La posizione giurisprudenziale
La Cassazione, con la recente pronuncia n. 10978 del 2023 afferma testualmente:
<<Il nesso di causa è provato quando la tesi a favore (del fatto che un evento sia causa di un altro) è più probabile di quella contraria (che quell’evento non sia causa dell’altro): il che si esprime con la formula del “più probabile che non”.
Nel caso di concorso di cause, che è ciò che si tratta di accertare qui, ossia nel caso in cui si tratta di verificare se la cosa ha contribuito causalmente all’evento insieme ad altre concause, quel principio di diritto è specificato nel modo seguente: “qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente”.
Naturalmente la probabilità riguarda il grado dell’inferenza, ossia: dai determinati indizi è probabile (più probabile che non) che la causa sia quella indicata dal danneggiato, ma non riguarda la rilevanza degli stessi indizi, che invece devono essere non già probabili, ma gravi, precisi e concordanti.
Con la conseguenza che il giudice di merito deve porre a base della decisione fatti che siano gravi, precisi e concordanti, e non meramente ipotetici o supposti come probabili, e da quei fatti deve indurre ipotesi ricostruttive del nesso di causa escludendo quelle meno probabili, e scegliendo, tra quelle rimaste, l’ipotesi che spiega il fatto con maggiore probabilità, sulla base degli indizi raccolti.
Non serve dunque nè la certezza, nè una elevata probabilità, come assunto dalla Corte di merito, bensì una valutazione delle ipotesi alternative e la scelta di quella più probabile, anche se di poco, rispetto alle altre, che non necessariamente si ponga come di elevata probabilità.
Ciò si spiega per il fatto che le probabilità numeriche di un fatto (che la cosa abbia concorso al danno) non necessariamente ammontano al 100%, ossia: data la tesi X e quella contraria Y, non necessariamente la loro somma porta al 100% (nel senso che la prima è data al 60% e l’altra al 40%, ad esempio).
Ciò accade perchè c’è sempre spazio per altre spiegazioni, molto meno probabili, che sono date ad una percentuale minore. Cosi che, scartate queste ultime, può accadere che le rimanenti, ad esempio quella sostenuta dall’attore e quella sostenuta dal convenuto, abbiano l’una il 30% e l’altra il 20%: la regola del più probabile che non, porta ad affermare come fondata la prima delle due, anche se non caratterizzata da una elevata probabilità, come ha preteso la corte di merito, quanto piuttosto di una probabilità maggiore dell’altra ipotesi.>>.
Consideriamo che ingiustizia sia il non dare a ciascuno secondo il suo (come opposto della giustizia, nella sua accezione di dare a ciascuno secondo il suo).
Ora poniamo il seguente esempio, che trae ispirazione dal c.d. paradosso dell’intruso (the paradox of the gatecracher2), per capire in concreto cosa vuol dire più probabile che non.
Tizio è proprietario e gestore del teatro Alfa.
Per partecipare allo spettacolo del Teatro Alfa, il costo dell’accesso è di 1,oo euro. Alfa ha 100 posti:
Tizio non riesce a distinguere chi ha pagato da chi non ha pagato perchè non è stato utilizzato alcun biglietto; di conseguenza agisce verso tutti per chiedere il pagamento.
Con il giudizio, per il criterio del più probabile che non (P(E) > 50%), ciascun spettatore è più probabilmente non pagante che pagante, con la conseguenza che tutti sono costretti a pagare 1,oo euro.
Pertanto, dopo il giudizio, in concreto accade questo:
In conclusione, nel caso in esame si realizzano due ingiustizie:
Quest’ultima è un’ingiustizia particolarmente pesante perché colpisce chi si è comportato bene, implicando, con una semplice analisi economica del diritto, che diviene più conveniente comportarsi male che bene; id est: è un sistema punitivo verso il cittadino onesto.
Nella sentenza de qua si menziona anche il caso di più di due ipotesi causalistiche, volendo applicare il medesimo criterio del più probabile che non.
Qui, la stessa3 parla esattamente di prevalenza relativa della probabilità: date più di due ipotesi alternative causali, andrà considerata vera quella relativamente più probabile (per esempio, se vi sono 3 cause alternative possibili pari al 30%, 30%, 40%, andrà considerata causa prevalente quella pari al 40%, ancorchè al di sotto del 50%).
Quest’ultima ipotesi è, però, pericolosa perché rischia di condannare civilmente un soggetto che abbia avuto una minima parte di responsabilità; a titolo meramente esemplificativo, ammettiamo una situazione con le seguenti cause alternative possibili:
Data la situazione indicata ed il criterio del più probabile che non (rectius: prevalenza relativa della probabilità), il giudice dovrebbe attribuire la responsabilità totale dell’evento al soggetto che ha posto in essere la causa D, per un 12%; ciò è un absurdum in quanto:
In questo senso, d’altronde, depone anche l’art. 1223 c.c., secondo cui il debitore deve risarcire solo per i danni che siano “conseguenza immediata e diretta”; ebbene, la conseguenza di una causalità del 12% non può che essere un danno del 12% e non oltre.
