Offese su Facebook, è ingiuria o diffamazione?

Articolo di Anna Larussa del 18/10/2022

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Nel caso di offese rivolte ad una persona mediante l'utilizzo dei social (nella specie Facebook) siamo in presenza di ingiuria o di diffamazione?

Sul punto interviene la Sezione Quinta della Cassazione con la sentenza n. 36193 depositata il 26 settembre 2022.

Ha analizzato la pronuncia per noi l'avvocato Anna Larussa.

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Il fatto

La sentenza muove dal ricorso avverso la conferma della condanna per diffamazione a mezzo Facebook, inflitta all'imputato sull’assunto secondo cui la comunicazione incriminata era stata pubblicata sulla indicata piattaforma, sulla quale più persone potevano partecipare ai commenti, come di fatto avevano partecipato, secondo quanto acquisito agli atti.

La difesa proponeva ricorso per cassazione censurando le argomentazioni dei giudici di merito quanto alla ricorrenza degli elementi della fattispecie di cui all’art. 595 c.p.: in particolare evidenziava che la persona offesa fosse stata presente, sia pure virtualmente, alla discussione svoltasi nella chat, sì da replicare alle offese rivoltele e, pertanto, il fatto avrebbe dovuto essere inquadrato nella fattispecie, depenalizzata, di ingiuria aggravata.

Contestava, altresì, la mancata applicazione dell'esimente della provocazione di cui all'art. 599 c.p. in quanto i giudici di merito avevano erroneamente opinato che fosse stato il ricorrente a dare il via al contrasto, laddove, invece, questi avrebbe risposto alle accuse calunniose della persona offesa osservando che se non avesse replicato avrebbe evitato di fare una “figura da capra”.

Ingiuria e diffamazione

Il comma 1 del previgente articolo 594 c.p. configurava un reato comune (indiziato dall’espressione “chiunque”) a forma libera la cui condotta consisteva nell’offesa dell’onore e del decoro di una persona presente. Il comma 2 assoggettava alla stessa sanzione (reclusione fino a sei mesi o multa fino a 516 euro) l'offesa dell'onore o del decoro arrecata “a distanza”, ossia con comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti e disegni diretti alla persona offesa. Il comma 4 contemplava, un'aggravante nel caso in cui l'offesa fosse commessa in presenza di più persone. Tale aggravante, che presupponeva la presenza di più persone oltre l'offeso, non era riferibile all'ipotesi di ingiuria a distanza, considerata nel secondo comma dell'articolo 594 c.p.

Tale disposizione incriminatrice è stata abrogata per effetto del Decreto Legislativo n. 7 del 2016. Essa, tuttavia, come sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, continua a fornire un necessario parametro di riferimento nella tipizzazione del delitto di diffamazione di cui al successivo articolo 595 c.p., che tuttora punisce: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione”.

Dal raffronto del dettato delle due disposizioni incriminatrici è dato desumere che:

  • l'offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone;
  • l'offesa diretta a una persona distante costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario; se la comunicazione a distanza è indirizzata ad altre persone oltre all'offeso, si configura il reato di diffamazione;
  • l'offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.

L'evoluzione dei mezzi di comunicazione potrebbe ingenerare confusione, come di fatto spesso avviene, circa le nozioni di “presenza” e “distanza” in quanto numerosi applicativi, attualmente in uso, per la comunicazione fra persone fisicamente distanti, mettono a disposizione degli utenti una variegata gamma di servizi (messaggistica istantanea, scritta o vocale, videochiamata, chiamate cd. "VoIP" ovvero conversazione telefonica effettuate sfruttando la connessione internet); inoltre sono state sviluppate diverse piattaforme per convocare riunioni a distanza tra un numero, anche rilevante, di persone presenti virtualmente e che permettono di scrivere, durante la riunione, messaggi diretti a tutti i partecipanti, ovvero a uno o ad alcuni di essi.

Nel caso deciso dalla sentenza in esame i giudici di merito avevano ritenuto integrata la diffamazione semplicemente valorizzando l’uso del social network senza tuttavia chiarire, ad avviso della difesa ricorrente, se le offese denunciate dalla querelante fossero state recepite contestualmente o meno dalla medesima e dagli altri partecipi alla chat della piattaforma.

La sentenza

La Corte ha ritenuto fondati entrambi i motivi di ricorso.

Quanto all'integrazione della diffamazione, ha stigmatizzato l'operato dei giudici di merito per avere essi ritenuto dirimente l'impiego della piattaforma social e, quindi, la partecipazione di più persone all'uso del social network, senza precisare se le espressioni ritenute offensive fossero state recepite contestualmente o meno dalla persona offesa e dagli altri partecipi alla chat.

Ha invece osservato la Corte come il criterio distintivo tra ingiuria e diffamazione vada rintracciato, nonostante l’evoluzione dei mezzi di comunicazione, nella presenza o meno dell'offeso, intesa come presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e spettatori ovvero come situazione ad essa sostanzialmente equiparabile realizzata con l'ausilio dei moderni sistemi tecnologici, i quali non hanno modificato, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure come sopra tracciata (vale a dire la presenza o meno, anche se virtuale dell’offeso), ma hanno imposto e impongono solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto.

Occorre dunque ricostruire sempre l'accaduto, caso per caso: se l'offesa viene profferita “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, e vi partecipa anche l'offeso, ricorre l'ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato).

Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorrono i presupposti della diffamazione.

Ciò precisato con riferimento al primo motivo - rispetto al quale la diffamazione era stata ritenuta solo in virtù dell’impiego del social network, senza aver riguardo alle caratteristiche dell’accaduto, con conseguente accoglimento delle doglianze della difesa - anche rispetto al secondo motivo la Corte ha ritenuto censurabili le conclusioni dei giudici territoriali non avendo essi fornito adeguata spiegazione dell'esclusione dell'esimente in presenza di un contesto comunicativo caratterizzato da un serrato botta e risposta tra il  ricorrente e la persona offesa.

Ha pertanto disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza per un nuovo giudizio.


Il provvedimento:

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