Legalità senza testimoni

Articolo di Riccardo Bianchini del 25/11/2023

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Non bisogna vergognarsi di qualcosa

dinanzi agli uomini più che dinanzi a se stessi

e, allo stesso modo, non si deve compiere il male

più facilmente se nessuno viene a saperlo

che se tutti vengono a saperlo.

Bisogna invece vergognarsi

specialmente al cospetto di se stessi,

e bisogna dettare alla propria anima questa legge,

in modo tale da non commettere

mai nulla di sconveniente.

Questa massima è attribuita a Democrito, filosofo greco vissuto fra il V e il V sec. a.C. e fondatore dell'atomismo.

Democrito ci dice qualcosa che appare scontato, ovvero che, sotto il profilo morale, la presenza di testimoni non sia una giustificazione alla violazione di una regola di condotta. A meno di non voler far coincidere la morale con la “rispettabilità”, o meglio con l'apparenza di una “rispettabilità” esteriore, un comportamento è moralmente censurabile a prescindere dal fatto che la collettività sappia o meno di questo comportamento.

Sotto il profilo giuridico, potrebbe non essere così. In fin dei conti, cosa significa agire “nel pieno rispetto della legalità”, se non dare una rispettabile interpretazione delle norme vigenti tali per cui non sia addebitabile alcun illecito?

Giudizio morale e giudizio civile sono oramai completamente distinti, afferenti a due dimensioni quasi non comunicanti: ma per il senso comune di oggi, tenere una condotta giuridica “legalmente corretta” parrebbe cosa già di per sé accettabile da un punto di vista morale.

Il dubbio che sorge è questo: come la mancanza di testimoni non dovrebbe esonerare dal compiere il giusto, ugualmente non dovrebbe farlo il fatto che la condotta sia “legale”.

Quante volte agire “legalmente” significa agire secondo il proprio tornaconto, senza che nessuno possa obiettare alcunché, pur nella consapevolezza che la condotta è ingiustizia?

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