Un genitore affidatario che si rende irreperibile impedendo così le legittime aspettative di visita e frequentazione della prole da parte dell'altro genitore, commette reato?
Della vicenda si è occupata la Sesta Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 28980 depositata il 21 luglio 2022.
La commenta per noi l'Avv. Anna Larussa.
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Il fatto
Una donna veniva condannata in entrambi i gradi del giudizio di merito alla pena di mesi tre di reclusione per il reato di cui all'articolo 388 c.p., comma 2, per avere impedito all'ex di trascorrere le vacanze programmate con la figlia nel periodo a tal fine stabilito nel provvedimento di separazione.
I giudici di merito avevano ritenuto puntuale e scevro da intenti calunniosi il narrato della persona offesa, evidenziando come la ricostruzione dei fatti di questa fosse stata confermata dal teste di polizia giudiziaria, sentito nel corso del dibattimento in quanto l'ex coniuge aveva immediatamente denunciato ai carabinieri il mancato rintraccio della donna nel luogo in cui avrebbe dovuto prendere in consegna la figlia.
Secondo la sentenza, non rilevava se l'assenza si fosse protratta per più giorni o solo per quella giornata, poiché la madre era a conoscenza del provvedimento giudiziale che statuiva il periodo che la minore avrebbe dovuto trascorrere con il padre e, pertanto, laddove la ricorrente si fosse voluta recare altrove rispetto al luogo indicato nel provvedimento giudiziale, avrebbe dovuto avvertire l'ex coniuge per rendere possibile l'incontro. Risultava accertato, invece, che neanche nei giorni successivi si fosse resa reperibile e che la minore avesse intrapreso subito dopo un viaggio in Inghilterra.
Non rilevava neppure, ad avviso dei giudici di merito, la dedotta scarsa attenzione dell'ex coniuge all'alimentazione della figlia, non potendo le prospettate condizioni di salute della minore, costituire una scriminante alla condotta contestata.
Per contro, da un lato, la “particolare intensità del dolo” nonché la “pervicace inottemperanza” venivano valorizzate per escludere la lieve entità del fatto, dall'altro si evidenziava la mancata emersione di elementi positivamente valutabili ai fini della diminuzione di pena.
L'interessata ricorreva in cassazione articolando plurimi motivi e in particolare contestando la ritenuta attendibilità della persona offesa in ragione dei motivi di astio connessi all'aspro contenzioso legale già esistente fra le parti.
Invocava, inoltre, l'applicazione della causa di non punibilità ex articolo 131-bis c.p., trattandosi di un fatto isolato, nonchè la concessione delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante ex art. 62 comma 1 n. 1 (motivi di particolare valore morale e sociale) assumendo di essere stata mossa dalla necessità di tutelare la minore.
Contestava, infine, la determinazione del danno da risarcire e la subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento dello stesso poiché ciò non teneva conto della situazione economica che emergeva dalla ammissione della ricorrente al gratuito patrocinio.
La sentenza
La Corte di cassazione ha considerato inammissibile il ricorso, limitandosi per vero a rilevare come lo stesso fosse diretto a fornire una diversa ricostruzione dei fatti - operazione preclusa in sede di legittimità - e come invece la Corte di merito avesse ben motivato la declaratoria di responsabilità e il trattamento sanzionatorio.
Quanto al primo profilo, la Corte territoriale aveva evidenziato come la ricorrente si fosse resa irreperibile prima, durante e dopo la data di “consegna” della figlia al padre, e come l'accertata volontà di non acconsentire che la figlia trascorresse con il padre il periodo estivo, emergesse in modo inconfutabile dal viaggio in Inghilterra fatto intraprendere alla minore subito dopo.
Sulla specifica materia in esame mette conto di ricordare come la Corte di legittimità si sia più volte espressa nel senso che l'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l'affidamento di minori può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la “frustrazione” delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo, quando questi siano finalizzati ad ostacolare ed impedire di fatto l'esercizio del diritto di visita e di frequentazione della prole.
Ed invero ai fini della sussistenza del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del Giudice che concerna l'affidamento dei minori, il termine “elude” va inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi comportamento, positivo o negativo, che non esige scaltrezza o condotta subdola per evitare l'esecuzione del predetto provvedimento, purchè sorretto dalla coscienza e volontà del comportamento inottemperante; ciò in quanto se è vero che la semplice inattività, in genere, non integra l'elusione, tuttavia l'azione negativa dell'obbligato assume rilievo, ai fini della configurazione dell'illecito in questione, ogni volta che il relativo obbligo richieda, per essere adempiuto, la collaborazione del soggetto cui è imposto, in difetto della quale, divenendo il provvedimento del Giudice difficilmente eseguibile, si ha elusione del provvedimento stesso. A riguardo è di intuitiva evidenza il ruolo centrale che assume il genitore coaffidatario o affidatario esclusivo nel favorire gli incontri dei figli minori con l'altro genitore poichè l'atteggiamento omissivo dell'obbligo finisce col riflettersi negativamente sulla psicologia dei minori, indotti così a contrastare essi stessi gli incontri con l'altro genitore, proprio perché non sensibilizzati ed educati al rapporto con costui.
Nel caso esaminato dalla Corte di cassazione con la sentenza che si annota, la preordinazione della condotta e la considerazione del bene giuridico protetto dalla norma, ad avviso dei giudici di legittimità, avevano anche, coerentemente e logicamente, portato i giudici di merito ad escludere la scarsa offensività della condotta.
Quanto al trattamento sanzionatorio, appare significativo ai fini della conferma delle statuizioni di merito il fatto che la Corte abbia ritenuto immune da censure la valorizzazione in motivazione della strumentalizzazione della minore nell'ambito della vicenda nonché la consistente lesività morale della condotta essendo stato impedito al padre di trascorrere un periodo di trenta giorni con la figlia; in conseguenza la Corte di Cassazione ha altresì ritenuto corretta la quantificazione del danno operata in via equitativa dai giudici di merito e la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento, apprezzando a tal fine proprio i redditi dichiarati in sede di richiesta di ammissione al gratuito patrocinio, ritenuti non inadeguati per il ristoro del danno.
In conclusione la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il provvedimento: