Diritto d'autore: doppio binario sanzionatorio e violazione del ne bis in idem

Articolo di Anna Larussa del 11/07/2022

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Il sistema di “doppio binario” sanzionatorio, in cui le medesime condotte illecite costituiscono, al tempo stesso, delitti e illeciti amministrativi, viola il principio di ne bis in idem qualora ricorrano i c.d. criteri "Engel" definiti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

È il tema di cui si è occupata la Corte costituzionale, con la sentenza 16 giugno 2022 n. 149, che ha confrontato due fattispecie (penale e amministrativa) in materia di tutela del diritto d’autore (Legge n. 633 del 1941).

L'interesante pronuncia viene analizzata dall'avv. Anna Larussa.  

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E' illegittimo l'art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge.

Il  fatto

La pronuncia che si annota scaturisce dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 649c.p.p., che il Tribunale penale di Verona aveva censurato«nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato, al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei relativi protocolli», in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

In particolare, Il rimettente, investito dell’opposizione a un decreto penale di condanna alla pena della multa pari a 8.100 euro, doveva giudicare della responsabilità dell'imputato per il reato previsto dall’art. 171-ter, primo comma, lettera b), della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), per avere, a fini di lucro, detenuto per la vendita e riprodotto abusivamente, presso la copisteria di cui era titolare, opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito.

Per la medesima condotta, l’imputato era già stato colpito, ai sensi dell’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941, da sanzione amministrativa ormai definitiva.

Il rimettente rilevava in particolare che, in base alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, Crande camera, del 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, e della Corte di giustizia dell’Unione europea, grande sezione, del 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci, la sottoposizione di un imputato a un processo penale per il medesimo fatto per cui sia già stato definitivamente sottoposto a sanzione amministrativa di carattere punitivo integra, secondo i criteri Engel, una violazione del ne bis in idem, salvo che tra i due procedimenti che sanzionano il medesimo fatto sussista un legame materiale e temporale sufficientemente stretto; tale legame dovrebbe essere ravvisato:

  • quando le due sanzioni perseguano scopi diversi e complementari;
  • quando la duplicazione dei procedimenti sia prevedibile per l’interessato;
  • quando esista una coordinazione tra i due procedimenti;
  • quando il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulti eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito.

Nel caso in esame, ad avviso del Tribunale penale di Verona sarebbe indubbia la natura punitiva, secondo i “criteri Engel”, della sanzione amministrativa contemplata dall’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941, il cui importo viene determinato quale multiplo del prezzo di mercato di ciascuna opera indebitamente riprodotta, oppure, in caso di non determinabilità del prezzo dell’opera, in una somma da 103 a 1.032 euro per ciascuna violazione.

Identico sarebbe poi il fatto storico alla base dei due procedimenti, amministrativo e penale, atteso che, da un lato, l’art. 174-bis si applica espressamente alla «violazione delle disposizioni previste nella presente sezione», ossia della Sezione II (Difese e sanzioni penali) del Capo III (Difesa e sanzioni giudiziarie) del Titolo III (Disposizioni comuni) della legge n. 633 del 1941; Sezione nella quale è descritta la condotta punita dall’art. 171-ter, primo comma, lettera b). Dall’altro lato, nel caso specifico, l'identità del fatto emergeva dal raffronto tra il capo di imputazione elevato nei confronti dell'imputato e il verbale di accertamento notificatogli  .

Non sarebbero inoltre previsti meccanismi di raccordo tra i procedimenti amministrativo e penale e nel caso di specie, difettava la connessione temporale tra il procedimento amministrativo e quello penale, atteso che quest'ultimo era iniziato  a distanza di oltre cinque anni dalla sopravvenuta irrevocabilità della sanzione amministrativa.

A fronte di tale quadro, il rimettente individuava nell'art. 649 c.p.p. l’unica norma astrattamente in grado di «neutralizzare» la duplicazione dei giudizi.

L'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri,  chiedeva che la questione fosse dichiarata manifestamente inammissibile o infondata.

La normativa interessata

La disciplina della legge n. 633 del 1941 in materia di tutela del diritto d’autore è interamente costruita, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, attorno a un sistema di “doppio binario” sanzionatorio, in cui le medesime condotte illecite in molti casi costituiscono, al tempo stesso, delitti e illeciti amministrativi.

In particolare, l’art. 171-ter della legge n. 633 del 1941 prevede oggi ai commi 1 e 2 una vasta gamma di fattispecie delittuose, punite con la pena della reclusione (da sei mesi a tre anni per le ipotesi del primo comma, e da uno a quattro anni per quelle del secondo comma) congiunta con la multa da euro 2.582 a euro 15.493.

Il parallelo art. 174-bis della medesima legge n. 633 del 1941, introdotto dall’art. 8, comma 1, della legge 18 agosto 2000, n. 248 (Nuove norme di tutela del diritto di autore), dispone che, «[f]erme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente sezione» – incluse, dunque, quelle di cui al precedente art. 171-ter – «è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00. Se il prezzo non è facilmente determinabile, la violazione è punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto».

