Sono state pubblicate le motivazioni della decisione della Corte Federale FIGC con cui la Juventus è stata penalizzata con 15 punti per le plusvalenze fittizie.
Mister Lex ha chiesto un primo commento sulla decisione all'avv. Gianluca Ludovici.
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Sommario: 1. La decisione della Corte Federale di Appello - 2. La questione dell’ammissibilità - 3. Il principio di legalità ed i suoi corollari - 4. Il contenuto dell’istruttoria e la valutazione delle prove - 5. Il trattamento sanzionatorio - 6. Le conclusioni.
La Corte Federale d’Appello F.I.G.C. con la decisione 0063/CFA-2022-2023 ha ritenuto disciplinarmente responsabile la Juventus F.C. S.p.A. “per la violazione dell’obbligo di osservanza delle norme federali nonché dei doveri di lealtà, correttezza e probità di cui all’art. 4, comma I e dell’art. 31, comma I del Codice di Giustizia Sportiva”, provvedendo a comminare la ormai nota sanzione della penalizzazione di 15 punti nella attuale classifica del Campionato di Calcio di Serie A.
In un’ottica di migliore comprensione del provvedimento in argomento appare necessario procedere alla preventiva lettura delle norme del Codice di Giustizia Sportiva ritenute violate dall’organo di giustizia federale, le quali testualmente recitano:
“Art. 4 comma I. I soggetti di cui all'art. 2 sono tenuti all'osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva. […]
Art. 31 comma I. Costituisce illecito amministrativo la mancata produzione, l’alterazione o la falsificazione materiale o ideologica, anche parziale, dei documenti richiesti dagli organi di giustizia sportiva, dalla Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche (COVISOC) e dagli altri organi di controllo della Federazione nonché dagli organismi competenti in relazione al rilascio delle licenze UEFA e FIGC, ovvero il fornire informazioni mendaci, reticenti o parziali. Costituiscono altresì illecito amministrativo i comportamenti comunque diretti a eludere la normativa federale in materia gestionale ed economica nonché la mancata esecuzione delle decisioni degli organi federali competenti in materia. Salva l’applicazione delle più gravi sanzioni previste dalle norme in materia di licenze UEFA o da altre norme speciali, nonché delle più gravi sanzioni che possono essere irrogate per gli altri fatti previsti dal presente articolo, la società che commette i fatti di cui al presente comma è punibile con la sanzione dell’ammenda con diffida”.
Ciò posto il provvedimento in questione non appare scevro da contestazioni e censure in punto di diritto per i motivi che si espongono qui di seguito.
Molto si è detto sulla questione dell’ammissibilità del ricorso della Procura Federale per la revocazione parziale della prima decisione della Corte Federale di Appello sul caso plusvalenze; in realtà tale questione non pone veri e propri dubbi, poiché se è pur vero che il sotto-ordinamento sportivo gode di autonomia interna, anche sul piano giudiziale, e che i documenti provengono dall’indagine penale in corso nell’ordinamento generale, non può negarsi come questi ultimi ben possano essere utilizzati nel giudizio per revocazione della precedente decisione federale, atteso che nessuna norma dei due ordinamenti preclude tale possibilità e che in ogni caso tali atti sono stati comunque acquisiti dalla Procura Federale nel rispetto della tempistica per l’instaurazione di un simile giudizio.
Cardine fondamentale del nostro ordinamento giuridico e di tutti i suoi sotto-ordinamenti, ivi compreso quello sportivo, in quanto principio di diritto proprio di tutti i sistemi giuridici democratici, è il cosiddetto “principio di legalità”: trattasi di dogma giuridico posto a garanzia dei cittadini, in ragione del quale tutti debbono essere in grado di conoscere preventivamente quali condotte sono ammesse e quali condotte sono vietate dalla Legge.
Sebbene sia tradizionalmente ed universalmente ricordato con riferimento alle norme penali (l’art. 1 c.p. afferma che: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge come reato, né con pene che non siano da essa stabilite”), in realtà è principio che impronta ogni settore (o sotto-ordinamento) dell’ordinamento nazionale, in quanto previsto ancor prima (priorità di tipo logico e gerarchico) dall’art. 25, comma I Cost., secondo il quale “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Orbene, ammesso e non concesso che al caso di specie, avente natura prettamente disciplinare, possa non applicarsi l’art. 1 c.p., non può negarsi che avrebbe dovuto trovare comunque applicazione nella vicenda in esame la norma di cui all’art. 25, comma I Cost. ed i corollari che derivano dal principio in esso espresso. Il principio di tassatività o sufficiente determinatezza della legge (penale) costituisce, infatti, corollario del principio di legalità, prevedendo che la legge debba determinare con chiarezza e precisione estreme la fattispecie di illecito (civile, penale, amministrativo e disciplinare), nonché le pene cui assoggettare il reo (nullum crimen nulla poena sine lege stricta).
