Quanto la pena sarà più pronta e
più vicina al delitto commesso,
ella sarà tanto più giusta
e tanto più utile.
La frase è di Cesare Beccaria, giurista e illuminista italiano, ed è tratta dal Capitolo XIX intitolato "Prontezza della pena" contenuto nell'opera "Dei delitti e delle pene" pubblicata nel 1764.
Riportiamo di seguito l'intero capitolo che appare di una straordinaria attualità pur essendo scritto oltre 250 anni fa.
Capitolo XIX
"Prontezza della pena"
Quanto la pena sarà più pronta e più vicina al delitto commesso, ella sarà tanto più giusta e tanto più utile. Dico più giusta, perchè risparmia al reo gl’inutili e fieri tormenti dell’incertezza, che crescono col vigore della immaginazione, e col sentimento della propria debolezza; più giusta, perchè la privazione della libertà essendo una pena, essa non può precedere la sentenza, se non quanto la necessità lo chiede. La carcere è dunque la semplice custodia di un cittadino, finchè sia giudicato reo; e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile, e dev’esser meno dura che si possa. Il minor tempo dev’essere misurato e dalla necessaria durazione del processo, e dalla anzianità di chi prima ha un diritto di esser giudicato. La strettezza della carcere non può essere che la necessaria o per impedire la fuga, o per non occultare le prove dei delitti. Il processo medesimo dev’essere finito nel più breve tempo possibile. Qual più crudele contrasto, che l’indolenza di un giudice, e le angoscie di un reo? I comodi e i piaceri di un insensibile magistrato da una parte, e dall’altra le lacrime, lo squallore di un prigioniero? In generale il peso della pena, e la conseguenza di un delitto dev’essere la più efficace per gli altri, e la meno dura che sia possibile per chi la soffre; perchè non si può chiamare legittima società quella dove non sia principio infallibile, che gli uomini si siano voluti assoggettare ai minori mali possibili.
Ho detto che la prontezza della pena è più utile, perchè quanto è minore la distanza del tempo che passa tra la pena ed il misfatto, tanto è più forte e più durevole nell’animo umano l’associazione di queste due idee, Delitto e Pena, talchè insensibilmente si considerano, uno come cagione, e l’altra come effetto necessario immancabile. Egli è dimostrato che l’unione delle idee è il cemento che forma tutta la fabbrica dell’intelletto umano, senza di cui il piacere ed il dolore sarebbero sentimenti isolati e di nessun effetto. Quanto più gli uomini si allontanano dalle idee generali e dai principii universali, cioè quanto più sono volgari, tanto più agiscono per le immediate e più vicine associazioni, trascurando le più remote e complicate, che non servono che agli uomini fortemente appassionati per l’oggetto a cui tendono; poichè la luce dell’attenzione rischiara un solo oggetto, lasciando gli altri oscuri. Servono parimente alle menti più elevate, perchè hanno acquistata l’abitudine di scorrere rapidamente su molti oggetti in una volta, ed hanno la facilità di far contrastare molti sentimenti parziali gli uni cogli altri, talchè il risultato, che è l’azione, è meno pericoloso ed incerto.
È dunque sommamente importante la vicinanza del delitto alla pena, se si vuole che nelle rozze menti volgari, alla seducente pittura di un tal delitto vantaggioso, immediatamente riscuotasi l’idea associata della pena. Il lungo ritardo non produce altro effetto che di sempre più disgiungere queste due idee; e quantunque faccia impressione il castigo di un delitto, la fa meno come castigo, che come spettacolo, e non la fa che dopo indebolito negli animi degli spettatori l’orrore di un tal delitto particolare, che servirebbe a rinforzare il sentimento della pena.
Un altro principio serve mirabilmente a stringere sempre più l’importante connessione tra il misfatto e la pena; cioè, che questa sia conforme quanto più si possa alla natura del delitto. Questa analogia facilita mirabilmente il contrasto che dev’essere tra la spinta al delitto, e la ripercussione della pena, cioè che questa allontani e conduca l’animo ad un fine opposto di quello, per dove cerca d’incamminarlo la seducente idea della infrazione della legge.
Sogliono i rei di delitti più leggieri essere puniti o nella oscurità di una prigione, o mandati a dar esempio, con una lontana e però quasi inutile schiavitù, a nazioni che non hanno offeso. Se gli uomini non s’inducono in un momento a commettere i più gravi delitti, la pubblica pena di un gran misfatto sarà considerata dalla maggior parte come straniera ed impossibile ad accadere; ma la pubblica pena dei delitti più leggieri, ed a’ quali l’animo è più vicino, farà una impressione che, distogliendolo da questi, lo allontani vie più da quelli. Le pene non devono solamente esser proporzionate fra loro ed ai delitti nella forza, ma anche nel modo d’infliggerle.