Le due disposizioni – l’art. 171-ter e l’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941 – sanzionano dunque esattamente le medesime condotte materiali; e l’art. 174-bis stabilisce espressamente che le sanzioni amministrative da esso previste si applichino «[f]erme le sanzioni penali», indicando così l’inequivoca volontà del legislatore di cumulare in capo al medesimo trasgressore le due tipologie di sanzioni (così anche Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 18 dicembre 2017, n. 30319).

Un simile trattamento sanzionatorio sarebbe, come sostenuto dalla difesa dell'imputato,  eccessivo e contrario al principio di proporzionalità delle sanzioni contenuto nell’art. 8 della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione e risultante anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui «qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva, e […] gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti» (cfr. sentenza 25 febbraio 2010, in causa C-562/08, Müller Fleisch GmbH, paragrafo 43).

Tale principio di proporzionalità sarebbe alla base della scelta operata dalla legge n. 248 del 2000 di non inasprire le sanzioni penali per le violazioni del diritto d’autore previste dalla legge n. 633 del 1941; ma sarebbe stato al contempo tradito dallo stesso legislatore, nell’introdurre, con la medesima legge n. 248 del 2000, sanzioni amministrative aggiuntive rispetto a quelle penali.

Ne bis in idem convenzionale

A  norma dell'art. 4 Prot. 7 della Cedu “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”. Questa norma enuncia espressamente il c.d ne bis in idem convenzionale, la cui operatività è subordinata al ricorrere dei seguenti presupposti:

– la sussistenza di uno stesso fatto materiale, indipendentemente dalla diversa qualificazione giuridica (Corte EDU, grande camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia);

– la sussistenza di una previa decisione, indifferentemente di condanna o di assoluzione, che concerna il merito della responsabilità penale dell’imputato e sia divenuta irrevocabile (Corte EDU, sentenza Zolotoukhine);

– la sussistenza di un secondo procedimento o processo di carattere penale per quel medesimo fatto, con la precisazione che, per quanto la lettera dell’art. 4 Prot. n. 7 CEDU enunci un divieto di «perseguire» o «punire» nuovamente taluno dell’ambito di «procedimenti penali» per un «reato», la costante giurisprudenza della Corte di Strasburgo afferma che tali concetti devono essere interpretati alla luce dei noti criteri Engel, da tempo utilizzati dalla Corte EDU per fissare il perimetro applicativo della “materia penale” ai fini degli artt. 6 e 7 della Convenzione e pertanto decisiva non è la qualificazione della procedura e della sanzione come “penale” da parte dell’ordinamento nazionale, ma la sua natura sostanzialmente “punitiva”.

D’altra parte, la Corte EDU afferma che non necessariamente l’inizio o la prosecuzione di un secondo procedimento di carattere sostanzialmente punitivo in relazione a un fatto per il quale una persona sia già stata giudicata in via definitiva nell’ambito di un diverso procedimento, pure di carattere sostanzialmente punitivo, dà luogo a una violazione del ne bis in idem. Una tale violazione deve, infatti, essere esclusa allorché tra i due procedimenti vi sia una «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta», così che essi rappresentino una risposta coerente e sostanzialmente unitaria al medesimo illecito (Corte EDU, sentenza A e B, paragrafo 130).

Si tratta di comprendere se nel caso del doppio binario sanzionatorio previsto in materia di diritto d'autore sia ravvisabile, tra i procedimenti penale e amministrativo che possono scaturire dall'integrazione delle condotte sanzionate, una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta sì da escludere la violazione del ne bis in idem convenzionale; e vedremo nel paragrafo seguente che la Consulta lo ha escluso.

La Sentenza

Preliminarmente, la Corte ha precisato i confini del petitum formulato dal giudice a quo specificando come, nonostante il dispositivo dell’ordinanza di rimessione formulasse la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. con riferimento a tutti i casi in cui, con riguardo ad uno stesso fatto, «sia stata già irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della [CEDU] e dei relativi protocolli», l’intero sviluppo argomentativo della parte motiva dell’ordinanza evidenziava che il rimettente avesse inteso censurare l’art. 649 c.p.p. con specifico riferimento al regime di “doppio binario” sanzionatorio previsto in materia di tutela del diritto d’autore.

Così circoscritta la questione, la Corte l'ha ritenuta fondata per le ragioni che vedremo di qui a breve, sia pur sollecitando un intervento del legislatore diretto a  rimodulare la disciplina in esame in modo da assicurare un adeguato coordinamento tra le sue previsioni procedimentali e sanzionatorie, nel quadro di un’auspicabile rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio.

Ha difatti ricordato la Corte come la garanzia del ne bis in idem, quale diritto fondamentale della persona, esplicitata, a livello internazionale, dall’art. 4,paragrafo 1, Prot. n. 7 CEDU, miri a tutelare l’imputato non solo contro la prospettiva dell’inflizione di una seconda pena, ma, ancor prima, contro la prospettiva di subire un secondo processo per il medesimo fatto: e ciò a prescindere dall’esito del primo processo, in quanto la ratio primaria della garanzia è quella di evitare l’ulteriore sofferenza, e i costi economici, determinati da un nuovo processo in relazione a fatti per i quali quella persona sia già stata giudicata.

