L'Egitto non è sicuro, il Tribunale di Catania non convalida il trattenimento

Articolo del 05/11/2024

L'Egitto non è un paese sicuro!

È quanto affermato dal Tribunale di Catania, con decreto del 4 novembre 2024, che non ha convalidato il trattenimento di un migrante proveniente dal paese mediorientale, seguendo la scia delle recenti decisioni del Tribunale di Roma.

Nel caso di specie, un cittadino egiziano, sbarcato a Pozzallo e richiedente protezione internazionale, era stato trattenuto secondo la procedura accelerata prevista per i migranti provenienti da Paesi di origine sicuri. L'Egitto, infatti, è stato inserito in tale elenco dal Decreto-legge n. 158 del 2024, che ha modificato l'articolo 2-bis del Decreto legislativo n. 25/2008.

Il Quadro Normativo

La normativa italiana ed europea prevede che un Paese possa essere designato come Paese di origine sicuro se rispetta specifici criteri stabiliti dalla Direttiva 2013/32/UE:

  • Assenza di persecuzioni generalizzate come definite nell'articolo 9 della Direttiva 2011/95/UE.
  • Rispetto dei diritti umani fondamentali, evitando tortura e trattamenti inumani o degradanti.
  • Protezione giuridica efficace contro le violazioni dei diritti, inclusa la possibilità di ricorsi effettivi.

Le Evidenze dal Paese di Origine

Le fonti di informazione sul Paese di origine (COI) hanno evidenziato che in Egitto si verificano gravi e costanti violazioni dei diritti umani:

  • Pena di morte: L'Egitto è tra i Paesi con il più alto numero di esecuzioni. Secondo Amnesty International, le condanne a morte nel 2022 sono aumentate rispetto all'anno precedente.
  • Torture e maltrattamenti: Uso sistematico della tortura da parte delle forze dell'ordine, spesso diretta verso oppositori politici e critici del governo.
  • Violazioni della libertà di espressione: Arresti arbitrari di giornalisti, attivisti e avvocati per i diritti umani. Restrizioni severe alla libertà di parola e di stampa.
  • Discriminazioni contro le minoranze:
    • Persone LGBT: Persecuzione e arresti basati su accuse di "dissolutezza" o "violazione dei valori familiari".
    • Libertà religiosa: Limitazioni nella pratica di religioni minoritarie e casi di blasfemia perseguiti penalmente.
  • Violazioni dei diritti delle donne e dei minori:
    • Discriminazioni di genere: Differenze di trattamento legale e sociale tra uomini e donne.
    • Violenza domestica: Mancata criminalizzazione esplicita dello stupro coniugale e clemenza per i cosiddetti "crimini d'onore".

La Decisione del Tribunale

Il giudice ha stabilito che, alla luce di queste gravi violazioni, l'Egitto non può essere considerato un Paese sicuro ai sensi del diritto dell'Unione Europea. In particolare:

  • Violazioni generalizzate: Le violazioni dei diritti umani sono generalizzate e costanti, colpendo ampie e indefinite categorie di persone.
  • Incompatibilità con il diritto UE: La designazione dell'Egitto come Paese sicuro contrasta con i criteri stabiliti dalla Direttiva 2013/32/UE e interpretati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
  • Non conformità della normativa nazionale: Il Decreto-legge n. 158 del 2024 non può presumere la sicurezza dell'Egitto per il singolo richiedente, in presenza di evidenti rischi di violazioni dei diritti fondamentali.

Di conseguenza, il trattenimento del migrante è stato ritenuto non conforme alla legge, disponendo il suo immediato rilascio.


Provvedimenti correlati:

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TRIBUNALE Dl CATANIA

Sezione Immigrazione


Decreto 4 novembre 2024

Il giudice Massimo Escher Presidente della sezione specializzata protezione internazionale, giudice designato per la convalida;
Vista la richiesta di convalida del provvedimento di trattenimento emesso ai sensi dell'art. 6 bis del D. Lgs. 142/2015 dal Questore della Provincia di Ragusa, depositata il 2.11.2024 e
notificata   rappresentato e difeso dall'avv. Rosa Emanuela Lo Faro, entrato nel territorio dello Stato in data dalla frontiera di Pozzallo.

