In presenza di messaggi offensivi su Whatsapp scatta il reato?
Dipende: se si configura l'ingiuria no, in quanto il reato è stato depenalizzato; se l'offesa invece integra la diffamazione allora sì.
Torna ad occuparsene la Cassazione con una recente sentenza commentata dal Prof. MIchele Iaselli.
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La V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28675 depositata il 20 luglio 2022, nel rigettare un ricorso presentato contro una sentenza della Corte di Appello di Ancona cerca di analizzare e risolvere la complessa questione della natura diffamatoria dei messaggi offensivi inoltrati tramite whatsapp tenendo conto delle particolari caratteristiche di questo strumento di messaggistica oggi come oggi tra i più utilizzati.
Innanzitutto la Suprema Corte ricorda una precedente sentenza (n. 13252 del 04/03/2021), dove nell'interrogarsi circa la natura ingiuriosa o diffamatoria dell'invio di e-mail a più destinatari tra cui anche l'offeso, ha operato una schematizzazione delle situazioni concrete in rapporto ai vari strumenti di comunicazione che possono dare luogo ora all'addebito ex art. 594, ora a quello ex art. 595 c.p.
In particolare:
Nel caso in esame, però, bisogna tener conto del concetto di "presenza" rispetto ai moderni sistemi di comunicazione, ritenendo che, accanto alla presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso, autore del fatto e spettatori, vi siano, poi, situazioni ad essa sostanzialmente equiparabili, realizzate con l'ausilio dei moderni sistemi tecnologici (call conference, audioconferenza o videoconferenza), in cui si può ravvisare una presenza virtuale del destinatario delle affermazioni offensive.
In questo casi, quindi, secondo la Corte, occorrerà valutare caso per caso: se l'offesa viene profferita nel corso di una riunione "a distanza" (o "da remoto"), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l'offeso, ricorrerà l'ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato) (come deciso da Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020). Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente "presenti" (in accezione estesa alla presenza "virtuale" o "da remoto"), ricorreranno i presupposti della diffamazione, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato quanto, per esempio, all'invio di e-mail (cfr. Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018)
Sulla base, quindi, dell'enucleazione del concetto di presenza virtuale, il Collegio osserva - reputandolo dato di comune esperienza, data la massiccia diffusione del sistema di messaggistica istantanea adoperato nel caso di specie - che la chat di gruppo di whatsapp consente l'invio contestuale di messaggi a più persone, che possono riceverli immediatamente o in tempi differiti a seconda dell'efficienza del collegamento ad Internet del terminale su cui l'applicazione viene da loro utilizzata; i destinatari possono, poi, leggere i messaggi in tempo reale (perché stanno consultando, in quel momento, proprio quella specifica chat) e, quindi, rispondere con immediatezza ovvero, come accade molto più spesso, possono leggerli, anche a distanza di tempo, quando non sono on line ovvero, pur essendo collegati a whatsapp, si trovino impegnati in altra conversazione virtuale e non consultino immediatamente la conversazione nell'ambito della quale il messaggio è stato inviato.
In considerazione, quindi, del funzionamento del servizio di messaggistica istantanea la Corte ritiene che la percezione da parte della vittima dell'offesa può essere contestuale ovvero differita, a seconda che ella stia consultando proprio quella specifica chat di whatsapp o meno; nel primo caso, vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone quanti sono i membri della chat perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente; nel secondo caso si avrà diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente.
Si ricorda che l'onore consiste nel sentimento che il soggetto ha di sé e del proprio valore; la reputazione, invece, nel sentimento che di tale soggetto ha la collettività.
L’onore, tutelato dalla fattispecie dell’ingiuria (ora depenalizzata), può essere leso, pertanto, solo in caso di offese rese in presenza del destinatario; la reputazione, tutelata dalla fattispecie della diffamazione, solo in caso di offese fatte in presenza di altri.
Quanto al requisito richiesto dalla norma, secondo cui gli atti lesivi devono essere diretti alla persona offesa, non si hanno dubbi che ciò accada allorché il messaggio sia veicolato da posta elettronica all’indirizzo del destinatario.
Più problematica risulta l’ipotesi in cui l’offesa sia veicolata attraverso un mezzo che raggiunge più persone contemporaneamente (newsgroup, mailing list, siti web). In questi casi, si ritiene non si integri l’ingiuria, bensì il delitto di diffamazione aggravata.
L’ampia casistica in materia di condotte diffamatorie presenta un intimo legame con l’attività giornalistica e la libertà di informazione, tale che l’evoluzione della giurisprudenza ne risulta fortemente influenzata. Si registra che un vastissimo numero di pronunce sia diretto all’accertamento della possibilità di invocare le scriminanti del diritto di cronaca e del diritto di critica nell’ambito della professione giornalistica.
Ma si pensi alle opinioni espresse attraverso siti internet, newsgroup e blog, che non necessariamente costituiscono mezzi di informazione giornalistica e per le quali non sono invocabili i diritti di cronaca o di critica.
Per molti, però, il diritto di critica non sarebbe una mera specificazione del diritto di cronaca e come tale non sarebbe invocabile esclusivamente da chi esercita l’attività giornalistica.
Il diritto di critica ha un carattere autonomo e può essere esercitato da chiunque, nel rispetto dei confini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di diritto di cronaca:
a) utilità sociale dell’informazione;
b) verità;
c) forma civile dell’esposizione dei fatti.
La sentenza: