"Le leggi non differiscono
affatto dalle ragnatele,
ma come queste trattengono
le prede deboli e piccole,
mentre saranno spezzate dai potenti e ricchi"
Anacarsi, usando questa similitudine, già nel VI secolo avanti Cristo, manifestava le proprie perplessità sulla forza e sull'efficacia delle leggi.
E i dubbi del filosofo sono quantomai attuali.
Davvero il diritto può ostacolare il vizio?
Davvero può impedire l'ingiustizia o quantomeno porvi rimedio?
Anacarsi è certo del contrario. O meglio, è certo che il diritto, la norma umana – soprattutto se scritta (e dunque irrigidita in una forma che tende a conferirle certezza e stabilità nel tempo) possa contrastare le ingiustizie perpetrate dai piccoli. Ma quando a violare le norme giuridiche è un soggetto che, in punto di fatto, è più forte del potere che pone le regole giuridiche, esse valgono a poco.
Più che mai in una economia ed una politica globalizzata, in cui le sorti di intere generazioni dipendono da uno scarto di pochi decimi di un indice monetario o di un tasso di interesse, si può seriamente dubitare di questa affermazione?
E d'altronde in molti sottoscriverebbero la tesi secondo cui solo i criminali da poco violano le leggi scritte, i grandi malfattori sono invece capaci di influire su ciò che la legge scritta deve contenere o meno.