OSSERVA

Il trattenimento in esame concerne un cittadino straniero che ha presentato domanda di  riconoscimento della protezione internazionale a Pozzallo individuata quale zona di  frontiera dal decreto del Ministro dell'Interno del 05/08/2019 e che proviene dall'Egitto, Paese designato come sicuro dal D.L. 23.10.2024 n. 158 che ha cosi modificato l'articolo 2bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25: «l. In applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, sono considerati Paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d 'Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.».

Trattasi, pertanto, dell'ipotesi prevista dal combinato disposto degli artt. 6-bis D. Lgs. n.142/2015 e 28-bis, comma 2, lett-b-bis), D. Lgs. n. 25/2008, ossia del trattenimento di richiedente protezione internazionale proveniente da paese terzo qualificato sicuro e la cui domanda sia stata incanalata nella procedura di accelerata.

Ebbene, una normativa speciale per gli stranieri provenienti da paese terzo sicuro è stata introdotta per la prima volta dalla direttiva 2005/85/CE, che assume la sicurezza di un paese terzo come criterio fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di asilo.

Come si evince sia dal considerando n. 17 sia dall'art. 31 della direttiva, l'introduzione di questo istituto ha consentito agli Stati membri di designare, a certe condizioni, come sicuro un paese terzo e presumerne la sicurezza per uno specifico richiedente (e di riflesso l'infondatezza della sua domanda di protezione internazionale), a meno che quest'ultimo "non adduca controindicazioni fondate" (considerando n. 17), cioè non invochi "gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di rifugiato a norma della direttiva 2004/83/CF' (art. 31).

Sulla stessa scia la direttiva 2013/32/UE del 26 giugno 2013 (C.d. direttiva procedure recast), che, regolando le procedure comuni di riconoscimento o revoca dello status di protezione internazionale, attribuisce la facoltà per gli Stati membri di mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale (e ciò in mancanza di una lista comune). Il riferimento è all'art. 37, par 1, della direttiva 2013/32/UE, che sul punto richiama l'Allegato T', intitolato "Designazione dei paesi di origine sicuri ai fini dell 'articolo 37, paragrafo T', laddove prevede che:

 'Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico,  3 dell 'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell 'articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre  forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l'altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:

a)    le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate;
b)    il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell 'articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea;
c)    il rispetto del principio di << non-refoulement>> conformemente alla convenzione di Ginevra;
d)    un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà. "

Quali siano le fonti in base alle quali operare la detta qualificazione è poi detto dal paragrafo 3: "La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall'EASO, dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti". Il tutto tenendo conto dell'obbligo per gli Stati membri di riesame periodico della situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri (paragrafo 2). Obbligo, quest'ultimo, che va letto in uno al Considerando 48 della direttiva 2013/32/UE, laddove si stabilisce che "ogni qualvolta gli Stati membri vengano a conoscenza di un cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani in un paese designato da essi come sicuro ", dovrebbero compiere quanto prima un riesame di tale situazione e, ove necessario, rivedere la designazione di tale paese come sicuro".
 
Ciò posto, occorre chiedersi se ed in che misura rilevi nella presente procedura di convalida 3 di trattenimento il citato D.L. 23.10.2024 laddove si è qualificato l'Egitto "paese sicuro", includendolo in una lista che non prevede alcuna eccenone. né per aree territoriali né per caratteristiche personali.

Ebbene, al riguardo va preliminarmente considerato che tale qualificazione non esime il giudice dall'obbligo di verifica della compatibilità di tale designazione con il diritto dell'Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea nella sentenza del 4 ottobre 2024 della Grande Camera, nel procedimento C-406/2022, avviato con rinvio pregiudiziale dal Tribunale di Brno (Repubblica ceca) e dalla Corte costituzionale (da ultimo Corte Costituzionale - 12/02/2024, n. 15). Al riguardo, va considerato che con il terzo quesito il giudice ceco ha chiesto alla Corte di giustizia dell'Unione europea di chiarire se l'articolo 46, paragrafo 3, della "Direttiva procedure" (Direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale -rifusione-), letto alla luce dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ("La Carta"), "debba essere interpretato nel senso che un giudice, quando è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell'ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti di paesi terzi designati, conformemente all'articolo 37 di tale direttiva, come paesi di origine sicuri, deve, nell 'ambito dell 'esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, rilevare una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all 'allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente invocata a sostegno di detto ricorso.

II quesito del giudice ceco non è limitato alla questione specifica oggetto del quesito n. 2 sottoposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea, relativo alla compatibilità con la "Direttiva Procedure" della designazione di Paese di origine sicuro con eccezioni di porzioni territoriali -considerate -"non sicure"- , ma riguarda più in generale l'obbligo del giudice del "rimedio effettivo" (articolo 46 della Direttiva Procedure letto alla luce dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) di rilevare una violazione delle condizioni sostanziali (e quindi di merito) per la designazione di un Paese di origine sicuro,  contenute nell' Allegato I alla direttiva sopra citata.

Ebbene, nel rispondere al terzo quesito, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha chiarito che il giudice ha l'obbligo di effettuare, anche d'ufficio, quantomeno nei casi in cui la provenienza da Paese di origine sicuro integri la ragione esclusiva dell'adozione della procedura accelerata, la compatibilità della designazione con le condizioni stabilite dalla Direttiva Procedure per la designazione stessa. La risposta della Corte, contenuta nel paragrafo 98 e poi riprodotta nel terzo capo della decisione è tranciante: "Da tutte le considerazioni che precedono risulta che occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l'articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell 'articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che, quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell'ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all 'articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell 'ambito dell'esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamentefatta valere a sostegno di tale ricorso".

La ragione dell'obbligo di verifica in capo al giudice, nel contesto dell'esame completo ed ex nunc che egli è tenuto a condurre per assicurare un rimedio effettivo al richiedente protezione, va ricercata negli effetti limitativi dei diritti del richiedente, determinati dall'adozione di una procedura accelerata (se del caso di frontiera) per Paese di origine sicuro. Ciò si ricava ancora una volta dalle chiare parole della Corte di giustizia dell'Unione europea che, al paragrafo 70 della sentenza, ha evidenziato che la designazione di un Paese come di "origine sicuro" determina "un regime particolare di esame avente carattere di deroga". Tale regime è individuato nei paragrafi 47 e 50 della sentenza (richiamati dal 70) nei quali la Corte ha rimarcato appunto le conseguenze di minor difesa che derivano al richiedente dall'adozione della procedura accelerata in conseguenza della designazione di un Paese di "origine sicuro" e che consistono nella previsione di una "forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel paese di origine, la quale può essere confutata dal  richiedente se adduce motivi imperativi attinenti alla sua situazione particolare" (paragrafo 47) e nel fatto che, in caso di rigetto del ricorso, il richiedente "può non essere autorizzato a  3 rimanere nel territorio dello Stato membro in cui è stata presentata tale domanda in attesa dell'esito del suo ricorso" (paragrafo). A ciò si aggiunga, nel sistema italiano, il tempo ridotto per preparare le proprie difese e, nel caso di procedure di frontiera accompagnate da trattenimento, addirittura la privazione della libertà personale.

Questo regime particolare di esame avente carattere di deroga giustifica dunque il controllo da parte del giudice della correttezza della designazione, perché, precisa la Corte di giustizia al paragrafo 90, "l 'esame completo ed ex nunc incombente al giudice non deve necessariamente vertere sull 'esame nel merito delle esigenze di protezione internazionale e (...) può dunque riguardare gli aspetti procedurali di una domanda di protezione internazionale (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C 585/16, EU:C:2018:584, punto 115) " e (paragrafo 91) "la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro rientra in tali aspetti procedurali delle domande di protezione internazionale in quanto, alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, siffatta designazione è atta a comportare ripercussioni sulla procedura di esame vertente su domande del genere".

Avendo la Corte di giustizia dell'Unione europea chiarito che il giudice ha l'obbligo di effettuare, anche d'ufficio, quantomeno la compatibilità della designazione con le condizioni stabilite dalla Direttiva Procedure per la designazione stessa sentenza della Corte di Giustizia citata risulta incontrovertibile che la normativa europea di cui si tratta sia una norma ad efficacia diretta. In questo senso, peraltro, chiare sono le affermazioni della sentenza ("Occorre, inoltre, ricordare che dalla giurisprudenza della Corte risulta che le caratteristiche del ricorso previsto all 'articolo 46 della direttiva 2013/32 devono essere determinate conformemente all 'articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva. Ebbene, l'articolo 47 della Carta è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell 'Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale. La conclusione non può, pertanto, essere diversa con riguardo all'articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell'articolo 47 della Carta (v., in tal  senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C-556/17, EU:C:2019:626, punti 55 e 56, nonché giurisprudenza ivi citata).

Posto che il giudice è tenuto ad operare una verifica di compatibilità della designazione con norme ad effetto diretto dell'UE, tale verifica nel caso in esame non può che essere negativa e ciò tenuto conto delle COI relative all'Egitto lette in relazione al principio di diritto enunciato dalla Corte di giustizia con la citata sentenza.

Invero nelle COI (tali dovendosi ritenere quello di cui appunto n. MAECI 1311 06/05/2024 0056895-1 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il quale sono state trasmesse le schede contenenti le determinazioni relativamente ai paesi di origine sicuri) non superate da altre diverse informazioni, nulla richiamando al riguardo il D.L. 24/158, a proposito del l'Egitto si evidenziano una serie di gravi criticità connesse al rispetto dei diritti umani, in particolare:
-    in ordine al diritto alla vita: "I 'Egitto è uno dei Paesi nei quali si pratica la pena di morte e nel quale il numero delle esecuzioni è fra i più alti. Secondo il rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo nel 2022, le esecuzioni in Egitto nel 2022 sarebbero diminuite rispetto al 2021 (da 83 a 24), ma le condanne a morte sarebbero aumentate rispetto al 2021 (da 356 a 538). Sempre secondo il rapporto di Amnesty International, le esecuzioni capitali sarebbero effettuate tramite impiccagione. Il 3 aprile 2024 un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha pubblicato un comunicato, con il quale esprime preoccupazione per le sentenze a morte comminate a sette individui accusati di crimini legati al terrorismo. Ad avviso degli esperti ONU, in questi casi non sarebbero stati rispettati i principi del giusto processo e sarebbero state commesse violazioni dei diritti umani, tra cui tortura e confessioniforzate";
-    in ordine alle restrizioni alla libertà personale e alla libertà di parola e di stampa: "in base a numerose segnalazioni di organizzazioni locali e internazionali, in Egitto si sono verificati anche recentemente numerosi casi di detenzioni arbitrarie e arresti senza mandato da parte delle forze di polizia egiziane. È comune anche la pratica della "detenzione preventiva " ("pre-trial detention ") che viene attuata nel corso del processo a carico dell'imputato e dunque prima della pronuncia della sentenza. In base alla legge egiziana, in questi casi, la detenzione non può durare oltre i due anni. Secondo un report del 2022 citato dal Dipartimento di Stato USA, tra il 2018 e il 2021 in Egitto sarebbero  state detenute oltre I. 700 persone in "pre-trial detention " per periodi invero superiori ai  due anni. Non sono infrequenti in Egitto anche le "sparizioni forzate ". Nell'ultimo rapporto 
del Comitato sulla tortura delle Nazioni Unite, che ha affrontato anche la situazione in Egitto, si esprime preoccupazione per il fatto che la legislazione anti-terrorismo contenga definizioni molto vaghe delle fattispecie legate al terrorismo, che sono usate per "mettere a tacere" i critici del Governo. II Comitato ha espresso preoccupazione per denunce di arresti arbitrari, detenzioni illegali, maltrattamenti, sparizioni forzate, mancanza di garanzie processuali e del giusto processo. Si richiama il Comitato per i Diritti umani delle Nazioni Unite che riferisce che le leggi penali sono utilizzate per reprimere l'attività degli utenti dei social media percepiti come critici nei confronti del regime e per criminalizzare attività connotate come 'violazione della morale pubblica ' e 'minaccia dei valori familiari ',  quest'ultimo in particolare è il caso di donne e ragazze che avevano pubblicato propri video e fotografie dove ballavano e cantavano";
-    in ordine al diritto a un equo processo: "sono stati segnalati episodi di violazioni, in particolare nei confronti di avvocati per i diritti umani, attivisti per la difesa dei diritti,
giornalisti e politici di opposizione. E inoltre frequente anche il ricorso a tribunali militari, i cui poteri sono stati estesi da ultimo nel gennaio 2024";
-    in ordine alla libertà di religione: "La Commissione degli Stati Uniti per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) riferisce che continuano le indagini, gli arresti, le detenzioni, i procedimenti giudiziari e, in alcuni casi, condanne, per presunte violazioni in base alla disposizione 98(/) del codice penale, che criminalizza 'l'insulto [alle tre] religioni celesti ' (blasfemia)";
-    in ordine a donne e minori: " ( . . . ) Nella pratica, sussistono tuttora differenze di trattamento e verificano casi di discriminazione a danno di donne (...) Il Comitato per i Diritti umani delle Nazioni Unite segnala che la violenza domestica, compreso lo stupro coniugale, non è ancora esplicitamente criminalizzata nella legislazione nazionale e il codice penale consente clemenza per i cosiddetti 'crimini d'onore " 
-    in ordine ai diritti LGBTI: "Nella realtà, i comportamenti omosessuali o le unioni tra persone dello stesso sesso spesso sono perseguiti dalle autorità di polizia, sulla base di accuse di "dissolutezza", "prostituzione" o "violazione dei valori della famiglia", mentre le discriminazioni sono diffuse su vasta scala";
-    in ordine all'esistenza di tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, 3 dopo aver evidenziato che gli atti di tortura e altri trattamenti inumani o degradanti sono proibiti dalla Costituzione e dal codice penale, si aggiunge: "Nell 'ultimo rapporto del Comitato sulla tortura delle Nazioni Unite, che ha affrontato anche la situazione in Egitto, si citano denunce di un uso sistematico della tortura e di maltrattamenti da parte della polizia, delle guardie penitenziarie, di membri delle forze dell'ordine e degli apparati militari. Questi abusi sarebbero diretti in prevalenza verso oppositori e critici del Governo. II Comitato ha espresso preoccupazione per la mancanza di indagini e accertamento delle responsabilità relative a questi abusi (lack ofaccountability)";
-    in ordine alla protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti: "L 'Egitto non ha ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione sulla tortura e non ha ratificato il II Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti civili e politici (protocollo relativo all 'abolizione della pena di morte). Non risulta aver accettato le procedure per i reclami individuali, previste da molte delle convenzioni internazionali".

