Jobs Act, la Consulta amplia la tutela reintegratoria attenuata

Articolo del 18/07/2024

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La tutela reintegratoria attenuata prevista dal Jobs Act va applicata anche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di insussistenza del fatto materiale ed al licenziamento disciplinare intimato per un fatto punito dalla contrattazione collettiva solo con una sanzione conservativa.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con le sentenze n. 128 e n. 129 depositate il 16 luglio 2024, ampliando l’ambito di applicazione della tutela reintegratoria attenuata.

La prima pronuncia

Con la prima pronuncia (sentenza n. 128), la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23, nella parte in cui non prevede che la tutela reintegratoria attenuata si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore (c.d. repêchage).

Nella specie, la Sezione lavoro del Tribunale di Ravenna aveva censurato, sotto diversi profili, la disciplina dettata dal d.lgs. n. 23 del 2015 per il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo nella parte in cui esclude la tutela reintegratoria nell’ipotesi in cui il giudice accerti l’insussistenza del fatto, a differenza di quanto previsto per il licenziamento disciplinare fondato su di un fatto contestato insussistente. 

La Corte ha accolto le questioni sollevate, facendo riferimento agli articoli 3, 4 e 35 della Costituzione. Ha osservato che, nonostante le ragioni di impresa non siano contestabili nel merito, il principio di necessaria causalità richiede che il fatto materiale citato dal datore di lavoro sia effettivamente sussistente. La completa irrilevanza dell'insussistenza del fatto materiale, come previsto dalla norma impugnata, crea una mancanza di coerenza sistemica che rende illogica la distinzione con i casi di licenziamento senza giusta causa o per motivi soggettivi.

Inoltre, la Corte ha chiarito che il vizio di illegittimità costituzionale non si verifica quando il fatto materiale, pur essendo provato, non giustifica il licenziamento poiché emerge la possibilità di un efficace ricollocamento del lavoratore all'interno dell'azienda. Di conseguenza, l'annullamento della norma deve escludere la possibilità di ricollocamento del lavoratore licenziato per motivi aziendali, in modo analogo a come viene esclusa la valutazione della proporzionalità del licenziamento rispetto alla colpa del lavoratore nei casi di licenziamento disciplinare per fatti non accertati.

La violazione dell'obbligo di repêchage, pertanto, attiverà la tutela indennitaria prevista dal comma 1 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2015.

La seconda pronuncia

Con la sentenza n. 129, la Corte ha dichiarato infondata la questione relativa all'articolo 3, comma 2, sollevata a seguito di un licenziamento disciplinare basato su un fatto contestato sanzionato conservativamente dalla contrattazione collettiva, a patto che l'interpretazione della norma sia adeguatrice.

La tutela reintegratoria attenuata, secondo la Corte, deve essere applicata anche nei casi in cui la contrattazione collettiva stabilisca che determinate inadempienze del lavoratore, benché disciplinarmente rilevanti, meritino esclusivamente sanzioni conservative.

Il Tribunale di Catania aveva criticato la normativa per non aver riconosciuto la tutela reintegratoria in situazioni dove, nonostante l’inadempienza del lavoratore fosse provata, la contrattazione collettiva prevedeva soltanto una sanzione conservativa.

Nonostante la Corte abbia trovato infondate le questioni sollevate secondo diversi criteri, ha fornito un'interpretazione della norma che si allinea all'articolo 39 della Costituzione. La Corte ha ribadito che la decisione di rescindere il rapporto di lavoro deve rispettare il principio di proporzionalità, dove la gravità dell'inadempienza del lavoratore deve essere tale da compromettere irrimediabilmente la fiducia necessaria per la continuazione del rapporto lavorativo.

La Corte ha sottolineato che la norma in questione, nella sua interpretazione adeguatrice, copre le situazioni in cui la contrattazione collettiva prevede la proporzionalità del licenziamento come una clausola generale e flessibile. Tuttavia, non estende questa interpretazione ai casi in cui il fatto contestato, per accordo contrattuale esplicito, non giustifica il licenziamento, situazioni che devono essere considerate analoghe a quelle di insussistenza del fatto materiale.

Infine, la Corte ha espresso preoccupazione per il fatto che escludere la possibilità di reintegrazione quando il licenziamento è punito solo con una sanzione conservativa possa minare il ruolo tradizionalmente svolto dalla contrattazione collettiva nella gestione delle relazioni lavorative.

Considerazioni conclusive

Le due pronunce della Corte costituzionale hanno, quindi, portato a una revisione significativa delle norme relative al Jobs Act, stabilendo che la tutela reintegratoria attenuata deve essere estesa per includere non solo i casi di licenziamento disciplinare per fatti non sussistenti, ma anche quelli per giustificato motivo oggettivo dove il fatto materiale non si verifica.

Queste decisioni riaffermano il principio di protezione del lavoratore dal licenziamento ingiustificato, assicurando che la legge sia applicata in modo coerente e equo, indipendentemente dalle specificità del caso. La Corte ha così sottolineato l'importanza di una giurisprudenza che si adatta dinamicamente alle realtà del mercato del lavoro e alle necessità di tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori.


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