubblico ministero, alla quale sia sopravvenuta una causa estintiva del reato".

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