In aggiunta, si parla sempre più spesso del criterio risarcitorio c.d. all or nothing5 (oppure, altrimenti detto, aut Caesar aut nihil).
Trattasi di un criterio in base al quale, accertati tutti gli elementi strutturali dell’inadempimento o dell’illecito, il risarcimento deve essere per intero, indipendentemente dalla percentuale causalistica di determinazione dell’evento: se risarcimento del danno vi deve essere, allora deve liquidarsi per intero. Non conta se la causalità, soprattutto quella materiale6 , è stata accertata sulla base di criteri probabilistici (che è già ex se scelta criticabile7 ) e non di certezza: il danno va risarcito per intero.
Per esempio: se viene dimostrata una causalità materiale, determinante il c.d. danno consequenziale, ancorata al coefficiente del 50% + 1 (c.d. più probabile che non), il consequenziale danno andrà risarcito al 100%.
La giustificazione di tale opzione solitamente viene rintracciata:
Poniamo il seguente esempio:
Tizio cagiona a Caio una lesione grave; in sede di c.t.u., la causalità materiale attribuita a Tizio per la lesione grave è pari al 51%. Il giudice, ritenendo soddisfacente la c.t.u., condanna Tizio a risarcire il danno da lesione grave per il 100%, nonostante la causalità accertata sia del 51%.
La probabilità causalistica8 (inerente il c.d. più probabile che non) obbedisce alla seguente equazione:
x + y = 100
laddove
x >50%
y < 50%
Restando all’esempio fatto, avremo:
51 + y = 100 => y = 100 - 51 = 49
Pertanto:
Eppure il risarcimento dovuto sarà 100%.
In pratica:
L’all or nothing, altresì, è espressione di un’interpretazione non allineata all’art. 3 Cost., in quanto finisce per trattare in modo uguale situazioni giuridiche diseguali.
Nel dettaglio, impone il risarcimento totale di un danno in modo uguale (trattamento uguale) rispetto a colui che è causa del danno per una percentuale del più probabile che non oppure è causa esclusiva del danno (situazioni diseguali).
Si tratta, in definitiva, il più probabile che non come fosse una causa esclusiva di danno; si tratta un fatto come se fosse, ma non come è: ciò vuol dire certamente violare l’art. 3 Cost., ma anche compiere una fallacia evidente.
Poniamo i seguenti casi:
Ebbene: applicando il criterio dell’all or nothing, in entrambi i casi i medici (Tizio e Sempronio) dovrebbero risarcire per intero (100%) la morte del paziente (Caio e Bartolo); così si trattano in modo uguale le due situazioni che sono diverse, visto che Tizio è causa per il 52% rispetto a Sempronio che è causa per il 100%.
Le probabilità si calcolano con la seguente formula:
probabilità p dell’evento e => p (e) = numero casi favorevoli / numero casi possibili.
La probabilità che esca un numero pari a 4, lanciando un dado cubico è pari ad 1/6.
La probabilità che si peschi una carta di spade in un mazzo di carte napoletane è 10 / 40 = ¼ = 25%
Ebbene, come intuitivamente si può comprendere, questo sistema delle probabilità non ha nulla a che vedere con il sistema delle prove:
La giurisprudenza menzionata precisa che la causalità non viene calcolata secondo la probabilità frequentista, ma secondo quella “logica o baconiana”.
La probabilità frequentista è quella che riguarda la “determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana)”; è in sostanza il numero che esprime la frequenza relativa dell'evento in un gran numero di prove precedenti (tutte fatte nelle stesse condizioni).
É probabilità frequentista questa: è probabile al 60% che Tizio abbia colpito Caio lanciando una chiave inglese in aria se, ripetuto il fatto alle medesime condizioni, questo si verifica 60 volte su 100.
Per la giurisprudenza10, ai fini dell’accertamento del nesso causale11 non si usa la probabilità frequentista poc’anzi esposta, ma quella logica o baconiana.
Vediamo, allora, la probabilità c.d. logica o baconiana.
Escludiamo da subito il richiamo alla logica perchè plenoastico: ogni probabilità è logica, così come deve esserlo ogni accertamento causale; anche la probabilità frequentista è logica.
Non ha alcuna utilità precisare che una probabilità sia logica:
L’inciso “logica” non dice davvero nulla in più rispetto a “probabilità”.
