Il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, è circoscritto alla volontà di trarre dalla sottrazione del bene una utilità di natura esclusivamente patrimoniale o può consistere anche in un fine di natura non patrimoniale?
È questo il quesito a cui hanno risposto le Sezioni Unite penali della Cassazione con la sentenza n. 41570 depositata il 12 ottobre 2023, risolvendo un contrasto giurisprudenziale in merito agli artt. 43 e 624 Cp. sollevato dalla Sezione Quinta con l'ordinanza n. 693/2022.
La Suprema Corte, aderendo all’orientamento maggioritario, ha stabilito che il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, può consistere anche in un fine di natura non patrimoniale.
La nozione di profitto non si identifica necessariamente con un'utilità patrimoniale alla quale tenda l'agente: in altri termini, in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non richiede la volontà di trarre un'utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta.
La limitazione della punibilità delle condotte di volontaria sottrazione ed impossessamento di cose mobili altrui alle sole ipotesi di sottrazione dettata da finalità economiche priverebbe di tutela penale il possesso delle cose mobili in caso di lesioni dettate da motivazioni non economiche, laddove invece il possesso di tali cose, per via della sua agevole possibilità di aggressione determinata dalla natura "mobile" di tali beni, comporta la necessità di una tutela completa e non circoscritta alle sole sottrazioni dettate da fini di locupletazione.
Il testo della sentenza: