Cosa succede se l'avvocato non chiama in mediazione un litisconsorte necessario e la domanda viene dichiarata improcedibile proprio a causa di questa omissione? E magari la parte subisce una pesante condanna in tema di spese di lite?
Purtroppo sono guai per l'avvocato.
Per affrontare l'intricato caso trattato dalla Corte d'appello di Milano, Mister Lex ha interpellato all'avvocato Giulio Spina.
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La sentenza 21.3.2022, n. 936 della Corte d'appello di Milano, verte sulla responsabilità professionale dell’avvocato relativamente al non corretto rispetto della normativa in tema di mediazionecivile di cui al d.lgs. 28/2010.
Essa, in particolare, affronta la complessa tematica, di primaria rilevanza pratica, dell’accertamento della responsabilità dell’avvocato con riferimento alla materia delle ADR, toccando le connesse questioni dell’accertamento del nesso causale tramite il c.d. giudizio prognostico sull’esito delle liti, della condanna al pagamento delle spese di lite e della responsabilità processuale ex art. 96 co. 3 c.p.c., della corretta procedura per valutare la probabilità di accoglimento dell’appello, nonché della c.d. giustizia complementare, con particolare riferimento alla mediazione e al suo rapporto col processo civile e, in tale ambito, all’applicabilità della disciplina della mediazione c.d. obbligatoria nel caso di domande riconvenzionali.
Nel caso di specie, un condomino agiva in giudizio al fine di veder accertata la propria esclusiva proprietà del sottotetto sovrastante la propria unità immobiliare.
Nell’ambito di tale giudizio veniva accertata l'improcedibilità della domanda ex art. 5, d.lgs. cit. per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, con assegnazione all'attrice di un termine di giorni 15 per provvedere in merito.
Veniva però omesso di convocare per l'esperimento del tentativo di mediazione uno dei legittimati passivi necessari, cosicché il giudice dichiarava l'improcedibilità della domanda per la mancata convocazione nel procedimento di mediazione di detta parte, con condanna dell'attrice alla rifusione delle spese processuali in favore dei convenuti, nonché a corrispondere a ciascuno di essi, per colpa grave, una somma ex art. 96 co. 3 c.p.c., per un ammontare complessivo di € 66.610,08 oltre accessori di legge.
L’originaria attrice, allora, sceglieva di non proporre appello, agendo invece per il risarcimento dei danni da responsabilità professionale nei confronti degli avvocati che l’avevano assistita in detto giudizio.
Il giudice adito, per quanto qui rileva, ravvisava la sussistenza dell'errore professionale dei professionisti convenuti per non aver provveduto a convocare alla mediazione obbligatoria uno dei litisconsorti necessari nel giudizio promosso per l'accertamento della proprietà del sottotetto in questione, parte citata nello stesso atto di citazione predisposto dagli avvocati, accogliendo la domanda di risarcimento con riferimento al solo danno derivato dalla condanna alla rifusione delle spese processuali in favore dei convenuti che si erano costituiti senza proporre domande riconvenzionali.
Ciò in quanto accertava:
L’attrice, quindi, azionava il giudizio di appello censurando le dette parti della pronuncia di primo grado, mentre gli avvocati convenuti proponevano appello incidentale.
La pronuncia in commento giudica fondato l'appello principale, mentre afferma che l'appello incidentale non può trovare accoglimento.
Ciò sulla base dei rilievi che seguono.
Sussistenza del danno conseguente all’omissione dell’avvocato
Innanzitutto la Corte d’Appello conferma che sussiste l'omissione colpevole dei professionisti per non aver effettuato la chiamata in mediazione della parte in questione, dagli stessi individuata come litisconsorte necessario nel proprio atto di citazione, da cui è derivata la pronuncia, in quel giudizio, della sentenza in rito di improcedibilità della domanda.
Va quindi convalidata la piena sussistenza del nesso causale fra la detta omissione e il danno subito dall’attrice, rappresentato dalle spese legali oggetto dei capi di condanna a carico della stessa, risultata soccombente nell’originario giudizio.
In argomento, la pronuncia in commento precisa che quanto alla valutazione della sussistenza del danno e del nesso di causalità fra l'omissione e il danno va richiamato quanto affermato da Cassazione Civile n. 25112 del 2017, dalla quale il giudice di primo grado si è discostato, effettuando un giudizio prognostico sull'esito del giudizio di merito, che nel caso di specie non era richiesto.
La citata pronuncia di legittimità afferma che il giudice, accertata l'omissione di un'attività invece dovuta in base alle regole della professione praticata, nonché l'esistenza di un danno che probabilmente ne è la conseguenza, può ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno. Occorre, tuttavia, distinguere fra:
Ciò posto, spiega la Corte di Appello con riferimento al caso di specie, con l'azione di responsabilità promossa, l’attrice ha chiesto il risarcimento di un danno effettivamente già verificatosi: l'ammontare delle spese legali nonché della condanna ex art. 96 c.p.c. che la stessa asserisce, fondatamente, precisa la pronuncia in commento, essere conseguenza immediata e diretta della negligenza professionale degli avvocati.
Pertanto, nel caso in esame è fuorviante operare, come fatto dal Tribunale, una valutazione relativa al giudizio prognostico inerente al merito della causa (nella specie la domanda di accertamento della proprietà del sottotetto), in quanto non necessaria nell'ipotesi di specie (per tali ipotesi mi sia consentito rimandare a SPINA, Responsabilità dell’avvocato per l’accordo transattivo non ben spiegato al cliente. Il ruolo della giustizia predittiva, in La Nuova Procedura Civile, 2, 2022, in commento a Tribunale di Lecce, sentenza del 11.1.2022, nonché Responsabilità dell’avvocato e giustizia predittiva, in La Nuova Procedura Civile, 2, 2018, in commento a Cassazione civile, sezione terza, ordinanza del 20.3.2018, n. 6859).
In altri termini, l'attrice non ha chiesto il ristoro di danni conseguenti all'esito del giudizio volto all'accertamento richiesto con l’originaria domanda (la proprietà in suo favore del locale sottotetto) che gli avvocati hanno omesso di incardinare correttamente: il danno di cui l'attrice chiede il risarcimento è un danno già verificato, in quanto consiste nell'ammontare di tutte le spese legali nonché della maggiorazione ex art. 96 c.p.c., cui la stessa è stata condannata in conseguenza dell'omissione dei professionisti che la assistevano (la mancata chiamata al procedimento di mediazione di una parte processuale e litisconsorte necessario).
Assenza di concorso di colpa della danneggiata per l’omesso appello
Tutto ciò considerato, la pronuncia in commento passa a valutare il profilo (oggetto di specifica doglianza sia nei motivi di appello principale che in quelli di appello incidentale) del concorso di colpa della danneggiata ex art. 1227 c.c., per avere volontariamente deciso di non proporre impugnazione avverso la sentenza che, dichiarata l’improcedibilità della domanda, l'aveva condannata al pagamento delle suddette spese.
La Corte d’Appello ritiene che non sussista alcun profilo di concorso di colpa nella volontà dell’attrice di non proporre appello avverso la pronuncia di condanna in quanto, diversamente da quanto valutato dal Tribunale, l'appello non avrebbe avuto probabilità di accoglimento, nemmeno parziale, con la conseguenza che non vi sarebbe stata una riduzione o compensazione delle spese processuali fra le parti, o una riforma del capo di condanna ex art. 96 c.p.c.
Ciò in quanto la valutazione in questione deve essere effettuata sulla base della correttezza della decisione del Tribunale con riferimento ai principi di diritto applicati, sia pure, ovviamente, tenendo conto delle osservazioni critiche svolte dai professionisti convenuti, e non, come invece fatto dal giudice di prime cure, sulla base della bozza dell'atto di appello predisposta dai professionisti convenuti (e da questi prodotta in giudizio), non condiviso dalla cliente e quindi mai depositato.
Inapplicabilità della mediazione obbligatoria alle domande riconvenzionali e abuso del processo per omessa chiamata in mediazione di litisconsorte necessario citato in giudizio
I giudici d’appello osservano che la disciplina della c.d. mediazione obbligatoria di cui all'art. 5., comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 – secondo cui, in estrema sintesi, chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia nelle materie ivi elencate è tenuto ad esperire il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale – sia applicabile unicamente a carico della parte attrice, ossia di quella che promuove il giudizio.
La detta norma, difatti, precisa la pronuncia in commento:
Da ciò discende la correttezza della decisione del Tribunale che ha dichiarato l'improcedibilità della domanda per omessa convocazione di tutte le parti convenute in mediazione obbligatoria, senza fare alcun riferimento alla circostanza che in giudizio fossero state proposte domande riconvenzionali subordinate in relazione alle quali non era stata proposta domanda di mediazione, dal momento che la norma non estende la condizione di procedibilità anche alle domande riconvenzionali.
Ne consegue che sul punto l'appello (che l’attrice, come detto, ha scelto di non proporre avverso la pronuncia di condanna) non avrebbe avuto alcuna possibilità di accoglimento (al contrario, i professionisti convenuti, in sede di appello incidentale, avevano dedotto che tale circostanza avrebbe potuto costituire un motivo di compensazione delle spese, quantomeno parziale, con parziale fondatezza dell'appello; preme sottolineare che, come già evidenziato in SPINA, Onere della mediazione e improcedibilità in caso di domanda riconvenzionale: contrasto giurisprudenziale, in La Nuova Procedura Civile 4, 2017, la questione dell’applicazione della mediazione obbligatoria al caso della domanda riconvenzionale è tutt’ora oggetto di ampio dibattito in giurisprudenza: si veda, ad esempio, Corte Appello di Torino, 13 aprile 2021, in Osservatorio Mediazione Civile 40/2021, Tribunale di Reggio Calabria, 30 marzo 2021, in Osservatorio Mediazione Civile 37/2021 o Tribunale di Roma, 5 dicembre 2019 in Osservatorio Mediazione Civile 21/2020).
La pronuncia in commento osserva poi che l'appello (che l’attrice, come detto, ha scelto di non proporre avverso la pronuncia di condanna) non avrebbe trovato accoglimento neppure con riferimento alla condanna ex art. 96 c.p.c., dal momento che la stessa è stata irrogata dal giudice in considerazione della sussistenza di colpa grave, indubbiamente configurabile, precisano i giudici di secondo grado, nell'omissione di convocazione in mediazione di una parte citata in giudizio quale litisconsorte necessario, integrante abuso del processo.
Va pertanto affermata la fondatezza della censura inerente l'erronea esclusione del risarcimento del danno, quale conseguenza immediata e diretta, consistente nelle spese processuali alle quali l'attrice è stata condannata nei confronti dei convenuti che avevano svolto domande riconvenzionali nonché con riferimento agli importi della condanna ex art. 96 c.p.c.
Il danno in parola è costituito dalle somme complessivamente calcolate alle quali l’attrice è stata condannata in forza della sentenza pronunciata dal Tribunale di improcedibilità della domanda.