Ne segue che, al più, resta spazio per approfondire la probabilità baconiana: cos’è? La probabilità, per definizione, imporrebbe di contare, ma non in quella baconiana. Con probabilità baconiana, la Cassazione12 dice che non si deve contare: come si fa, allora, a parlare di probabilità senza contare?
Invero, è possibile: approfondiamo il metodo baconiano, che in effetti non procede a conteggio in senso numerico.
Per Bacone13 , al fine di accertare un fenomeno, si doveva procedere nel seguente modo:
- prima eliminare possibili errori, o comunque elementi capaci di vulnerare la ricerca della verità (pars destruens);
- poi procedere, tramite metodo induttivo rigoroso, ad “interpretare la realtà” con la costruzione di un’ipotesi; questa viene elaborata tramite tre tavole:
a) raccolta dei casi positivi dove il fenomeno si realizza; questa tavola si chiama tabula praesentiae;
b) raccolta dei casi negativi, id est i casi dove il fenomeno non si è verificato; questa tavola si chiama abula absentiae in proximitate;
c) raccolta dei casi in una tavola di gradi, al fine di misurare il fenomeno; questa è chiamata tabula graduum.
- una volta costruita l’ipotesi, basata sui dati raccolti e per esclusione delle ipotesi non plausibili, si procede ad un esperimento definito cruciale (experimentum crucis); in dipendenza di quest’ultimo, l’ipotesi sarà confermata o smentita.
In sostanza, ed approssimando per ragioni di semplificazione, per Bacone, al fine di capire se un fatto si era verificato secondo determinate regole, bisognava procedere ad un test definito cruciale, in quanto idoneo a rispondere in senso dicotomico su un’ipotesi causale: la causa ipotizzata determina un determinato fatto oppure no.
La probabilità baconiana, dunque, esegue il metodo baconiano, che prevede un esperimento, a cui si affida la prova definitiva.
E’ un test aggiuntivo.
Nel processo civile, però, questo non avviene per la decisiva ragione che i fatti vengono accertati tramite le “prove proposte dalle parti” ex art. 115 c.p.c.: non si accerta la verità con il metodo baconiano tramite un test cruciale, ma tramite le prove14 che le parti indicano, da sottoporre ad un prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c.
Pertanto, si utilizza un criterio che:
- non solo è privo di espressa previsione di legge;
- ma soprattutto causa confusione menzionando
a) la certezza probabilistica che è una contraddizione in termini;
b) la probabilità logica, laddove la logica è concetto meramente pleonastico;
c) la probabilità baconiana, laddove, però, il metodo baconiano prevede un esperimento cruciale che non viene in concreto effettuato nel processo.
In ogni caso, la probabilità di riferimento non è quella quantitativa, malogicaobaconiana. Ebbene, che natura giuridica ha detto criterio del più probabile che non? La domanda è legittima per le ragioni dell’assenza di un riferimentonormativoespresso e della provenienza da sistemi di common law18 diversi dal nostro.
Si ritiene di rispondere così: il più probabile che non è una forma di presunzionesemplice, in linea con gli artt. 2727-2729 c.c., perchè si trae da un fatto noto(adesempio il danno) un fatto ignoto (ad esempio la causa).
Ciò implica che:
- il fatto noto, da cui si trae quello ignorato, deve essere certo; la conseguenza è che non si può ammettere una presunzione da altra presunzione perchè vorrebbe dire trarre un fatto ignorato da altro ignorato (c.d. praesumptio de praesumpto);
- è necessario utilizzare un criterio selettivo di gravità, precisione e concordanza, con la conseguenza che la prova non potrebbe dirsi raggiunta in assenza del soddisfacimento di detto criterio.
Si potrebbe anche aggiungere che:
- se il legislatore chiede il soddisfacimento dei requisiti di gravità, precisioneeconcordanza (art. 2729 c.c.) per le presunzioni semplici, allora ben potrebbe averlo preteso per tutte le prove , così da innalzare il livello di sufficienza probatoria a questi;
- il difetto della selezione dei requisiti richiamati (in sede di più probabile che non),ne potrebbe legittimare la ricorribilità per Cassazione ex art. 360, n. 3 c.p.c.
(1) Il presente articolo prende spunto anche dal volume VIOLA, Valutazione delle prove secondo prudente apprezzamento, Milano, DirittoAvanzato, 2021, nonchè da VIOLA, Fatto e diritto con un approccio giurimetrico, in La Nuova Procedura Civile, 3, 2022.
E’ stato pensato e scritto usando le seguenti formule:
(2) COHEN, The probable and the provable, Oxford, 1977, 75.
(3) Cassazione civile, sezione terza, ordinanza del 6.7.2020, n. 13872, cit.