Tutto ciò considerato occorre dire che effettivamente una norma espressa che preveda la rilevanza disciplinare delle cosiddette “plusvalenze” non è contemplata nell’ordinamento sportivo della Federazione Italiana Giuoco Calcio, tanto è vero che il combinato disposto degli articoli applicati è composto da un lato dall’art. 4, comma I che attiene ad ipotesi di violazione degli obblighi di lealtà e correttezza e dall’altro dall’art. 31, comma I che afferisce a violazioni in materia gestionale ed economica.
A bene vedere l’art. 4, comma I è di per sé norma dal contenuto davvero ampio e non sufficientemente determinato, tale da indurre rilevanti dubbi circa il rispetto del precetto costituzionale dell’art. 25 Cost., norma cui non può sottrarsi il sotto-ordinamento sportivo in ragione della propria dichiarata autonomia e che non consente l’accertamento di illiceità di condotte, allorquando queste non siano sufficientemente descritte da norme anteriormente poste.
Le medesime considerazioni non valgono per l’art. 31, comma I: in questo caso la condotta disciplinarmente rilevante è certamente descritta con sufficiente chiarezza ma vi è da chiedersi se sia una fattispecie idonea a disciplinare il caso delle plusvalenze, atteso che le attribuzioni di valori economici più elevati nelle voci in uscita rispetto a quelle in entrata per un medesimo giocatore (tali sono le plusvalenze), oltre ad essere dati suscettibili di valutazioni discrezionali ai limiti della soggettività, non sembrano potersi definire come “alterazione o falsificazione materiale o ideologica, anche parziale, dei documenti richiesti dagli organi di giustizia sportiva, etc.”, né tantomeno possono considerarsi “informazioni mendaci, reticenti o parziali” ovvero “comportamenti comunque diretti a eludere la normativa federale in materia gestionale ed economica”, mancando come detto norme dirette a disciplinare specificamente il tema delle plusvalenze.
Da questo punto di vista si può profilare, quindi, una errata e/o falsa applicazione delle citate norme del Codice di Giustizia Sportiva, senza contare la violazione dell’art. 25 Cost. che esprime un principio insopprimibile dell’ordinamento giuridico.
Con riferimento agli elementi di prova, che non potranno comunque essere di nuovo riconsiderati nel futuro e già annunciato giudizio di impugnazione al Collegio di Garanzia del C.O.N.I., si osserva come le cosiddette prove a carico si sono incentrate su tre punti: 1) il cosiddetto “Libro nero di F.P.”; 2) le intercettazioni telefoniche tra dirigenti della Juventus F.C. S.p.A.; 3) una fattura corretta a mano per un’operazione di scambio giocatori con l’Olympique Marsiglia.
Quanto al primo si tratta di un libello di appunti del dirigente Federico Cherubini, Head of Football Teams & T.A. sino all’anno 2021, che vi avrebbe raccolto questioni ritenute (dal redattore del medesimo) compromettenti e presuntivamente commesse dal dirigente Fabio Paratici, Chief Football Officier, da utilizzare (verosimilmente ed a quanto scritto nella decisione in commento) per avere un maggior peso contrattuale in sede di contrattazione per il rinnovo del proprio contratto da dirigente. Se così fosse, possono legittimamente avanzarsi dubbi circa l’attendibilità di un tale documento, attese proprio le riferite finalità dell’impiego dello stesso e senza considerare che le condotte annotate nel Libro nero di F.P. non avrebbero ricevuto altri riscontri attraverso altri elementi di prova.
Con riferimento alle intercettazioni, poi, al di là della questione della loro interpretazione intrinseca, ciò che appare con evidenza è che alle stesse sia stato riconosciuto valore “confessorio”, anche quando queste provenivano da meri dirigenti, non necessariamente in grado di impegnare la Juventus F.C. S.p.A. ovvero non necessariamente investiti di poteri di rappresentanza del club torinese: in tal senso, infatti, un valore confessorio potrebbe essere attribuito solo a dichiarazioni provenienti dal Presidente, quale legale rappresentante, o da dirigenti espressamente incaricati da Statuto di poteri di rappresentanza e sempre laddove queste possano davvero essere interpretate nel senso di documentare operazioni contabili irregolari.
Tutto ciò senza contare l’inspiegabile omessa considerazione delle cosiddette “intercettazioni favorevoli” alla Juventus F.C. S.p.A.: nell’ottica dell’imparzialità e della finalità di accertamento della verità, la Procura Federale, prima, e la Corte Federale, poi, non avrebbero dovuto escludere elementi di prova di segno contrario rispetto a quelli incriminanti già acquisiti al processo, e conseguentemente eseguire una valutazione di tutte le risultanze probatorie acquisite in fase di indagine.
Da ultimo, la famosa fattura corretta a mano appare essere non un documento ufficiale oggetto di contabilizzazione, ma una correzione di errori emessi in sede di fatturazione da parte dell’Olympique Marsiglia per l'operazione “Akè-Tongya”. Il primo afferisce all'indirizzo sbagliato della sede della Juventus F.C. S.p.A. (Corso Galileo Ferraris 32, dove la palazzina che ospitava la sede bianconera fino a qualche anno fa era in fase di radicale ristrutturazione), il secondo riguarda la modalità con cui il Marsiglia ha individuato la causale dell’operazione, scrivendo “compensazione”, mentre la Juventus F.C. S.p.A. avrebbe dovuto registrare la stessa come “permuta” tra i due giocatori. Per tale motivo la Juventus F.C. S.p.A. ha rispedito la fattura correggendo l'indirizzo e scrivendo un appunto nel quale chiedeva di ricompilare la fattura non facendo riferimento alla compensazione, ma alla permuta. La fattura veniva riemessa, con l’indirizzo giusto e la dicitura richiesta dal club torinese, quindi, regolarmente registrata e non “corretta a penna”.
Dubbi sempre più fondati si hanno con riferimento al trattamento sanzionatorio ovvero alla penalizzazione di 15 punti in classifica.
Precisato, infatti, che la sussunzione del caso concreto alla fattispecie dell’art. 4, comma I appare lesiva del principio di legalità, anche con riferimento ai corollari della tassatività e determinatezza, laddove si volesse ravvisare l’integrazione da parte delle “plusvalenze” degli elementi costitutivi dell’art. 31, comma I, queste ultime vedrebbero come conseguenza sanzionatoria solo l’applicazione di un’ammenda per ogni operazione contabile irregolare ossia solo l’applicazione di una pena pecuniaria, magari anche consistente attesa la ritenuta reiterazione delle condotte, ma non una penalizzazione in termini di punti. Per ottenere tale risultato, invece, la Corte Federale di Appello è ricorsa proprio all’applicazione del comma I dell’art. 4 che, rimandando alla lettera g) dell’art. 8 del Codice di Giustizia Sportiva, consente all’organo giudicante la possibilità di procedere alla penalizzazione dei punti in classifica.
Orbene, anche se si volesse per assurdo ritenere la norma generale e generica dell’art. 4, comma I del Codice di Giustizia Sportiva conforme al principio di legalità ed ai suoi corollari (leggi art. 25 Cost.), per un criterio di specialità avrebbe dovuto trovare applicazione solo la disposizione del comma primo dell’art. 31 del medesimo codice, che a ben vedere fa espressamente salva l’applicazione di eventuale ulteriore normativa federale speciale e non certo quella più generale (e generica) contenuta del citato art. 4, comma I.
Logica conseguenza è, quindi, che sulla base della norma dell’art. 31, comma I si sarebbe potuta comminare solo una sanzione pecuniaria, non certo una sanzione in termini di penalizzazione sul punteggio già raggiunto nel campionato sportivo in corso.
In conclusione molte ombre sembrano profilarsi all’orizzonte per la conferma del provvedimento della Corte Federale di Appello da parte del Collegio di Garanzia C.O.N.I. (ovvero da parte della Giustizia Amministrativa laddove la vicenda prosegua dinanzi agli organi della Giustizia statale italiana) per tutti i profili in diritto sopra espressi (eccezion fatta, come detto, per la valutazione delle prove), per cui non sembra peregrina una riforma della decisione 0063/CFA-2022-2023.