Le medesime schede Paese, inoltre, alla voce "eventuali eccezioni per parti del territorio o per categorie di persone", individuano significative eccezioni per categorie di soggetti per le quali il paese non è sicuro: "Si ritengono necessarie eccezioni per gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani o per coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all'articolo 8, comma l, lettera e) del Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251".

Trattasi di informazioni che evidenziano l'esistenza in Egitto di gravi violazioni dei diritti umani, che — in contrasto con il diritto europeo citato - persistono in maniera generale e costante ed investono non solo ampie e indefinite categorie di persone (come dimostra l'inserimento tra le eccezioni della categoria dei "difensori dei diritti umani", che individua l'esistenza di violazioni dei diritti di soggetti che agiscono per la stessa tutela dei diritti dell'uomo), ma anche il nucleo stesso delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico e che dovrebbero costituire la cornice di riferimento in cui si inserisce la nozione di Paese di Sicuro secondo Allegato I alla direttiva 2013/32/UE, già citato.

I citati rischi di insicurezza che riguardino, in maniera stabile ed ordinaria, intere ed  indeterminate categorie di persone portano de plano il decidente a negare che l'Egitto possa 3 ritersi paese sicuro alla luce del diritto dell'Unione Europea e ciò per quanto si legge nelle argomentazioni della citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 4 ottobre 2024, laddove in motivazione richiede che il Paese (per dirsi sicuro) sia caratterizzato da una situazione "generale e costante " di sicurezza. Il riferimento puntuale invero è al passaggio inequivoco del 52 allorché si legge: "Il suddetto allegato I precisa, in particolare, che un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell 'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell 'articolo 9 della direttiva 2011/95, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale". 1

Né rileva, è appena il caso di evidenziare, che tale affermazione sia contenuta nella parte motiva della sentenza della Corte di giustizia e non anche nel dispositivo (che non si pronuncia sulle esclusioni soggettive), e ciò sol che si consideri come per giurisprudenza costante sia certo che il decisum della Corte sia integrato non solo dal dispositivo ma anche dalla motivazione quando questa non appaia (e nella specie non appare) come un mero obiter. A tale conclusione, peraltro, si giunge tenendo conto che il dispositivo della Corte di Giustizia ha una portata meno ampia della motivazione dovendosi la Corte adita necessariamente confrontare con la questione sottopostale dal tribunale di Brno che atteneva propriamente alla mera esclusione territoriale.

(Edit by Mister Lex)

Tanto rilevato, non resta che disapplicare ai fini della presente decisione il decreto-legge 23.10.2024, posto che, come è noto, le sentenze interpretative della Corte di giustizia dell'Unione europea vincolano il giudice nazionale anche se appartenente ad altro Stato membro rispetto a quello che ha proposto il rinvio pregiudiziale. Né si impone la proposizione di un nuovo rinvio pregiudiziale (peraltro incompatibile con i termini cui è sottoposto il procedimento di convalida e comunque opportunamente già proposto  nell'ambito di altro tipo procedura dal Tribunale di Bologna), rinvio superfluo tutte le volte  in cui la questione sollevata sia già stata decisa in via pregiudiziale in relazione ad analoga fattispecie "anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere" (così la giurisprudenza della CGUE a partire dalla nota sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81, sentenza dalla quale - parr. 13-14 - sono estratti i passaggi sopra riportati).

Conferme sia della supremazia del diritto dell'Unione sia della "non necessità" di sollevare la questione pregiudiziale europea in ipotesi come quella in esame si hanno esaminando la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea nonché della Corte costituzionale.

Quanto alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, significativa è la sentenza 27.2.2018, n. 64, che individua le norme dei trattati decisive al riguardo.

Quanto alla giurisprudenza della Corte costituzionale, si veda da ultimo Cost. 12/02/2024, n. 15. In particolare, nel considerando n. 6, tra l'altro, si legge: "11 principio del primato del diritto dell'Unione discende dal principio dell'eguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati (art. 4 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea), che esclude la possibilità di fare prevalere, contro l'ordine giuridico dell'Unione, una misura unilaterale di uno Stato membro (Corte di giustizia, sentenza 22 febbraio 2()22, in causa C-430/21, RS). L'obbligo di dare applicazione al diritto dell'Unione, quando ne ricorrono i presupposti, implica che esso sia interpretato in modo uniforme in tutti gli Stati membri.

La corretta applicazione e l'interpretazione uniforme del diritto UE sono garantiti dalla Corte di giustizia, cui i giudici nazionali possono rivolgersi attraverso il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, così cooperando direttamente con la funzione affidata dai Trattati alla Corte (Corte di giustizia, parere 1/09 dell'8 marzo 2011, recante «Accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti»). È nell'ambito di questo confronto che la Corte di giustizia instaura con i giudici nazionali, in quanto incaricati dell'applicazione del diritto dell'Unione, che essa fornisce l'interpretazione di tale diritto, allorché la sua applicazione sia necessaria per dirimere la controversia sottoposta al loro esame (Corte di giustizia, sentenza 9 settembre 2015, in causa C-16()/14, Ferreira da Silva e Brito e altri; sentenza 5 dicembre 2017, in causa C42/17, M.A.S. eM. B.).

La necessità di rivolgersi alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 267 TFUE, che costituisce  un obbligo in capo ai giudici nazionali di ultima istanza, viene tuttavia meno, secondo la  giurisprudenza della stessa Corte, non solo quando la questione non sia rilevante o quando 3 la disposizione di diritto dell'Unione di cui trattasi sia stata già oggetto di interpretazione da parte della Corte, ma anche in tutti i casi in cui la corretta interpretazione del diritto dell'Unione si impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi (Corte di giustizia, sentenze 6 ottobre 2021, in causa C-561/19, Consorzio Italian Management e altri; 6 ottobre 1982, in causa C-283/81, Cilfit e altri).

Ciò detto, a fronte del quadro normativo sopra evidenziato, e tenuto conto della citata sentenza della Corte di giustizia, va dichiarata irrilevante la questione di legittimità costituzionale sollevata dal richiedente protezione.

Alla luce di quanto precede non si convalida il provvedimento con il quale è stato disposto il trattenimento, emesso dal Questore della Provincia di Ragusa nei confronti
 
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.

Q.M.
 
Non convalida il provvedimento con il quale è stato disposto il trattenimento, emesso dal Questore della Provincia di Ragusa nei confronti di ****** nato ********
 
Dispone l' immediato rilascio del predetto.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Catania, 4.11.2024

Il Presidente della sezione specializzata P.I.
Massimo Escher 

____________
1. "Cette annexe I précise, notamment, qu'un pays tiers peut être considéré comme un pays d'origine sûr lorsque, sur la base de la situation légale, de l'application du droit dans le cadre d'un régime démocratique et des circonstances politiques générales, il peut être démontré que, d'une manière générale et uniformément, il n'y est jamais recouru à la persécution, telle que définie à l'article 9 de la directive 2011/95, ni à la torture ni à des peines Ou à des traitements inhumains Ou dégradants et qu'il n'y a pas de menace en raison d 'une violence aveugle dans des situations de conflit armé international ou interne".

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