Il ne bis in idem non si oppone, invece, alla possibilità che l’imputato sia sottoposto, in esito a un medesimo procedimento, a due o più sanzioni distinte per il medesimo fatto nel rispetto del principio proporzionalità della pena (previsto, nell'ordinamento interno, dagli artt. 3 e 27 Cost, e nell'ordinamento convenzionale dall'art. 49, paragrafo 3, CDFUE).

Fatte queste premesse, la Consulta ha rilevato come la disciplina del diritto d'autore crei strutturalmente le condizioni perché uno stesso soggetto possa essere sanzionato, in sede penale e amministrativa, per la medesima condotta, in quanto il mero richiamo compiuto dall’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941 alle «violazioni previste nella presente sezione», ivi incluse quelle contemplate come delitto dall’art. 171-ter, rende gli ambiti dei due illeciti  in larga misura sovrapponibili.

Ed invero, la previsione di due diverse tipologie di sanzioni (l’una penale, l’altra amministrativa) per le medesime condotte comporta la prospettiva di più procedimenti sanzionatori che si sviluppano parallelamente o consecutivamente nei confronti del loro autore, di tal che è fisiologico che oveuno di tali procedimenti giunga a conclusione attraverso l’adozione di una decisione definitiva sulla responsabilità dell’interessato, il procedimento ancora aperto, o ancora da iniziarsi, divenga un bis rispetto al procedimento già concluso.

A ciò si aggiunga che la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941 avrebbe senz'altro natura punitiva alla luce dei criteri Engel in quanto determinata di regola assumendo come base del calcolo il doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, moltiplicato per il numero di esemplari abusivamente duplicati o replicati, in modo da infliggere al trasgressore un sacrificio economico superiore al profitto ricavato dall’illecito.

Orbene, un sistema di “doppio binario” così congegnato dal legislatore non risulterebbe di per sé incompatibile con l’art. 4 Prot. n. 7 CEDU e, conseguentemente, con l’art. 117, primo comma, Cost. se i due procedimenti finalizzati all’irrogazione delle sanzioni, previste rispettivamente dagli artt. 171-ter e 174-bis della legge n. 633 del 1941, potessero ritenersi avvinti da una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, così da apparire come parti di un unico sistema integrato di tutela dei medesimi beni giuridici, insuscettibile di produrre effetti sproporzionati sui diritti fondamentali dell’interessato.

Proprio al riguardo, la Consulta ha rilevato che, se per un verso non c’è dubbio che il sistema normativo delineato dalla legge n. 633 del 1941 consenta al destinatario dei suoi precetti di prevedere la possibilità di essere soggetto a due procedimenti distinti, e conseguentemente a due distinte classi di sanzioni, tuttavia, non può per altro verso ritenersi che i due procedimenti perseguano scopi complementari, o concernano diversi aspetti del comportamento illecito: lo scopo della sanzione amministrativa, emergente dai lavori preparatori della legge n. 248 del 2000, che introdusse l’art. 174-bis nella legge n. 633 del 1941, è infatti quello di potenziare l’efficacia generalpreventiva dei divieti già contenuti nella legge, compresi quelli per i quali erano già previste sanzioni penali.

Ancora, quanto alla condotta sanzionata, i fatti puniti dagli artt. 171-ter e 174-bis della legge n. 633 del 1941 sono esattamente i medesimi.

Il sistema normativo non prevede, inoltre, alcun meccanismo atto a evitare duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove, e ad assicurare una ragionevole coordinazione temporale dei procedimenti; né prevede, infine, alcun meccanismo che consenta al giudice penale (ovvero all’autorità amministrativa in caso di formazione anticipata del giudicato penale) di tenere conto della sanzione già irrogata ai fini della commisurazione della pena, in modo da evitare che una medesima condotta sia punita in modo sproporzionato.

Da tutto ciò discende che i due procedimenti originano dalla medesima condotta, ma seguono poi percorsi autonomi, che non si intersecano né si coordinano reciprocamente in alcun modo, creando così inevitabilmente le condizioni per il verificarsi di violazioni sistemiche del diritto al ne bis in idem; violazionicui la Corte ha posto parzialmente rimedio dichiarando l'art. 649 c.p.p.  costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge n. 633 del 1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge.

Nella consapevolezza, tuttavia che tale rimedio non è idoneo a evitare tutte le possibili violazioni del diritto al ne bis in idem fisiologicamente create dalla legge n. 633 del 1941 e a conferire razionalità complessiva al sistema, la Corte, come si anticipava, ha invitato il Legislatore a rimodulare la disciplina in esame in modo da assicurare un adeguato coordinamento tra le sue previsioni procedimentali e sanzionatorie, nel quadro di un’auspicabile rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU, dalla Corte di giustizia e da questa stessa Corte.

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