(4) L’osservazione è di Enrico GIANNINI.
(5) Per approfondimenti, si veda il FOCUS sul c.d. “ALL OR NOTHING” (1 V 0): responsabilità civile e concorso di cause eterogenee.
(6) Si legge in Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 27.08.2020, n. 17893, in La Nuova Procedura Civile, 4, 2020, che La causalità nel mondo del diritto può essere materiale o giuridica. La causalità materiale deve legare una condotta illecita alla lesione d’un diritto, ed è disciplinata dagli artt. 40 e 41 c.p.. La causalità giuridica deve legare la lesione d’un diritto alle conseguenze dannose che ne sono derivate, ed è disciplinata dall’art. 1223 c.c.. La causalità materiale non è un “fatto”, come tale suscettibile di accertamento con documenti o testimoni. La sussistenza d’un rapporto di causalità è un giudizio, da compiere con gli strumenti della logica deduttiva, cioè col ragionamento. Il ragionamento deduttivo che gli artt. 40 e 41 c.p., impongono al giurista, quando si tratti di accertare il nesso causale ai fini della responsabilità civile, è quello probabilistico: un danno può dirsi causato da una condotta illecita quando sia ipotizzabile che le probabilità del suo verificarsi, se il responsabile avesse tenuto una condotta alternativa, sarebbero state minori delle probabilità contrarie.
Precisa Tribunale di Milano, sentenza del 1.7.2020, n. 3826, in La Nuova Procedura Civile, 4, 2020, che l’accoglimento d’una domanda di risarcimento del danno richiede l’accertamento di due nessi di causalità: a) il nesso tra la condotta e l’evento di danno – inteso come lesione di un interesse giuridicamente tutelato -, o nesso di causalità materiale; b) il nesso tra l’evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili, o nesso di causalità giuridica. L’accertamento del primo dei due nessi suddetti è necessario per stabilire se vi sia responsabilità ed a chi vada imputata; l’accertamento del secondo nesso serve a stabilire la misura del risarcimento. Il nesso di causalità materiale è dunque un criterio oggettivo di imputazione della responsabilità; il nesso di causalità giuridica consente di individuare e selezionare le conseguenze dannose risarcibili dell’evento.
(7) Si rinvia a VIOLA,Più probabile che non VS prudente apprezzamento, in La Nuova Procedura Civile, 3, 2020.
(8) Ci si riferisce a quella c.d. materiale.
(9) Fatta eccezione per i procedimenti cautelari.
(10) Si legge in Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 7.3.2022, n. 7355, che sul piano funzionale, la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso si sostanzia nell'accertamento della probabilità, positiva o negativa, del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale che pone al posto dell'omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio si conforma ad uno standard di certezza probabilistica che, in materia civile (come in quella penale), non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza del factum probandum nell'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili e alternativi) disponibili nel caso concreto, sulla base della combinazione logica degli elementi fattuali disponibili in seno al processo (cd. probabilità logica o baconiana).
(11) Per approfondimenti sulla prova del nesso causale, si veda l’ottimo contributo di STORANI, Il rapporto di causalità, in BELLOCCHI-LAMBERTUCCI-MARASCA (a cura di), I danni nel diritto del lavoro, Milano, 2021, 169; nello stesso volume è di grande interesse il problema del concorso di colpa del lavoratore, a pagg. 133, a firma di RINALDI.
(12) Per Cassazione civile, sezione terza, ordinanza del 6.7.2020, n. 13872: la nozione di probabilità "baconiana", o "logica", si distingue, dunque, dalla probabilità "quantitativa" (i cui concetti e calcoli poco si prestano - come osservato dalla migliore dottrina processualistica - a essere applicati al ragionamento sulle prove), riferendosi al grado di conferma (ossia al cd. "evidential weight", al peso probatorio) che l'ipotesi, relativa all'efficienza eziologica della condotta del preteso danneggiante a cagionare l'evento di danno lamentato dall'asserito danneggiato, riceve sulla base delle inferenze tratte dagli elementi di prova disponibili.
Si legge in Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 14.03.2022, n. 8114: secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità civile (sia essa legata alle conseguenze dell'inadempimento di obbligazioni o di un fatto illecito aquiliano), la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell'accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del "più probabile che non", conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana).
(13) BACONE, Novum Organum, 1620; l’opera può essere letta per esteso sulla Latin Library. Si veda anche ROSSI (a cura di), Scritti filosofici, Torino 2009, 572.
(14) Con il richiamo alle prove, qui si intendono quelle comunemente chamate libere. Nello stesso senso, LUDOVICI, Il thema probandum ed il canone di giudizio nel processo civile: più corretto affidarsi al diritto positivo, in La Nuova Procedura Civile, 1, 2021.