La motivazione degli atti impositivi prima e dopo la delega fiscale

Articolo di Maurizio Villani e Marta Zizzari del 28/11/2023

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La recentissima Legge Delega n. 111 del 09 settembre 2023, recante Delega al Governo per la riforma fiscale”, entrata in vigore il 14 agosto 2023, prevede l’adozione da parte del Governo di decreti legislativi finalizzati alla revisione e alla modifica del sistema tributario.

Ebbene, l’art. 4 della citata Legge Delega n. 111/2023 prevede una serie di modifiche alla Legge n. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente) nonché i principi e i criteri direttivi che il Governo ha l’obbligo di seguire durante la revisione di tale Statuto.

Fra le modifiche di maggior impatto vi è certamente quella relativa all’obbligo di motivazione degli atti impositivi, che, ai sensi delcomma 1, lett. a) del citato art. 4, deve essere rafforzato e contenere, tra le altre cose, anche l'indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa erariale.

Ebbene, tale modifica relativa all’obbligo di motivazione degli atti impositivi trova attuazione nell’art.  1, comma 1, lett. f), della bozza del Decreto Legislativo adottato dal Consiglio dei Ministri il 23 ottobre 2023 in attuazione alla legge delega.

Al fine di comprendere la portata applicativa delle modiche previste dalla Legge Delega e dai successivi decreti di attuazione, occorre soffermarsi sull’attuale disciplina dell’obbligo di motivazione degli atti impositivi, la quale, come meglio si dirà in seguito, trova riferimento normativo nella Legge n. 212/200 (Statuto dei diritti del contribuente).

L’OBBLIGO DI MOTIVAZIONE DEGLI ATTI IMPOSITIVI

È pacifico che qualunque atto amministrativo, destinato ad incidere nella sfera giuridica del cittadino, deve, a pena di nullità, essere obbligatoriamente corredato da un’esaustiva motivazione.

Dunque, la motivazione degli atti impositivi costituisce un elemento irrinunciabile del procedimento, la cui violazione comporta la nullità dell’atto.

Sul punto, occorre richiamare l’attuale art. 7, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, rubricato Chiarezza e motivazione degli atti”, il quale, in attuazione dei principi costituzionali di chiarezza e motivazione degli atti, stabilisce espressamente che:

“Gli atti dell’Amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Dalla lettura della citata disposizione emerge chiaramente che la motivazione dell’atto impositivo deve rendere noto l'iter logico-giuridico su cui si fonda la pretesa fiscale, permettendo al contribuente di conoscere e comprendere tutti gli elementi alla base dell’accertamento.

In altri termini, l’art. 7 in commento indica una nozione di motivazione, comprendente non solo le ragioni di diritto, ma anche i presupposti di fatto e, soprattutto, i passaggi logici che conducono alla decisione finale dell’Amministrazione.

È evidente, pertanto, che l’obbligo di motivazione dell'atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono sempre essere forniti all’interessato non solo tempestivamente (inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.

Sulla funzione svolta dalla motivazione degli atti impositivi si è più volte pronunciata la Corte di Cassazione. Si cita, tra le tante, la sentenza n. 7056 del 26 marzo 2014, con la quale i giudici di legittimità si sono così espressi:

“(…) l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo «persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa» (Cass. 12 luglio 2006, n. 15842; v. in senso conforme Cass. 27 novembre 2006, n. 25064; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23009)”.

Sul punto, merita, altresì, di essere richiamata la recente ordinanza n. 13620 del 17 maggio 2023, con la quale la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui la motivazione dell’avviso di accertamento, come quella di ogni altro provvedimento amministrativo, è improntata alla salvaguardia dei principi di rango costituzionale di ragionevolezza, imparzialità e proporzionalità che governano l’agire amministrativo, commisurata alle esigenze di razionalità operativa e non arbitrarietà del potere discrezionale.

Ciò premesso, occorre sottolineare che, in tema di motivazione degli atti, l’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, al comma 1, secondo periodo, dispone che:

 “Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Pertanto, è consentito all’Amministrazione finanziaria motivare gli atti impositivi anche “per relationem”, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che le parti rilevanti siano pedissequamente trascritte, al fine di consentire al contribuente - ed al giudice in caso di impugnazione - di comprendere non solo le ragioni di diritto ma anche i presupposti di fatto e i passaggi logici-giuridici che hanno condotto l’Amministrazione a stabilire quella determinata pretesa fiscale.

In tal modo, dunque, si realizza un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e, quindi, di buon andamento dell'amministrazione, ex art. 97 Costituzione ) ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Costituzione) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa.

Tuttavia, sebbene la disposizione in commento non dica nulla a riguardo, la giurisprudenza di legittimità è granitica nell’affermare che, in tema di motivazione dell’atto, l’obbligo di allegare gli atti richiamati sussiste solo ed esclusivamente per quegli atti che non siano già conosciuti o conoscibili dal contribuente.

Sul punto, giova richiamare, ex multis,  l’ordinanza n. 34269 del 22 novembre 2022, con la quale i giudici di legittimità hanno chiarito che:

“(…) in tema di motivazione per relationem degli atti d'imposizione tributaria, costituisce principio consolidato quello per cui l'articolo 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all'atto dell'amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente a quegli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass., Sez. 5, 19.11.2019, n. 29968, Rv. 655917-01) ovvero dei quali non abbia, comunque, agevole conoscibilità (arg. da Cass., Sez. 5, 12.12.2018, n. 32127, Rv. 651783-01)”.

In tal senso, da ultimo la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16122 del 7 giugno 2023, ha così ribadito:

“(…), nella giurisprudenza di questa Corte molteplici sono le pronunce che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell'accertamento, hanno ritenuto sufficiente che l'atto esterno, richiamato da quello impositivo, fosse, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell'avviso; (…) ci si riferisce a quelle pronunce che hanno ritenuto legittima anche la motivazione per relationem che richiami, senza allegarli, atti che si possano presumere, solo iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell'accertamento (Cass., Sez. 5, 17 dicembre 2014, n. 26527; Cass., Sez. 5, 27 novembre 2015, n. 24254; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27628);

3.7 soprattutto, ci si richiama a quell'orientamento che, finanche nel caso di doppia motivazione per relationem, ovvero quando il documento menzionato nella motivazione dell'atto tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, ritiene sufficiente che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest'ultimo (Cass., Sez. 5, 17 maggio 2017, n. 12312; Cass., Sez. 5, 24 novembre 2017, n. 28060; Cass., Sez. 6-5, 4 giugno 2018, n. 14275; Cass., Sez. 5, 12 dicembre 2018, n. 32127; Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2021, n. 593; Cass., Sez. 5, 1 febbraio 2022, n. 3009; Cass., Sez. 5, 7 aprile 2022, n. 11283);

3.8 infatti, si deve ritenere che l'interpretazione giurisprudenziale della L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7, comma 1, ultimo periodo, nel senso che non sia nullo l'accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizzi un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell'azione amministrativa (e, quindi, di buon andamento dell'amministrazione, ex articolo 97 Cost.) ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex articoli 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell'atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell'atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa (Cass., Sez. 5, 7 aprile 2022, n. 11283); il rispetto del complesso dei principi appena enucleati è quindi essenziale affinchè la motivazione dell'accertamento, con particolare riferimento alla determinazione del tributo dovuto ed all'indicazione degli elementi posti alla base di tale quantificazione, possa consentire al contribuente la verifica sia della correttezza dei parametri utilizzati per la valutazione del presupposto dell'imposizione che del calcolo operato dall'amministrazione finanziaria (Cass., Sez. 5, 19 dicembre 2014, n. 27055; Cass., Sez. 5, 29 novembre 2016, n. 24220 Cass., Sez. 5, 7 aprile 2022, n. 11283)”.

Oltre all’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche alla base della pretesa fiscale, gli atti impositivi, per potersi ritenere assolto l’obbligo di motivazione, devono altresì contenere gli elementi tassativamente elencati al comma 2 del citato art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale così dispone:

“2. Gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:

a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;

b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;

c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili”.

Per completezza, si richiama altresì il comma 3 della citata disposizione, il quale così dispone:

“ 3. Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria”.

Alla luce dei tanto, ne discende che, qualora l’atto impositivo manchi di uno o più degli elementi previsti dall’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, si configura una violazione dell’obbligo di motivazione e, in caso di impugnazione, l’atto dovrà essere annullato.

IL NUOVO PRINCIPIO INDIVIDUATO DALLA DELEGA FISCALE: ART. 4, COMMA 1, LETT. A), DELLA LEGGE DELEGA N. 111 DEL 9 AGOSTO 2023

Come sopra anticipato, l’art. 4, comma 1, lett. a), della Legge Delega n. 111/2023 ha previsto un rafforzamento dell’obbligo di motivazione degli atti impositivi, i quali devono contenere anche l'indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa erariale.

Più nello specifico, il citato articolo, rubricato “Princìpi e criteri direttivi per la revisione dello statuto dei diritti del contribuente”, così dispone:

“1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1 il Governo osserva altresì i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione dello statuto dei diritti del contribuente, di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, le cui disposizioni costituiscono princìpi generali dell'ordinamento e criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria:

1. rafforzare l'obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediante l'indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa”.

In altri termini, ai sensi della citata disposizione, gli elementi di prova su cui si basa la successiva emissione dell’atto impositivo devono essere puntualmente indicati nell’atto stesso. In mancanza dell’indicazione delle provesu cui si fonda la pretesa, sorge una violazione dell’obbligo di motivazione e, di conseguenza, in caso di impugnazione dell’atto, il giudice deve dichiararlo nullo.

ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO INDIVIDUATO DALLA DELEGA FISCALE: ART. 1, COMMA 1, LETT. F), DELLA BOZZA DEL DECRETO LEGISLATIVO DI MODIFICAZIONI ALLO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE DEL 23 OTTOBRE 2023

Il rafforzamento dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 4 della Legge Delega n. 111/2023 trova attuazione nell’art.  1, comma 1, lett. f), della bozza del Decreto Legislativo adottato dal Consiglio dei Ministri il 23 ottobre 2023.

Il citato articolo, rubricato “Modificazioni allo Statuto dei diritti del contribuente”, così dispone:

“1. Alla legge 27 luglio 2000, n. 212, sono apportate le seguenti modificazioni:

(…)

f) all’articolo 7:

1) al comma 1, primo periodo, le parole: “Gli atti” sono sostituite dalle seguenti: “I provvedimenti”; le parole: “secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi indicando i presupposti di fatto” sono sostituite dalle seguenti: “, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova”; le parole: “che hanno determinato la decisione dell’amministrazione” sono sostituite dalle seguenti: “su cui si fonda la decisione”;

2) al comma 1, secondo periodo, dopo le parole: “ad un altro atto,” sono inserite le seguenti: “che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato”; le parole: “questo deve essere” sono sostituite dalle seguenti: “lo stesso è”; dopo le parole: “che lo richiama” sono inserite le seguenti: “, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati”;

3) dopo il comma 1, sono inseriti i seguenti: “1-bis. I fatti e i mezzi di prova a fondamento del provvedimento non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore provvedimento, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze. 1-ter. Gli atti della riscossione che costituiscono il primo atto con il quale è comunicata una pretesa per tributi, interessi, sanzioni o accessori, indicano, per gli interessi, la tipologia, la norma tributaria di riferimento, il criterio di determinazione, l’imposta in relazione alla quale sono stati calcolati, la data di decorrenza e i tassi applicati in ragione del lasso di tempo preso in considerazione per la relativa quantificazione. 1-quater. Le disposizioni del comma 1-ter si applicano altresì agli atti della riscossione emessi nei confronti dei coobbligati solidali, paritetici e dipendenti, fermo l’obbligo di autonoma notificazione della cartella di pagamento nei loro confronti.”;

4) il comma 3 è abrogato”.

La bozza del Decreto Legislativo, dunque, in ossequio all’art. 4 della Legge Delega n. 111/2023 che prevede di rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi mediante l’indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa, interviene sulla disciplina della motivazione degli atti tributari, stabilendo che i provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria devono essere motivati, “a pena di annullabilità”, con l’indicazione specifica dei presupposti, dei mezzi di prova e delle ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione.

Il Decreto, inoltre, in tema di motivazione per relationem, stabilisce espressamente che l’atto richiamato nella motivazione deve essere allegato all’atto principale se non è già stato portato a conoscenza del contribuente o se il suo contenuto essenziale non è stato riprodotto nell’atto.

Più nello specifico, l’art.  1, comma 1, lett. f), della bozza del Decreto Legislativo del 23 ottobre 2023 ha previsto le seguenti modifiche:

  • il nuovo comma 1, primo periodo, dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente sarà così formulato:

I provvedimenti dell’amministrazione finanziaria sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione”.

Dunque, in aggiunta all’obbligo di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base della pretesa fiscale, l’Ufficio deve obbligatoriamente indicare, altresì,  i mezzi di prova su cui si basa la successiva emissione dell’atto impositivo.

Per di più, si prevede espressamente che tali elementi devono essere indicati nell’atto a pena di annullabilità.

  • Il nuovo comma 1, secondo periodo, dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente sarà così formulato:

“Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato, lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati”.

A ben vedere, si tratta di un principio già proprio della giurisprudenza di legittimitàe che trova, a seguito della modifica dello Statuto dei diritti del contribuente, un espresso riconoscimento normativo.

Per di più, la nuova formulazione dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede un ulteriore obbligo in capo all’Amministrazione, ossia quello di indicare espressamente le ragioni per la quali ritiene che “i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati”.

  • È aggiunto il  comma 1-bis, ai sensi del quale:

1-bis. I fatti e i mezzi di prova a fondamento del provvedimento non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore provvedimento, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze”.

Ai sensi del nuovo comma, dunque, tutti gli elementi espressamente previsti dal comma 1 dell’art. 7 devono essere indicati ab origine,non potendo essere modificati dopo l’emanazione del provvedimento, se non mediante l’adozione di un secondo provvedimento e solo qualora ne ricorrano i presupposti di legge.

Anche in questo caso, si tratta di un principio già proprio del processo tributario che, a seguito delle modifiche nel senso sopra detto, trova un espresso riconoscimento normativo.

  • È aggiunto il  comma 1-ter, ai sensi del quale:

1-ter. Gli atti della riscossione che costituiscono il primo atto con il quale è comunicata una pretesa per tributi, interessi, sanzioni o accessori, indicano, per gli interessi, la tipologia, la norma tributaria di riferimento, il criterio di determinazione, l’imposta in relazione alla quale sono stati calcolati, la data di decorrenza e i tassi applicati in ragione del lasso di tempo preso in considerazione per la relativa quantificazione”.

Tale disposizione riguarda il primo atto della riscossione con il quale è comunicata una pretesa per tributi, interessi, sanzioni o accessori ed elenca, con riferimento agli interessi, tutti gli elementi che tale atto deve obbligatoriamente indicare per potersi ritenere assolto l’obbligo dei motivazione.

In particolare, con riferimento agli interessi, il predetto atto deve contenere i seguenti elementi:

  • la tipologia;
  • la norma tributaria di riferimento;
  • il criterio di determinazione;
  • l’imposta in relazione alla quale sono stati calcolati;
  • la data di decorrenza;
  • i tassi applicati in ragione del lasso di tempo preso in considerazione per la relativa quantificazione.
  • È aggiunto il  comma 1-quater, ai sensi del quale:

1-quater. Le disposizioni del comma 1-ter si applicano altresì agli atti della riscossione emessi nei confronti dei coobbligati solidali, paritetici e dipendenti, fermo l’obbligo di autonoma notificazione della cartella di pagamento nei loro confronti”.

Ai sensi di tale nuova disposizione, quanto espressamente previsto dal comma 1-ter si applica anche agli atti di riscossione emessi nei confronti di coobbligati solidali, paritetici e dipendenti.

  • Il comma 3 è abrogato.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Tirando le somme di quanto fin qui esposto, si può pacificamente affermare che le modifiche introdotte dalla Legge Delega n. 111/2023 e, in attuazione di quest’ultima, dalla bozza del Decreto Legislativo del 23 ottobre 2023, hanno l’obiettivo di rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, al fine di tutelare maggiormente il contribuente nonché di riequilibrare il rapporto tra quest’ultimo ed il fisco.

Peraltro, non può non rilevarsi che tale rafforzamento dell’obbligo di motivazione si pone perfettamente in linea con le recenti novità in tema di onere probatorio introdotte dalla Legge n. 130/2022 di riforma del processo tributario, entrata in vigore il 16 settembre 2022.

Ed invero, la citata Legge n. 130/2022 ha modificato l’art. 7 del D. Lgs. n. 546/92 (relativo all’onere della prova), aggiungendo il comma 5-bis, ristabilendo non solo le regole tradizionali in tema di onere probatorio, ma prevedendo, altresì, un maggior rigore nell’individuazione delle prove da parte dell’Amministrazione finanziaria, la quale deve provare i presupposti di fatto e di diritto della pretesa erariale.

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