Stupefacenti: la detenzione, l'uso personale, il favoreggiamento e l'uso di gruppo

Articolo di Carlo Alberto Zaina del 28/06/2023

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Dopo aver affrontato il tema della ratio e i principali caratteri dell'art. 73 del Testo Unico stupefacenti (DPR 309/90) pubblichiamo un nuovo approfondimento in materia a cura dell'avv. Carlo Alberto Zaina.

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Stupefacenti: la detenzione, l'uso personale, il favoreggiamento e l'uso di gruppo
 

di Carlo Alberto Zaina


I caratteri generali della detenzione

Il verbo “detenere” sta a significare, tradizionalmente, la condizione vissuta da un soggetto che fisicamente esercita un controllo diretto ed immediato su uno o più beni (usualmente materiali).

Requisiti fondamentali sono l'animus detinendi, quale consapevolezza della condotta e la disponibilità della res.

L’azione del detenere, peraltro, “….non implica necessariamente un contatto fisico immediato tra soggetto attivo e sostanza stupefacente”[1].

Il detentore può procedere all'apprensione del bene, in qualunque momento e senza dovere ricorrere alla collaborazione di altri.

La situazione così descritta, può, però, trovare la sua esatta qualificazione solo a che alla condotta, intesa nella sua materialità, venga abbinato l'esame dell’approccio psicologico che l’agente manifesta nella propria azione rispetto al bene (od ai beni).

La detenzione può, talora, coincidere con il possesso, in quanto si esercita in rapporto ad una cosa, un potere assoluto non condizionato da interferenze altrui che si estrinseca in una vera e propria signoria di uso e dominio.

In altre occasioni, tale condotta individua, invece, in un’attività puramente materiale, cioè “neutra”, siccome priva dell’elemento qualificante consistente nella libera ed autonoma disponibilità della cosa controllata.

Si tratta, senza alcun dubbio, di quella condotta, tra le 17 previste dal comma 1° dell’art. 73 del TU stupefacenti,  che maggiormente ha fornito e tuttora fornisce spunti elaborativi sia di natura dottrinale, che giurisprudenziale.

Il concetto di detenzione si risolve, pertanto, come ipotesi residuale e terminale della norma incriminatrice.

Essa si palesa, infatti, come onnicomprensiva di tutti quei comportamenti che, non indicati espressamente dal co. 1, abbiano una qualche attinenza  con il traffico di sostanze stupefacenti.

Un vero e proprio dispositivo normativo di sicurezza, che DI GENNARO-LA GRECA ha definito “valvola di chiusura[2] e che FLORA ritiene fondamentale onde evitare spazi di impunità, in relazione a condotte non compiutamente ed espressamente codificate[3].

In giurisprudenza, rilevante appare la presa di posizione di Cassazione Sez. VI, 13 Aprile 1994 Manfrin[4], che ha fatto proprio tale principio, sostenendo che il legislatore, nell’art. 73, ha previsto l'ipotesi di una condotta onnicomprensiva di ogni altra, quale è quella della "detenzione illecita", che si pone perciò come previsione "di chiusura", implicitamente comprensiva di tutte le altre condotte elencate, dato che il concetto medesimo di detenzione deve essere esattamente volto a comprendere, oltre il fatto della relazione materiale con la sostanza stupefacente, anche la possibilità di disporre della droga senza il contatto con essa in virtù di un titolo attributivo di detta facoltà.

Già in precedenza – Sez. VI 4 giugno 1991 n. 8725 – al concetto di detenzione fu attribuito il significato di “..avere la disponibilità di una determinata cosa, cioè la concreta possibilità di prenderla in qualsiasi momento, senza la necessaria collaborazione di altri”.

Dunque, la detenzione – in relazione al tema in esame – appare non sussumibile nella nozione civilistica che qualifica la condotta in parola, come situazione di fatto diversa dal possesso, (che è definito all’articolo 1140 del codice civile, e che viene inteso come potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente alla proprietà o un altro diritto reale).

In realtà, la detenzione di sostanze stupefacenti, coincide con il relativo possesso, sicché l’agente ha piena disponibilità del compendio illecito e, salvo specifici casi, della proprietà dello stesso.

Appare, comunque, evidente che tale signoria sulla droga possa essere esercitata, anche senza un contatto fisico con la stessa[5].

Viene, così, escluso che  altri possano esercitare un diritto sulla cosa.

Ulteriore tranquillizzante conferma nel prospettato senso è data dalla sentenza di Cassazione Sez. IV, 19 Marzo 2003, n.17426, Oufatah e altri[6].

Affrontando l’argomento della individuazione del giudice competente territorialmente in presenza di commissione di plurimi comportamenti, il giudice di legittimità ha affermato che “In tema di stupefacenti, la competenza territoriale a conoscere del delitto di cui all'art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 si radica nel luogo d'ingresso della sostanza psicotropa entro il confine di Stato, ove tale luogo sia accertato, ed altrimenti appartiene alle autorità giudiziarie dei luoghi in cui le condotte penalmente rilevanti successive all'importazione (detenzione e trasporto) sono poste in essere”.

Questa impostazione è strettamente in sinergia con la natura di reato permanente  della detenzione ove illecita, su cui ci si soffermerà tra poco. Il carattere.

Giovi, ora – e solo in riferimento alla pronunzia che precede – sottolineare che il carattere di permanenza del reato determinerà la conseguenza dell’applicazione dell’art. 8 co. 3 c.p.p., ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente (salvo in ipotesi di non identificazione esatta dello stesso, dei criteri di cui all’art. 9).[7][8]

Sul valore residuale dell’utilizzo dell’art. 9 c.p.p. si veda anche Cass. Sez. IV Sent., 03/03/2010, n. 8665 (rv. 246851) che, in relazione al reato di detenzione di sostanza stupefacente trasportata su di un autocarro, la Corte ha escluso la competenza territoriale dell'A.G. del luogo di partenza del carico, poiché trattandosi di cospicua quantità, notoriamente prodotta all'estero, doveva applicarsi l'art. 9 cod. proc. pen., non essendo noto il luogo di introduzione nel territorio dello Stato.[9]

Conforme è, altresì, la posizione espressa da Cass. Sez. VII con l’Ord., 23/01/2018, n. 2851 (rv. 271950), che ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva determinato la competenza per territorio in relazione al luogo in cui l'imputato era stato sorpreso in possesso della sostanza, ed escluso la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria del luogo indicato dall'imputato come luogo di acquisto del possesso dello stupefacente, non ritenendo accertato il luogo di inizio della condotta illecita, in ragione dell'inaffidabilità e della reticenza delle dichiarazioni dell'imputato.

Quanto sopra sta a confermare indubitabilmente e comunque la vocazione di  norma onnicomprensiva, che la previsione della detenzione riveste nell’articolato sistema previsto dall’art. 73 comma 1.

Altro profilo significativo risulta quello prospettato da Cass. Sez. VI, 27 Giugno 1995, n.9901, Pedemonti.[10].

Nell’occasione il giudice di rito, oltre ad escludere la obbligatoria necessarietà  del contatto fisico con la cosa, ha affermato la natura di concretezza e di attualità della disponibilità della stessa da parte del soggetto, scartando la rilevanza di una utilizzabilità del tipo eventuale e futuro.

Su tale presupposto, pertanto, la Corte Suprema ha ritenuto non integrante la nozione di detenzione la situazione di colui che attenda il recapito e la consegna della sostanza stupefacente acquistata.

Sempre escludendo che il concetto di detenzione implichi il contatto fisico tra detentore e oggetto detenuto la Sez. VI dell’alta Corte, con la sentenza 27 febbraio  1995, n.751, Malservigi[11], ha concluso che la permanenza nel reato di detenzione illecita di stupefacenti cessa con il venire meno in capo al detentore della possibilità di riprendere la droga tenuta in nascondiglio noto solo a lui e, quindi, anche con il sequestro della sostanza.

Questa pronuncia appare particolarmente significativa, perchè permette, inoltre, di aprire una necessaria parentesi in ordine al carattere di reato permanente attribuito, in giurisprudenza, alla condotta di detenzione.

Si segnala, in proposito, Cassazione Sez. IV, 22 settembre 2021 n. 36163, che ha sostenuto che “Il delitto di detenzione di droga a fini di spaccio é reato permanente e la sua consumazione si protrae sino a quando é in essere la relazione di disponibilità della sostanza in capo al detentore” e che coerentemente perpetua un orientamento già palesato dalla stessa sez. IV, sin dalla sent. 20 Ottobre 1999, n.13028, Passarini[12]

Parimenti in dottrina, va, tra tutte le opinioni espresse in materia, sottolineata la posizione di NOBILE DE SANTIS[13].

Or bene, ciò posto, ritiene chi scrive che la idea di detenzione, sin qui esaminata, favorisca la convinzione che ci si trovi dinanzi ad un reato che, diversamente da quanto ritenuto correntemente, vada qualificato più correttamente come istantaneo ad effetti permanenti.

Se, infatti, l’agente assume la illecita signoria sul bene ed il correlativo potere di disponibilità della sostanza e, contestualmente appaia manifesta la volontà di non detenere il compendio a fini personali, la sola acquisizione del compendio determinerà il perfezionamento del crimine.

Vale a dire che il reato è commesso ipso facto, cioè istantaneamente con l’acquisizione (formale o fisica) del compendio illecito.

Il protrarsi nel tempo della condotta sarà, però, un mero effetto naturale indotto, assolutamente eventuale, per nulla necessario e decisivo al fine di dichiarare perfezionato il delitto, che tale è già in nuce.

Il detenere per tempo apprezzabilmente lungo lo stupefacente costituirà, quindi, solamente modalità dell’azione, che potrà, comunque, permettere, peraltro, di applicare al caso concreto il disposto dell’art. 382 comma 2° in tema di flagranza[14].

Nel senso così indicato devfe essere, quindi, interpretata la pronuncia della Sez. IV, della Cassazione, in data 12  Gennaio 1996, Caparco[15].

Questa decisione, applica il principio dell’assorbimento delle condotte in caso di acquisto e successivo trasporto di sostanze stupefacenti da una località ad altra ed esclude che si sia di presenza di condotte distinte integranti pluralità di ipotesi delittuose, tra le quali ravvisare la continuazione

La S.C. ha, pertanto, considerato che con l'acquisto e con la contestuale detenzione della droga il delitto si sia perfezionato.

Si deve, pertanto, ritenere che l’ulteriore trasporto dello stupefacente intervenendo temporalmente rispetto all'acquisto ed alla detenzione della medesima sostanza non alteri la struttura unitaria del fatto-reato che realizza contestualmente più azioni tipiche alternative previste dall'art. 73 comma 1 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che resta unico e già completamente perfezionato, venendo a rivestire, pertanto, solamente una ulteriore modalità dell’azione.

Si tratterrà, pertanto, di una circostanza suscettibile solo di valutazione accessoria, onde inferire dalla stessa una giudizio di maggiore o diversa gravità rispetto alla condotta costituente il reato.

La precisazione operata, comunque, non inciderà affatto in relazione alle problematiche eventualmente concernenti la competenza territoriale.

L’istantaneità o la permanenza soggiaciono, come già sottolineato, alla regola generale di cui all’art. 8, la quale individua in quello del locus commissi delicti (che coincide con quello ove è iniziata la permanenza) il giudice territorialmente competente.

La condotta detentiva, però, ha subito rilevanti modificazioni (ed ha perduto gran parte della originaria rilevanza penale) a seguito dell’esito del referendum del 1993.

Si è, così creato, una dicotomia fra detenzione penalmente illecita e detenzione amministrativamente illecita.

E’ bene, infatti, precisare – a scanso di equivoci – che la detenzione di sostanze d’abuso, pur se, talora, penalmente irrilevante,  non è, comunque, né liberalizzata, né legalizzata.

Dunque, il detentore che non fosse raggiunto da sanzione penale, (o perché venga ravvisato il fine di consumo personale, oppure per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto) sarà, comunque, suscettibile di sottoposizione al procedimento amministrativo disciplinato dall’art. 75 dpr 309/90.

Prima del DPR 5 Giugno 1993 n. 171 (di attuazione del referendum 18 Aprile 1993), la detenzione di stupefacente a qualsiasi fine – dunque anche ad uso personale – era, infatti, assolutamente vietata dall’art. 72 DPR 309/90 nonché dal comma 1° lettera c) dell’art. 78 che fissava i limiti della dose media giornaliera.

Come si è avuto modo di osservare, la ratio ispiratrice il T.U. 309/90 appare, infatti, tesa a rafforzare il primato assoluto della previsione repressiva, in ciò modificando profondamente le linee guida della precedente L. 685/75, che negava – attraverso l’istituto della modica quantità, correlata alla clausola di non punibilità di cui all’art. 80  – la perseguibilità giurisdizionale dell’uso personale.

Simile impostazione aveva trovato conforto in tre ravvicinate pronunzie reiettive della Corte Costituzionale, la 333 dell’11 Luglio 1991, la 133 del 27 marzo 1992, la 308 del 1° luglio 1992.

Il ragionamento comune alle tre decisioni del giudice delle leggi riposava nella circostanza che non è irragionevole, né arbitraria l’adozione di un criterio presuntivo, nell’ipotesi in cui la mera detenzione attenga ad un quantitativo di stupefacente che ecceda la dose media giornaliera.

Tale principio appariva ed appare, infatti, sicuramente armonico rispetto al fine che la norma persegue: la tutela della pubblica salute e la contestuale repressione di condotte che si pongano quale attentato a tale valore costituzionalmente garantito, giungendo all’atomizzazione dei comportamenti illeciti, in primis lo spaccio.

Conseguenza naturale – anche se irrazionale, non adeguata alle dinamiche fattuali ed in buona sostanza ingiusta - fu, pertanto, la equiparazione fra il soggetto che detenesse sostanza per uso personale, un quantitativo superiore al parametro legislativo (di natura ideologico-politica) e colui che detenesse propedeuticamente e funzionalmente ad una cessione in favore di terzi.

Si ritenne, in qualche modo che un serio temperamento che potesse riequilibrare i termini del problema, onde evitare la lamentata ingiusta omologazione processuale fra soggetti che rivestono posizioni ontologicamente e naturalisticamente ben diverse tra loro, potesse provenire dalla previsione dell’art. 73 comma V.

Era, invero, un palliativo, perché l’unica effettiva possibile distinzione avrebbe potuto essere solo quoad poenam, non venendo, infatti  affrontato (anzi eluso) il tema del valore scriminante della destinazione ad uso personale della droga detenuta.

Quella afferente alla lieve entità costituiva, infatti, di una norma nata per svolgere una funzione di cuscinetto e mediazione fra la ordinaria previsione punitiva di cui all’art. 73 comma 1 e 4 e la trama normativa di cui all’art. 75, che prevede le sanzioni amministrative.

L’esito della consultazione popolare dell’Aprile 1993 determinò un vera “abolitio criminis”[16], producendo, immediatamente, un nuovo ed innovativo orientamento, fondato:

  1. su di una valutazione della condotta detentiva, svincolata dall’elemento ponderale ed incentrata sulla presunzione di una destinazione della sostanza al consumo personale del detentore;
  2. sul conseguente principio che veniva, così, ascritto all’accusa l’onere di dimostrare la destinazione a fini differenti dall’uso personale dello stupefacente.

Implicito corollario all’innovativa attribuzione del dovere di provare in capo all’accusa la destinazione allo spaccio dello stupefacente è quello per cui “in caso di insufficienza o contraddittorietà della prova sul punto , il giudice deve pervenire ad una sentenza di assoluzione[17].

Conformemente a tale assunto il Tribunale Bari Sez. I Sent., 16/08/2021 ha precisato che “La detenzione di sostanza stupefacente in quantità inferiore alle soglie di cui all'art. 75, comma l bis del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 determina una presunzione (relativa) di uso personale. Ciò però non significa che il superamento di detti limiti quantitativi introduca automaticamente la presunzione opposta dello spaccio, giacché così si invertirebbe l'onere della prova a carico dell'imputato, in violazione degli artt. 27, comma 2 Cost. e 6, comma 2 CEDU.”

Con riguardo alla valutazione della condotta in relazione al dato ponderale le SS.UU., con la sentenza 28 Maggio 1997, n.4, Iacolare[18], hanno sgombrato il campo da ogni residuo dubbio interpretativo.

Si è, infatti, affermato che a seguito del referendum del 18/19 aprile 1993 (d.P.R. 5 giugno 1993 n. 171), il criterio quantitativo della sostanza stupefacente, sia nella detenzione individuale che in quella di gruppo, non può assurgere "ex se" a "discrimen" dell'ipotesi depenalizzata di cui all'art. 75 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ma può essere piuttosto assunto solo quale indice sintomatico di una detenzione, e quindi per uso, in tutto o in parte, non personale.

L’accettazione giurisprudenziale del superamento della presunzione previgente ed il ridimensionamento del valore dell’elemento quantistico è, pertanto, pacifica.

Non a caso Cassazione, sez. IV, dapprima con la decisione 18 Aprile 1997, n.1620, Miccoli,[19] ove si è detto che perchè sussista il reato deve essere l'accusa a fornire la prova rigorosa della destinazione allo spaccio, non potendo questa più essere desunta dal solo quantitativo della sostanza (la cui rilevanza non è incompatibile con la destinazione all'uso personale), sia da quella 28 Ottobre 1999, n.14515, Cafagna[20], ha ripreso l’argomento.

In quest’ultima deliberazione si è sottolineato che “A seguito dell'esito positivo del referendum abrogativo del 18 aprile 1993 e della conseguente approvazione del d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, la detenzione di sostanze stupefacenti per uso esclusivamente personale non costituisce più reato. In particolare l'esito referendario ha avuto come conseguenza il venir meno del previgente istituto della dose media giornaliera e l'irrilevanza giuridica dell'aspetto quantitativo ai fini della valutazione di rilevanza penale della detenzione della sostanza stupefacente. L'aspetto quantitativo può assumere esclusivamente un rilievo sintomatico della destinazione ad uso di terzi della sostanza detenuta. Arbitrario sarebbe, pertanto, escludere dal concetto di uso personale la costituzione di una "scorta" o "riserva", ciò ricreando una sorte di "dose media" e vanificando di fatto l'abrogazione conseguente all'esito del referendum”.

La stessa Corte Costituzionale 23 Luglio 1996, n.296, Pannella e altri C. Pres. Cons. [21] ha riconosciuto che dal combinato disposto degli art. 73 e 75 t.u. 9 ottobre 1990 n. 309, recante il Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti, nella portata risultante dall'esito positivo del referendum abrogativo sulla modica quantità, si desume che, confermato il contrasto verso la diffusione della droga, è stata isolata da una "cintura protettiva" e ritenuta sanzionabile solo con misure amministrative soltanto la posizione del tossicodipendente o tossicofilo, sulla base, insieme, oggettiva e teleologica delle condotte tassative dell'importazione, dell'acquisto e della detenzione unicamente se con il fine del consumo personale, mentre rimangono colpiti da sanzione penale gli altri comportamenti, o anche questi tre se privi dell'elemento teleologico accennato.

Relativamente al riequilibrio dell’onus probandi, si deve rilevare che è venuta meno quella presunzione di colpevolezza (della cui concreta e possibile incostituzionalità ben poco ci si è preoccupati), che poneva l’indagato in una condizione di inferiorità, rispetto all’accusa, con una vera e propria inversione dell’onere della prova.

In relazione alla specifica condotta si è intrapreso un cammino di armonizzazione rispetto ai principi generali in tema di prova (e relativo onere) portati dall’art. 187 e segg. c.p.p. .

Principio suggellato anche  dalla Sez. VI del Supremo Collegio, con la decisione 29 Aprile 2003, n.26709, Pezzella[22] che ha affermato come “A seguito della depenalizzazione della detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti in esito al referendum abrogativo di talune disposizioni del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309 (D.P.R. 5 giugno 1993 n. 171), la destinazione allo spaccio costituisce un elemento costitutivo del reato di illecita detenzione di droga (articolo 73 del D.P.R. n. 309 del 1990) e, come tale, deve ovviamente essere provata dall'accusa non potendo farsi carico all'imputato di provare la destinazione a uso personale della sostanza di cui e stato trovato in possesso”.

Prima ancora vanno segnalate varie decisioni.

Sul piano di legittimità va ricordata Cassazione Sezione VI, 20 Dicembre 1995, che ha riaffermato, sulla scorta di precedenti decisioni della stessa Sezione 16 Marzo 1995 n. 2799[23] e della  Sez. IV del  25 Febbraio 1994 n. 2534[24] come  “A seguito della depenalizzazione della detenzione per uso personale di sostanze stupefacente, intervenuta con il d.P.R. 5 giugno 1993 n. 171, dopo l'abrogazione referendaria del 18-19 aprile 1993, la destinazione allo spaccio è un elemento costitutivo del delitto di detenzione di droga, che deve essere provato dall'accusa. Tale prova può essere fornita facendosi leva, oltre che sulla quantità, quando sia tale da non essere compatibile con le condizioni economiche dell'imputato, sulle modalità di custodia dello stupefacente, sul luogo e sul modo in cui è avvenuto l'accertamento e sulla contestuale detenzione di specie diverse di sostanza”.

Questo lungo ed articolato iter ha trovato il suo definitivo acme nel D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, che ha radicalmente inciso sull’art. 73 e sul rapporto intercorrente fra tale norma e l’art. 75 dpr 309/90.

I nuovi rapporti con l'art. 75 dopo la emanazione della Legge. 79/2014 - i criteri per la valutazione della detenzione ad uso personale

L'art. 75 co. 1 dpr 309/90 [così sostituito dall'art. 1, comma 24-quater, lett. a), D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 maggio 2014, n. 79] ha conquistato un ruolo di centralità nel contesto del tema della detenzione.

Una saliente e decisiva novità normativa maturata successivamente alla sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, consiste, pertanto, in concreto nella traslazione di fatto dall'art. 73 comma 1 bis (dichiarato illegittimo costituzionalmente siccome introdotto dall'art. 4-bis, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272) al nuovo co. 1 bis dell’art. 75 (inserito dall’art. 1, comma 24-quater, lett. b), D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 maggio 2014, n. 79), dell’elencazione di una serie di elementi che, nell’intenzione del legislatore, dovrebbero fungere da specifici parametri di ausilio per il giudice.

Essi appaiono funzionali per potere pervenire ad una prognosi di destinazione delle sostanze, stupefacenti “ad un uso non esclusivamente personale” e  per valutare la non punibilità della detenzione di qualsivoglia sostanza.

Tale disposizione, pertanto, prevede sotto la rubrica “Condotte integranti illeciti amministrativi” la specifica non sanzionabilità penale, di chi importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti, per farne uso personale[25].

Il legislatore così, abbandona l'impostazione (introdotta con la L. 49/2006 denominata FINI-GIOVANARDI) della doppia negazione, la quale – con un infelice approccio semantico - caratterizzava il comma 1 bis dell'art. 73 (“ Con le medesime pene di cui al comma 1 e' punito chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene......sostanze stupefacenti o psicotrope.... appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale”), e riduceva la non punibilità della detenzione a mera ipotesi alternativa, puramente residuale e di grado subordinato rispetto all'illecito penale.

Viene, così, introdotta – come detto - una presunzione di irrilevanza penale (ovviamente iuris tantum e pro reo) di una serie di condotte, per l'ipotesi in cui l'agente versi in presenza di una condizione precisa e cioè in quella della destinazione all'uso personale della sostanza stupefacente di cui egli è stato trovato in possesso.

Gli elementi indicati nell'art. 75 comma 1 bis sono, alternativamente tra loro, la quantità della droga, sopratutto se non superiore ai limiti massimi indicati nelle tabelle ministeriali, le modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, oppure altre circostanze che caratterizzino l'azione da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale.

Dunque, il discusso profilo prospettico precedente è stato saggiamente ribaltato in toto dal legislatore del 2014 (con la esclusione dell'avverbio di negazione “non”), nell'evidente prospettiva e necessità di dare concreta attuazione – seppur a notevole distanza di tempo – sia al D.M. 5 giugno 1993 n. 171 (conseguente al referendum abrogativo del 1993), sia alla decisione 757/GAI/2004 della UE.

Entrambi i testi normativi richiamati, infatti, contengono precise disposizioni in base alle quali si prevede che il consumo di sostanze stupefacenti (e, dunque, la propedeutica detenzione delle stesse) non costituisca condotta che possa essere assoggettata a sanzione penale.

Balza all’evidenza la circostanza che – nella pratica giurisprudenziale – i limiti tabellari hanno, in realtà. perso gran parte del significato che il legislatore gli aveva attribuito, inserendoli nel novero tassativo delle circostanze da considerare fini dell'accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa.

Questo depotenziamento probatorio appare coerente con la giurisprudenza venutasi a formare (anche sotto la vigenza della L. 49/2006) e che come ad esempio Cass. Sez. VI, 21-11-2013, n. 2652 (rv. 258245) CED Cassazione, 2014, afferma che non si possa escludere la destinazione al consumo personale della droga detenuta “facendo ricorso al solo dato ponderale della sostanza detenuta, omettendo di valutare le modalità comportamentali dell'imputato astrattamente idonee all'applicazione della esimente”

Le condotte descritte espressamente dalla norma rimangono – come già anticipato -  illecite, ma solo sotto il profilo amministrativo.

La architettura del sistema così delineato dal dpr 309/90, pur apparendo del tutto consolidata, ha suscitato indubbiamente ancora qualche perplessità sul piano sistematico.

Non è, infatti, la norma incriminatrice per eccellenza – l'art. 73 – a contenere la previsione della non punibilità di talune importanti condotte tra le quali quella della detenzione, come, invece, sarebbe stato logico attendersi.

Il legislatore ha, così, creato un sistema biscuspide (art. 73 e art. 75), che tiene nettamente separate le condotte irreversibilmente illecite penalmente, da quelle che, invece, come rilevato, possono godere, in alternativa alla previsione sanzionatoria, della condizione di non punibilità data dalla destinazione della sostanza. al consumo personale.

La introduzione nel corpo dell'art. 75, del comma 1 bis [inserito dall’art. 1, comma 24-quater, lett. b), D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 maggio 2014, n. 79], che sostituisce, pur con qualche differenza puramente semantica, l'omonimo e precedente comma 1 bis dell'art. 73 [inserito dall'art. 4-bis, co. 1, lett. c), D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49 e dichiarato illegittimo costituzionalmente con sentenza 12-25 febbraio 2014, n. 32 (Gazz. Uff. 5 marzo 2014, n. 11 – Prima serie speciale)] costituisce, pertanto, scelta politica sintomatica di una nuova e diversa impostazione.

La scelta legislativa di degradare ad illecito amministrativo la detenzione finalizzata all’uso personale, escludendola dal novero delle condotte penalmente rilevanti, per quanto condivisibile, non ha placato i dubbi di compatibilità della stessa con Il tema della tutela dei beni giuridici presidiati dal compendio normativo di cui al dpr 309/90.

Se, infatti, “lotta alla diffusione degli stupefacenti”, considerata quale forma di protezione preventiva e repressiva dell’ordine pubblico e “difesa della salute pubblica” appaiono i paradigmi della tutela penale offerta dal complesso di norme in esame[26], appare stridente il conflitto fra il secondo di questi due capisaldi – la salute pubblica - e  la depenalizzazione quanto meno del consumo di sostanze, soprattutto con particolare riferimento ai derivati della cannabis.

In realtà, in linea di principio, non pare affatto censurabile l’opzione adottata , che appare esempio di scelta politica normativo-giudiziaria.

La condotta del detentore di stupefacente, prodotto destinato al proprio fabbisogno personale, (soprattutto in materia di cannabis) siccome destinata ad esaurirsi nella di lui sfera intima, senza presentare alcun tipo di proiezioni ab externo, non pare, infatti, connotata da profili di antigiuridicità e, in special modo, di offensività.

Questo postulato resiste pacificamente anche in presenza di quantitativi di sostanze che, obbiettivamente, non appaiano modici sul piano quantitativo e che superino i limiti tabellari relativi alla QUANTITA’ MASSIMA DETENIBILE di principio attivo detenibile.

Si deve, infatti, sottolineare – sul piano squisitamente metodologico – che la Q.M.D., come detto in precedenza costituisce quel criterio concepito normativamente per potere valutare la compatibilità del principio attivo contenuto nella sostanza stupefacente con la destinazione della stessa al consumo personale del soggetto possessore.

La Q.M.D. è il risultato della moltiplicazione fra la dose media singola (D.M.S.) ed un moltiplicatore di natura politica introdotto con il D.M. 11/4/2006.

La D.M.S.[27] ed il moltiplicatore variabile mutano a seconda della sostanza stupefacente.

Così

        1) per l'eroina la D.M.S. è di 25 mg, il moltiplicatore è pari a 10, la Q.M.D. è pari a  250 mg.;

        2) per la cocaina la D.M.S. è di 150 mg, il moltiplicatore è pari a 5, la Q.M.D. è pari a 750 mg.;

        3) per la cannabis la D.M.S. è di 25 mg, il moltiplicatore è pari a 20, la Q.M.D. è pari a 500 mg.;

        4) per l'MDMA la D.M.S. è di 150 mg, il moltiplicatore è pari a 5, la Q.M.D. è pari a  750 mg.;

        5) per le anfetamine la D.M.S. è di 100 mg, il moltiplicatore è pari a 5, la Q.M.D. è pari a 50o mg.;

        6) per l'LSD la D.M.S. è di 0,05 mg, il moltiplicatore è pari a 3, la Q.M.D. è pari a  0,150 mg. .

Il criterio della Q.M.D. appare tuttora vigente, nonostante l'intervento della sentenza 32/2014 della Corte Costituzionale che ha demolito in alcune significative parti l'impianto della L. 21/2/2006 n. 49, oggetto di numerose, reiterate e fondate critiche.

Il parametro in questione è stato ripristinato con la disposizione dell’art. 2 co. 1 del Dl  36/2014[28] che recita testualmente “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto ((riprendono)) a produrre effetti gli atti  amministrativi  adottati sino  alla  data  di  pubblicazione  della   sentenza   della   Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014, ai sensi del  testo  unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti  e  sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della  Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni”.

Dirimente è l’uso del verbo “riprendono”, riferito agli atti amministrativi pregressi ed in vigore al momento della pronunzia della sentenza n. 32/2014.

E tra questi era ed è ricompreso il DM 11 aprile 2006.

Prova giurisprudenziale dell’assunto viene, poi, fornita da Cass. Sez. VI, 17-11-2015, n. 543 (rv. 265756) CED Cassazione, 2016 che precisa testualmente che “per effetto della espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi dell'art. 75, comma primo bis, d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con modificazioni, del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, al fine di verificare la sussistenza della circostanza aggravante della ingente quantità, di cui all'art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, mantengono validità i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile”.

La novella legislativa ha, dunque, ratificato ufficialmente, ciò che sommessamente le difese degli imputati prospettavano – sovente inascoltate dai giudici nei processi - e cioè una presunzione di non punibilità della condotta puramente detentiva[29].

Una presunzione[30] che può essere, quindi, vinta solamente se l'accusa offra prove rigorose ed idonee a dimostrare che lo stupefacente, in tutto od in parte, sarebbe stato destinato e ceduto dal possessore a  favore di terzi[31].

La relativa prova, secondo il giudice di merito, competente all’accusa e può essere fornita facendosi leva oltre che sulla quantità, quando sia tale da non essere compatibile con le condizioni economiche dell'imputato, sulle modalità di custodia dello stupefacente, sul luogo e sul modo in cui è avvenuto l'accertamento e anche sulla contestuale detenzione di specie diverse di sostanza.

Si tratta di un principio consolidatosi medio tempore nella giurisprudenza di di merito.

Plastica espressione è data da Tribunale Genova Sez. I Sent., 14/06/2021 che afferma Nel sistema della normativa in materia di stupefacenti non è la destinazione all'uso personale della sostanza stupefacente che costituisce causa di non punibilità ma, al contrario, è la destinazione della sostanza allo smercio elemento costitutivo del reato di illecita detenzione. Pertanto non sta alla difesa dimostrare la destinazione all'uso personale della droga detenuta ma è l'accusa che secondo i principi generali deve dimostrare la detenzione della droga per un suo diverso da quello personale”.

Invero, deve essere evidenziato che in sede di legittimità tale orientamento era già stato recepito in epoca anteriore alla novella del 2014.

Esemplificativamente va, infatti, ricordata Cass. Sez. VI, 22-02-2011, n. 7578 D.A.[32],  la quale ha affermato che “In merito al reato di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, non spetta alla difesa dell'imputato fornire la dimostrazione di un uso personale dello stupefacente detenuto, dovendo essere sempre l'accusa, in ossequio ai principi generali, a dover provare una detenzione della droga per scopi diversi”

Principio confermato da Cass. Sez. VI, 10-01-2013, n. 6571, che ha sostenuto la tesi per cui un'eventuale inversione dell'onere della prova, apparirebbe, infatti, costituzionalmente inammissibile ex artt. 25, comma 2, e 27, comma 2 Cost. .

Invero, non si può, né è accettabile pensare ad una difesa dell'indagato/imputato che rimanga – sempre e comunque – inerte, attendendo le mosse della pubblica accusa e confidando in errori od omissioni degli inquirenti.

Costituisce, infatti, opzione assolutamente diligente e consigliabile, quella di adempiere al cd. onere di allegazione”, attività defensionale, che non deroga certo ai principi sin esposti.

Essa concretizza nell’esercizio di una facoltà di cui la persona inquisita ed il suo difensore sono titolari e consiste nella riserva di produrre al giudicante tutti quegli elementi che possano non solo contraddire e paralizzare la prospettazione accusatoria, ma che possano confermare - nel singolo caso – l'intangibilità della presunzione di detenzione non penalmente rilevante.

In proposito e soprattutto in relazione alla dialettica probatoria concernente la condotta detentiva si segnala la sentenza del Trib. Campobasso, 16-05-2016 che stabilito come “In materia di detenzione di sostanze stupefacenti, il principio in virtù del quale la prova della sussistenza della destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale è a carico dell'accusa, implica che, una volta che questa abbia giustificato l'esistenza di elementi indiziari della illiceità penale della detenzione, sorge a carico del soggetto un onere di allegazione di circostanze di segno contrario”.

            Ancora più radicale risulta la posizione assunta dal Tribunale Frosinone Sent., 16/04/2021 “Affinché si configuri il delitto di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, è necessario accertare positivamente l'inesistenza della finalità della detenzione ad uso personale, non essendo sufficiente la mancanza di prova di tale finalità, poiché ciò si risolve nella mancanza di prova sull'uso non personale della sostanza stupefacente e, quindi, nella mancanza di prova di un elemento della condotta”.

In questa pronunzia, addirittura, si delinea il principio per cui l’assenza di prova della destinazione dello stupefacente al consumo personale del possessore non determina affatto una presunzione di illiceità penale della condotta.

Dunque, il PM deve fornire prova positiva dell’illiceità[33] ed a carico dell’imputato non venga ascritti oneri probatori di sorta.

Né può essere, al fine di addebitare alla difesa l'obbligo di un onus probandi[34], fondatamente sostenuta la tesi che l'uso personale di sostanza stupefacenti possa rientrare nella categoria della cause di giustificazione (art 50 e segg. c.p.).

Il consumo personale deve, infatti, essere qualificato come causa di non punibilità in senso stretto [la quale rende, infatti, non punibile un fatto tipico (antigiuridico) e colpevole].

Tale condizione integra, infatti, una situazione che si colloca esternamente rispetto alla struttura del reato, non incidendo sull’esistenza materiale dello stesso, inteso come pura condotta.

Sebbene nella azione siano ravvisabili antigiuridicità e colpevolezza, ragioni di convenienza politico criminale consigliano di escludere l’applicazione della sanzione penale.

Corre, inoltre, l’obbligo di rilevare che il solo eventuale superamento del limite stabilito dal criterio della Quantità Massima Detenibile è stato ritenuto – in giurisprudenza[35] - in assenza di elementi di supporto, non è sufficiente per escludere la destinazione dello stupefacente all’uso personale.

In proposito Tribunale Ferrara Sent., 31/01/2022, che (pur citando in modo non corretto l’art. 73 co. 1 bis, in luogo dell’art. 75 co. 1 bis), afferma che “... il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall'art. 73, comma primo bis, lett. a), D.P.R. n. 309 del 1990 non costituisce da solo prova decisiva dell'effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, trattandosi di elemento indiziario da valutare unitamente ad altre circostanze di fatto utili a fondare tale conclusione”.[36]

A corollario di quanto sino ad ora considerato, ci si deve soffermare sulla circostanza che un accertamento necessario investe la sussistenza dell’elemento psicologico.

 E’ evidente che la prova della sussistenza di tale forma di elemento psicologico, non possa sempre essere raccolta in modo diretto (come ad esempio tramite una piena confessione), ma, nella maggioranza dei casi, essa debba venire ricavata per via indiretta.

Dunque qualsiasi elemento o dato indiziario (quantità, stato di tossicodipendenza dell’agente, costo della sostanza in rapporto alle capacità economiche, generale condotta dell’agente, suddivisione in dosi, presenza di strumenti per il taglio o il confezionamento delle dosi) può consentire di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza.

Questo principio è stato riportato giurisprudenzialmente dal Tribunale per i  Minorenni dell'Aquila, 23 Febbraio 1994, S. che ha affermato in proposito che per sanzionare la detenzione è necessario accertare di volta in volta il dolo specifico del "fine di cessione”.

L'lliceità penale della detenzione: l'importanza probatoria del profilo ponderale

In relazione al tema della quantità e del peso della sostanza la giurisprudenza di merito ha prodotto alcune pronunce particolarmente significative.

La sentenza del Tribunale di Roma IV sezione 25 Gennaio 2000[37], il quale ha ribadito che il solo dato quantitativo, in mancanza di sicuri elementi di prova dell'attività di spaccio da parte del detentore della sostanza (nella specie, cannabis), che devono essere forniti dall’accusa, non può ritenersi sufficiente ad affermare la penale responsabilità dello stesso in ordine al reato di spaccio, salvo che emergano circostanze in qualche modo sintomatiche di quell'attività.

La pronuncia fa riferimento ad una quantitativo di gr. 2533,415 netto di preparato di cannabis, quantità equivalente ad oltre 8230 singole dosi medie.

Analogamente la Corte d’Appello di Genova, Sezione III, con la sentenza 27 maggio 2002 n. 2206, ha sostenuto in relazione ad una fattispecie relativa alla detenzione di 451 dosi medie giornaliere di hashish e marijuana, che non sussiste limite alla detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale, avendo il legislatore rimosso il confine della dose media giornaliera e non avendo introdotto alcuna restrizione.

La Corte territoriale ha precisato, inoltre, che la destinazione della sostanza all’esclusivo uso personale ben può essere ritenuto sussistente non solo sulla base della personalità dell’imputato, delle sue qualità soggettive (tossicodipendente o no), della specificazione del principio attivo contenuto nella sostanza sequestrata, dell’assenza di alcuno degli strumenti canonicamente ritenuti sintomatici della finalità di cessione (strumenti di precisione per il peso, cellophane, strumenti per il taglio ed il confezionamento), della compatibilità tra le condizioni economiche del detentore ed il valore della droga, delle modalità di detenzione della droga, delle modalità spazio-temporali del sequestro della droga, ma anche dalla frammentazione dello stupefacente detenuto che emerga dall’analisi tossicologica e sia             rivelatrice di acquisto da fornitori diversi e pertanto, unitamente agli altri elementi, sintomatica della destinazione ad uso personale.

Il canone relativo alla dimensione del quantitativo della sostanza diviene significativo, a maggior ragione, se corroborato e riscontrato da altri elementi che possano assumere spessore probatorio.

In questo senso Corte d'Appello Napoli Sez. VI Sent., 19/01/2023 che evidenzia che “….come dato confortante la destinazione al fine di spaccio depongono non soltanto la quantità della sostanza rinvenuta e il superamento delle soglie di legge detenibili per uso personale, ma anche le modalità di occultamento della stessa- all'interno di scatole di scarpe, di un sottovaso posizionato sotto un telo e di un cesto di vimini - nonché il rinvenimento di fertilizzante, stimolatore per radici, vitamine per piante, strumenti questi che depongono per un'attenta organizzazione dell'attività volta alla produzione di quantitativi superiori di sostanza”.

E così pure il Tribunale Bari Sez. II Sent., 26/07/2022, che ai fini del giudizio di rilevanza penale della detenzione di stupefacenti ritiene che si debba avere  “riguardo al dato quantitativo e ponderale, alle modalità di presentazione e di eventuale confezionamento dello stupefacente nonché ad ogni altra circostanza dell'azione….”, sicché “…..la condotta non appaia destinata all'uso esclusivamente personale, atteso che in tale ultimo caso la condotta integrerebbe il mero illecito amministrativo di cui al primo comma dell'art. 75 del D.P.R. 309/1990….”.[38]

Meritevole di considerazione è  l’orientamento espresso dalla sentenza del Tribunale di Rimini 3 Luglio 2000,  la quale escluse rilevanza penale alla detenzione di un quantitativo di derivati di cannabis, pur se consistente in presenza di prove contrarie favorevoli all’imputato[39].

Parimenti va ricordata Corte d’Appello di Milano, 18 giugno 2001[40] che, a propria volta, ha aderito all’orientamento in parola.

La Corte territoriale in relazione ad un fatto detentivo ha, infatti, sostenuto che “Non può dirsi raggiunta la prova in ordine alla responsabilità per il reato di detenzione e importazione di sostanze stupefacenti laddove non siano acquisiti univoci elementi di prova in ordine alla finalizzazione allo spaccio, non potendo al riguardo ritenersi indici sufficienti il quantitativo non modico nè una precedente condanna per il reato di importazione di stupefacenti, laddove la situazione di persona dedita all'uso di stupefacenti e il quantitativo tale da non giustificare un viaggio all'estero per finalità di illecito commercio rendono verosimile che l'importazione sia avvenuta per uso personale”.

Ed ancora Tribunale di Milano, 21 Marzo 2000, in Foro Ambrosiano, 2000, 400 che, sul presupposto che il referendum abrogativo del 18-19 aprile 1993 ha determinato l'abrogazione della "dose media giornaliera" e del divieto dell'uso personale non terapeutico di stupefacenti, ha precisato che laddove manchi la flagranza del reato dello spaccio è onere dell'accusa dimostrare che la sostanza non era detenuta per fini personali: essendo la destinazione della droga allo spaccio uno degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 non è l'interessato a dover giustificare la destinazione della sostanza all'uso personale.

La quantità della sostanza – prosegue il Collegio -  costituisce certamente l'elemento probatorio più importante ai fini dell'accertamento del reato, ma nel caso di quantitativo non piccolo ma neppure ingente, tanto che sarebbe applicabile in caso di condanna l'attenuante del fatto di lieve entità, devono soccorrere altri elementi ai fini della prova della destinazione allo spaccio[41].

La prova della detenzione illecità. Tipologia e casistica

Come si è sottolineato, l’accertamento della tipologia di illecito – penale od amministrativo – che connoti la condotta detentiva, non sfugge al divieto di inversione dell’onere della prova.

La dimostrazione della riconducibilità al circuito penale della stessa è posta a carico dell’accusa, che deve vincere la presunzione specifica di destinazione della droga al consumo personale del detentore sancita con il nuovo art. 75 co. 1 bis dpr 309/90.

L’armonizzazione del principio specifico in tema, con quello previsto e declinato dall’art. 187 e segg. c.p.p. è stato riaffermato anche recentemente da  Cass. Sez. IV, 5/12/2022, n. 45920, che ha sostenuto che “….sia la prova della destinazione della droga ad uso personale, sia quella della destinazione allo spaccio, può essere tratta da qualsiasi elemento o dato indiziario che - con rigore, univocità e certezza - consenta di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza”[42].

Si tratta di una conferma della linea ermeneutica in vigore da alcune decine di anni, anche – sovente – nell’ambito dei procedimenti penali è invalsa l’erronea prospettiva di ritenere assolta l’acquisizione della prova di responsabilità, attraverso un’errata operazione di interpretazione della locuzione “detenzione a fine di spaccio”.

L’uso di tale espressione, in luogo della più corretta “detenzione penalmente illecita”, è risultato pesantemente fuorviante, perché ha indotto gli operatori del diritto a ritenere di poter muovere, nel giudizio sulla natura giuridica della condotta in esame, da una sorta di presunzione contra reo.

Già oltre 27 or sono, il Tribunale di Sanremo, (sent. 23 Gennaio 1996 N. 22) ebbe a fissare il principio della assoluta rigorosità della prova della destinazione della sostanza allo spaccio[43].

Raccordo a questi due momenti, si rinviene nella decisione di Cass. Sez. VI intervenuta medio tempore, in data 11/2/2013 n. 6571 che muovendo dalla considerazione che “Il superamento dei limiti tabellari non può neanche rappresentare una presunzione relativa, nel senso che, superato il limite delle tabelle, sia l’imputato a dovere offrire la prova insuperabile della destinazione ad uso personale” attribuisce al P.M. l’onere di eventualmente, “valorizzare, ma nello specifico contesto fattuale, i parametri citati quali indizi ed utilizzare le tabelle per la corretta individuazione del numero di dosi utili che possano essere ricavate dalle varie e numerose sostanze inserite nell’elenco delle sostanze stupefacenti”.

Vanno, poi, menzionati altri paradigmi dai quali ricavare la conclusione che le sostanze stupefacenti detenute non sono destinate dal possessore ad un uso esclusivamente personale.

Essi possono essere modalità di presentazione delle sostanze, avuto riguardo al peso lordo complessivo, confezionamento frazionato, o, comunque, più genericamente, altre circostanze dell'azione.

La disamina di quest’ultimo parametro, talora ha assunto portata decisoria preponderante, pur presentando caratteri di genericità tali da sfiorare l’indeterminatezza.

Esso si fa, invero, preferire agli altri, proprio perché sembra favorire una valutazione contestualizzata di elementi anche atipici e pare poter riverberare ed estendere effetti condizionanti anche sui requisiti del peso lordo e delle modalità di confezionamento.

E', comunque indubbia la correttezza costituzionale del ricorso normativo ad una previsione globale di chiusura, che, si palesa come necessaria, in quanto  funge da valvola di sfogo in relazione a situazioni spesso non utilmente tipicizzabili.

Così, collocati all’interno di una più esteso orizzonte processuale, che muove dall’ampiezza degli elementi fattuali, che compongono le circostanze dell’azione, sia il peso lordo dello stupefacente (cioè quello che comprende anche il materiale di scarto), che la tipologia con la quale avviene l’impacchettamento – frazionato o accorpato – della droga, possono assumere significati differenti rispetto a quelli che essi potrebbero assumere, se tali dati venissero valutati in sé.

Ovvia conclusione che si può trarre è quella che, in presenza di quantità non esigue o di confezioni plurime, ovvero di entrambe le situazioni, il criterio residuale delle "altre circostanze dell'azione” dispiega effetti decisivamente dirimenti.

Ciò posto si deve osservare che anche gli altri canoni valutativi (le modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato) non presentano carattere di novità legislativa, o di singola decisività rispetto allo status quo anteriore alla novella della  L. 16 maggio 2014, n. 79.

E' di tutta evidenza che, quindi, sostanzialmente il metro di valutazione giurisprudenziale non abbia subito apprezzabili modifiche.

Esemplificativamente, è stata esclusa dal Trib. Perugia, 5 Agosto 2015[44],  la destinazione al consumo personale della droga rinvenuta nella disponibilità del soggetto “qualora la stessa si presenti già ripartita in più involucri ed il numero di dosi sia, comunque, di per sé incompatibile con una destinazione meramente personale

Ulteriore indice di probabile destinazione a terzi sono risultate essere anche altre circostanze della condotta detentiva quali – ad esempio - il fatto che l'imputato sia privo di redditi che gli consentano comunque di acquistare droga o, che, essendosi avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia o di convalida, non abbia di fatto dichiarato di fare uso di sostanze stupefacenti.

Sono questi – per definizione giurisprudenziale  – fattori delibativi connotati da un carattere sostanzialmente ed esclusivamente probatorio.

Questi elementi paradigmatici (definiti “sintomatici oggettivi e soggettivi”) 1 hanno, infatti, assunto una rilevanza certamente suppletiva, posto che essi in situazioni di assenza di scambio o di cessione, si possono proporre quale prova indiziaria della finalità di spaccio.

Il Tribunale del Riesame di Napoli, X sezione, 20 Giugno 2005 n° 4271/2005, individua, quali indici rilevatori del "fine di cessione":

  1. la circostanza che l'imputato fosse in compagnia di altri giovani che gli stavano chiedendo sostanza stupefacente;
  2. la circostanza che, al momento dell'intervento della polizia giudiziaria, l'imputato avesse gettato l'involucro contenente droga e invitato gli altri giovani ad allontanarsi;
  3. la circostanza che la droga detenuta fosse già confezionata in dosi;
  4. la circostanza, infine, che l'imputato avesse con sè un coltello, strumentale alla preparazione delle dosi in quanto presentante tracce dello stupefacente).

In dottrina va, poi, segnalato AMATO[45], che con estrema lucidità ha sempre distinto:

  1. le condotte di accertata destinazione a terzi della sostanza stupefacente, quali quelle caratterizzate dalla flagranza dello spaccio, rispetto alle quali non possono non trovare applicazione le sanzioni penali;
  2. le condotte, invece, in cui manchi la flagranza dello spaccio[46].

In tal caso è  onere dell'accusa (cioè del p.m.) dimostrare che la sostanza non era detenuta per uso personale, ma per finalità di spaccio.

L’autore addita, inoltre, in sensoconforme, Sez. VI, 15 novembre 1993, Mulas, in Foro it. 1994 ,II, c. 695[47].

Su tale abbrivio, quindi, prove – peraltro di carattere atipico - in base alle quali l'accusa può dimostrare la destinazione dello stupefacente allo spaccio, con configurabilità dell'art. 73 sono state, esemplificativamente, ritenute:

  1. il fermo di un corriere della droga sorpreso alla dogana con celati nei bagagli o nella sua persona numerosi involucri contenenti droga;
  2. la presenza di un soggetto, accertatosi non essere tossicodipendente, nella cui abitazione è stata sequestrata un'importante quantità di sostanza stupefacente;
  3. la presenza di un soggetto, privo di attività lavorativa e di alcuna altra dimostrata fonte di reddito, trovato in possesso di droga,  il cui commercio può fondatamente ritenersi essere l'unico modo per procacciarsi i mezzi di sussistenza;
  4.  il dato quantitativo della sostanza stupefacente che risulti esorbitante[48];
  5.  il costo elevato della droga;
  6.  la situazione economica in cui versi l'imputato[49];
  7. la non tossicodipendenza del possessore;
  8. la qualità dello stupefacente.[50]

Le osservazioni sul punto appaiono, invece, meno semplici, ove si verta in ambito di quantità seppur non particolarmente elevate ed astrattamente idonee a poter integrare l'ipotesi del fatto lieve, o, comunque, realmente compatibili, attraverso il risultato fornito dal parametro della Q.M.D., con il fabbisogno personale del detentore.

In tal caso, come già riaffermato, il contesto ponderale non può essere ritenuto da solo idoneo a provare la destinazione a terzi della sostanza.

In una simile situazione di incertezza devono venire richiamati altri eventuali ed ulteriori elementi indiziari[51] (in aggiunta a quelli già elencati) desumibili dalla tipologia della vicenda.

Essi possono consistere :

- nella condizione di tossicodipendente[52] ,

- nelle condizioni economiche del detentore[53],

- nelle modalità di custodia e di frazionamento della sostanza,

- nel rinvenimento di sostanze e mezzi idonei al taglio,

- nel luogo teatro dell'accertamento del fatto[54].

Quanto alle metodiche accertative – soprattutto in relazione alla verifica dell’effettiva classificazione come drogante della sostanza - Cass. Sez. VI Sent., 21/10/2022, n. 40044 (rv. 283942-02) ha precisato che “In tema di stupefacenti, ai fini della configurabilità di una delle condotte di cui all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è indispensabile un accertamento peritale della qualità e quantità della sostanza stupefacente, ancorché sequestrata, potendo risultare sufficiente anche il solo narcotest, a condizione che il giudice fornisca adeguata motivazione in merito alla sussistenza di elementi univocamente significativi della tipologia ed entità di detta sostanza”.

Nella medesima direzione si era orientata già  la pronuncia della Sez. VI, 20 Dicembre 1995, che

  1. in primo luogo, ribadisce che la destinazione dello stupefacente allo spaccio è un elemento costitutivo del delitto di detenzione di droga, che deve essere provato dall'accusa.
  2. in secondo luogo, precisa che la prova della finalizzazione allo spaccio può essere fornita facendosi leva, oltre che sulla quantità, quando sia tale da non essere compatibile con le condizioni economiche dell'imputato, sulle modalità di custodia dello stupefacente, sul luogo e sul modo in cui è avvenuto l'accertamento e sulla contestuale detenzione di specie diverse di sostanza.

Consequenzialmente, ogni altra situazione, nella quale non sia stata accertata flagrante attività di spaccio ed in cui latiti qualsiasi altro concreto elemento che possano portare a sostenere fruttuosamente l'accusa per il delitto di cui all'art. 73 d.P.R . n. 309/90, non può che legittimare la destinazione della sostanza all'uso personale.

Deriva da ciò, a prescindere dal quantitativo della sostanza e, quindi, anche per quantitativi non limitati, l'applicazione della sanzioni amministrative previste dall'art. 75 d.P.R. n. 309/90.

Quello ratificato dalla L. 79/2014 – con la modifica degli artt. 73 e 75 dpr 309/90 -non è stato, però, un mutamento indolore.

Una parte, invero minoritaria, della giurisprudenza ha purtroppo, manifestato una inspiegabile propensione a mantenere lo status quo ante, ascrivendo all’imputato il dovere di dimostrare l’infondatezza dell’accusa.

Ad esempio si ricorda che Cassazione Sezione IV, sentenza 6 Marzo 1996 n. 2525 ha ribadito come “La detenzione di sostanza stupefacente integra il reato di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90 a meno che l’agente non dia prova della destinazione della sostanza medesima al proprio esclusivo uso personale.”

Su posizioni implicitamente analoghe va, inoltre, richiamata la pronuncia della Sez. IV, 13 Maggio 1997, n.4614, Montino[55], che impone anche all’imputato il dovere di dimostrare probatoriamente l’assunto difensivo, temperando quel carico usualmente imposto ex lege all’accusa, in ordine alla destinazione dello stupefacente allo spaccio.

Il giudice, infatti, secondo la massima in questione può trarre argomenti valutativi da qualsiasi elemento o dato indiziario che - con rigore, univocità e certezza - consenta di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza.

Si tratta, come detto, di posizioni – in realtà minoritarie – ma esse appaiono significative di un resistenza culturale di parte della magistratura, sia inquirente che giudicante, ad accettare la espressa codificazione dello specifico onus probandi in tema di stupefacenti.

Taluno, infatti, non ha fatto mistero di un approccio – rispetto alla valutazione della condotta detentiva - viziato da spiccati profili di negativo apriorismo, consistenti nel ritenere sussistente in re ipsa la prova dell’illecito penale e fondati su evidenti pregiudizi

Parimenti, va segnalata la presa di posizione del Giudice Monocratico di Rimini, 5 Agosto 2005, Pote, (inedita), che si pone in conflitto con la giurisprudenza maggioritaria, aderendo alla tesi minoritaria ed imponendo in capo all’imputato l’onus probandi della destinazione a scopi personali della droga[56].

Dette sentenze si posero in scia rispetto alla posizione assunta dalla  Sez. IV, 27 Marzo 1997, n.3498, Riccelli[57], che sostenne che “l'onere della prova dell'uso personale grava sull'imputato. Il d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, infatti, ha relegato nella sfera dell'illiceità penale qualsiasi forma di detenzione non autorizzata (art. 73), rinunciando eccezionalmente alla sanzione penale nei confronti di chi illecitamente detiene la sostanza stupefacente per farne uso personale (art. 75). Se, quindi, la regola generale, dettata dall'art. 73, è che si tratta di illiceità penale, fatta eccezione per l'ipotesi di cui all'art. 75, l'illiceità meramente amministrativa, prevista da tale ultima disposizione, costituisce un'eccezione alla regola generale (dell'illiceità penale) e, conseguentemente, la prova deve essere fornita da chi deduce l'eccezione stessa, secondo il parametro logico - giuridico fornito dall'art. 2697 c.c., assurto a valore di principio generale del diritto processuale”.

Si tratta di una decisione che formò oggetto di valutazione negativa da parte di AMATO nella nota Incertezze interpretative sull'onere della prova in materia di sostanze stupefacenti[58].

La dicotomia, comunque, appare, come, peraltro, già precisato, ormai palesemente superata, lasciando spazio ad un dibattito giurisprudenziale che attiene, con maggiore pregnanza e fondatezza, alle fonti della prova cui l’accusa debba attingere.

E’, peraltro, necessario osservare che, talora, nel corso delle indagini l’accusa fornisce elementi che possono astrattamente essere idonei ad assolvere all’onere probatorio di dimostrare la verificazione di un illecito.

Affrontando una situazione di questo tipo Tribunale Frosinone Sent., 19/07/2018, ha sostenuto che In tema di stupefacenti, in presenza di univoci elementi indizianti, l'onere della prova dell'uso personale grava sull'imputato in quanto i fatti debbono essere allegati e provati da chi ne abbia conoscenza e più facilmente possa ricercare e offrire la prova relativa.

Non si tratta, quindi di un caso in cui si ritiene possibile l’ammissibilità dell’inversione dell’onere della prova., quanto piuttosto di una corretta applicazione dei principi codicistici generali contemplati nell’art. 187 e segg. c.p.p. .

Consegue, pertanto, l’ovvia, quanto evidente conclusione che, nonostante la copernicana rivoluzione determinata dal referendum del 1993, prima e dalla L. 79/2014, poi, la detenzione di stupefacente, che risulti, a seguito di rigoroso vaglio probatorio, affrancata da una finalità esclusivamente personale da parte dell’agente, e come tale anche solo potenzialmente destinata alla fruizione di terze persone, continuerà a ricadere nella previsione punitiva del comma 1° dell’art. 73.

Il concorso di più persone nel reato di detenzione illecita di stupefacenti, la connivenza ed in particolare l'ipotesi del favoreggiamento personale e reale

Non sfugge ai principi generali dettati dall’art. 110 c.p., l’ipotesi di detenzione di sostanze stupefacenti da parte di più soggetti.

Si deve, innanzitutto, rilevare che il concorso di persone nel reato, pur manifestando profili assimilabili al reato associativo, non deve essere confuso con tale istituto.

Secondo Cass. Sez. VI, 17-03-2022, n. 9204, infatti, “L'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al D.P.R. 09/10/1990, n. 309, art. 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso[59].

Appare, quindi, del tutto pacifico che la ripartizione e la distinzione fra l’ipotesi di reato di cui agli artt. 110 c.p. e 73[60] – da un lato – rispetto a quella di cui all’art. 74, segue i criteri generali che l’interpretazione dei due istituti di diritto sostanziale ha delineato nel tempo.

Principio recepito ed espresso dalla sentenza della Sez. III, 29-03-2022, n. 11313, O.D. e altri., laddove si legge  “Il delitto di associazione per delinquere si distingue dal concorso di persone nel reato disciplinato dagli artt. 110 e ss. c.p. in quanto l'accordo criminoso risulta circoscritto alla commissione di uno o più reati singolarmente individuati, si esaurisce dopo che questi sono stati commessi ed è caratterizzato dalla mancanza di una struttura organizzativa più o meno complessa e di mezzi necessari all'attuazione del programma criminoso. In particolare, il discrimen tra la fattispecie plurisoggettiva e quella concorsuale va individuato nella necessaria finalizzazione dell'accordo associativo alla costituzione di una struttura tendenzialmente permanente, nell'ambito della quale i singoli associati divengono - ciascuno in relazione ai propri compiti, assunti od affidati - parti di un tutto, e si propongono di commettere una serie indeterminata di delitti”.

 Il concorso, dunque, si riavvisa, secondo Cass. pen. Sez. III, 28-03-2022, n. 11063, T.Z. e altri “...nel caso in cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorso….”

Prosegue la S.C. - nella citata pronunzia  - stabilendo che “...nel concorso di persone ex art. 110 c.p., è  richiesto un consapevole contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare”.

 Il carattere di reato permanente della detenzione Cass. pen. Sez. III, 16-11-2021, n. 41579, A.M. e altri, fa si, quindi “...che qualunque agevolazione del colpevole posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata si risolve in un concorso, perlomeno a carattere morale, nel reato”.

La massima che precede, permette di rilevare che il concorso di persone nel reato di detenzione non va poi confuso con il favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p. .

In maniera ancora più rigorosa, la Sez. IV, con la recentissima sentenza 01-02-2023, n. 4169, A.A. e altri ha precisato che “Il discrimine tra il concorso di persone nella detenzione di sostanze stupefacenti e l'autonomo reato di favoreggiamento personale va rintracciato nell'elemento psicologico dell'agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l'aiuto da questi consapevolmente prestato ad altro soggetto sia l'espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall'intenzione di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato”[61].

Dunque, l’accertamento dell’elemento psicologico dell’agente, costituisce indagine che deve essere svolta con grande rigore, per il suo carattere dirimente, idoneo a permettere di orientare il giudice a qualificare la condotta – sottoposta alla di lui attenzione – in un senso, piuttosto che in un altro.

Medesimo approccio deve essere portato rispetto ad ipotesi di favoreggiamento reale, reato contemplato dall’art. 379 c.p. .

Esaminando un caso nel quale l’imputato aveva agito per il recupero di un credito da fornitura di stupefacenti, nell’interesse di terzi, Cass. pen. Sez. III Sent., 04-03-2014, n. 10257 (rv. 259746) ha sostenuto che tale condotta “…non è di per sé sufficiente per far ritenere che il suo autore abbia concorso nella cessione di quelle stesse sostanze, salvo che tale comportamento sia conseguenza di un preventivo accordo o comunque fornisca in qualche modo un contributo partecipativo alla altrui condotta, tale che in sua assenza la cessione illecita non sarebbe stata commessa o lo sarebbe stata con un programma diverso...”.

La massima che precede presuppone che, qualora non fosse configurabile il concorso nella illecita detenzione di stupefacenti, la stessa condotta potrebbe essere in astratto inquadrabile nella diversa ipotesi del favoreggiamento reale.

Emerge, così, il carattere di specialità di questo reato rispetto a quello dato dal combinato disposto degli artt. 110 c.p. e 73 dpr 309/90.

Rimangono, comunque, margini di indeterminatezza riguardo la distinzione fra i due istituti.

In proposito si può citare la Sez. VI  della Corte, in data 29 Aprile 1996, n.8389, Santi[62], che ebbe a sancire che per aversi concorso di persone nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti, la partecipazione all'altrui attività criminosa può manifestarsi in forme che agevolino detta detenzione, anche solo assicurando al concorrente un relativa sicurezza, sicchè risponde di concorso in detenzione di sostanza stupefacente colui che, dopo aver trasportato il soggetto in un luogo determinato per acquistare droga, ad acquisto avvenuto lo riconduce nel luogo di provenienza, offrendo così, con il viaggio di ritorno, un consapevole ed apprezzabile contributo all'attività illecita del soggetto trasportato”.

Non vi è chi non veda che l’orientamento della S.C. riconduca al regime concorsuale anche attività cd. agevolative, che rientrano nello schema tipicodel favoreggiamento.

Per evitare dubbi, contraddizione e confusioni di sorta, soccorre indubitabilmente la già evidenziata natura di reato permanente della detenzione.

Il discrimine per la decisione del quesito concerne il momento in cui l’attività di aiuto sia stata posta in essere.

Ove essa abbia avuto luogo durante la materiale realizzazione del reato[63] essa, pertanto, costituirà un apporto che viene a fondersi con tutte le altre condotte che altri imputati abbia posto in essere, dando corso, così, al concorso punibile ex art. 110 c.p. .

Per il Tribunale di Frosinone, sent. 25/09/2019 di sostegno ed utile a tale criterio valutativo risulta anche l’indagine sull’elemento psicologico dell’agente.[64]

E’ questo un orientamento che si rifa alla posizione assunta in precedenza da Cass. Sez. IV Sent., 03-07-2019, n. 28890 (rv. 276571-01)[65],  relativamente ad una vicenda dove  si addivenne ad una sentenza di condanna a titolo di concorso per la detenzione di stupefacente, desumendo l'elemento soggettivo dalla condotta dell'imputata, tesa a disfarsi dello stupefacente mentre era sola in casa, sapendo dove la droga fosse custodita, e così dimostrando la sua autonoma disponibilità della sostanza

Altro punto di  specifico, particolare interesse riguarda la differenza che intercorre fra concorso di persone nella detenzione illecita e connivenza non punibile.

Si tratta di un tema molto dibattuto, soprattutto, in situazioni di detenzione di stupefacente in ambiente domestico-familiare.

In questi casi, assai più spiccatamente che in altri, gli inquirenti sono portati ad estendere il coinvolgimento nella condotta detentiva a tutti coloro che continuativamente e stabilmente abitino nell’immobile, ove sia stato rinvenuta la sostanza della cui detenzione (illecita) uno dei presenti venga accusato o si autoaccusi.

Cass. Sez. III, con la sentenza 28/03/2022, n. 11063, T.Z[66]. e altri ci offre una plastica definizione del concetto in esame, evidenziando le differenze che intercorrono rispetto al concorso penalmente rilevante ex art. 110 c.p. .

In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza. Ricorre invece il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. In particolare, la distinzione tra l'ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 c.p., è invece richiesto un consapevole contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare”.

Emerge palese il carattere di neutrale passività che deve connotare l’atteggiamento del soggetto che invochi la scriminante in esame.

Passività non significa, però, non conoscenza della presenza fisica della sostanza e della sua disponibilità da parte del familiare o del coinquilino.

Il paradigma decisivo è quello dell’assenza – da parte del sospettato/concorrente - di un apporto efficace alla realizzazione della altrui condotta illecita, che può essere formale o materiale[67].

Come detto il contributo può manifestarsi anche in un atteggiamento che rafforzi la volontà illecita del detentore, come ad esempio rafforzando la di lui determinazione.

Dunque è la ricostruzione del profilo comportamentale in ogni sua componente a risultare decisiva.

Ad esempio Cass. Sez. IV Sent., 07/12/2020, n. 34754 (rv. 280244-02)   ha ritenuto correttamente individuato, nei confronti dell'imputato, il dolo del concorso nel reato di cui all'art. 73d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in ragione della sua presenza nel veicolo all'interno del quale i complici conversavano di pagamenti di partite di "fumo", della sua presenza nell'abitazione nella quale i complici effettuavano le cessioni di sostanza stupefacente, e del suo arresto a seguito del rinvenimento di cocaina a bordo del veicolo, da lui condotto, sul quale viaggiava assieme ad un complice. 

In epoca più risalente si segnala Sez. VI, 20 Maggio 1998, n.9986, Costantino[68], che in linea con le precedenti ha sostenuto che, il dolo del concorso nel reato da parte del coniuge, per la collocazione dello stupefacente in piena vista nella stanza da letto, per il prelievo della droga da parte del coniuge e la consegna agli agenti operanti con occultamento sulla persona della maggior quantità possibile di sostanza per sottrarla al sequestro.

La circostanza che il presunto concorrente fosse al corrente della condotta illecita posta in essere dall’autore principale non rileva ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato.

In questo senso Cass. Sez. IV, 02/07/2020, n. 19875 M.L. che stabilito che “...In materia di detenzione di sostanze stupefacenti, integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza...”.

Riaffermando questo principio, la S.C.[69] ha però ravvisato la sussistenza del concorso nell’azione di colei, avendo custodito all'interno della sua borsa lo stupefacente affidatole dal convivente, in quanto tale azione configura un comportamento punibile in termini di concorso per avere agevolato l'azione.

E’ stata, così, garantita con la sua presenza non casuale implicitamente collaborazione in caso di bisogno, sicché doveva escludersi che la sua condotta potesse qualificarsi come connivenza non punibile risolventesi in un comportamento solo passivo.

L’aspetto di maggiore rilievo è, però, altro ed attiene al tipo di responsabilità che debba venire attribuita nell’ipotesi della unitaria detenzione di sostanze stupefacenti da parte di più persone.

In tale ipotesi non vige il principio del frazionamento dell’intero e dell’attribuzione della quota ideale a ciascuno, quanto piuttosto quello in base al quale ogni partecipe risponde della detenzione dell’intero.

Si tratta di un’impostazione concettuale del tutto diversa da quella che, in giurisprudenza è stata recepita in relazione all’acquisto di stupefacente effettuato da un soggetto per sé e nell’interesse di altra persona che a ciò abbia incaricato l’agente (cd. Acquisto di gruppo).

La suprema Corte, sez. IV, con la sentenza 24 Gennaio 1996, n.2500, Pavan[70], ha, infatti, sancito che, in siffatta situazione è da ritenere che l'acquirente abbia agito da semplice "nuncius" dell'altro.

Pertanto, ciascuna delle persone acquista per proprio uso personale la dose di spettanza, anche se per un momento una delle stesse detiene l'intero quantitativo di stupefacente nella qualità di mero esecutore materiale dell'acquisto.

Sempre la Sez. VI, 4 Novembre 1996, n.1324, Deminicis e altri[71] ha riaffermato che La co-detenzione di sostanze stupefacenti da parte di una coppia di giovani conviventi, entrambi tossicodipendenti, ed in possesso di droga congiuntamente acquistata, è da considerarsi depenalizzata in quanto in tale fattispecie non è possibile cogliere una sostanziale differenza tra il caso in cui ciascun soggetto acquisti la sostanza occorrente al suo consumo personale ed il caso in cui il totale di ciò che sarebbe stato acquistato singolarmente è stato invece acquistato insieme dai tossicodipendenti. (conf. Cass. pen., sez. III, 11/02/1997, n.2560, Vacca e altri, Riv. Polizia, 1997, 219, nota di DUBOLINO)

Queste pronunzie innovano profondamente un’impostazione che in passato si era manifestata in senso avverso, come, ad esempio, attraverso la sentenza di Cassazione Sez. I, 6 Novembre 1995 n. 5548, la quale sostenne che la co-detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale dei co-detentori è esclusa dall'ambito di efficacia della "abolitio criminis" conseguente al referendum abrogativo del 18/19 aprile 1993 (d.P.R. 5 giugno 1993 n. 171).

E’, pertanto, palese la circostanza che la partecipazione del concorrente debba rispondere ai dettami della consapevolezza dell’illecito e della volontà di contribuire al perfezionamento dello stesso.

Si tratta, quindi, già come detto di parametri che integrano i fondamenti del concorso punibile secondo il citato art. 110 c.p. .

Gli argomenti che precedono introducono la necessità di soffermarci sulla problematica concernente gli effettivi contorni e contenuti, sia fattuali che giuridici, della condotta di chi si trovi coinvolto in vicende connesse con la violazione di norme sugli stupefacenti e venga a torto considerato intraneus nel sodalizio concorsuale costituito ex art. 110 c.p. .

Si deve premettere che la soluzione sino ad oggi adottata con enorme prevalenza dalla giurisprudenza[72] consiste nell’imputare tout court all’agente una responsabilità sotto il profilo del concorso interno.

Tale soluzione è stata adottata anche da buona parte della dottrina,  ex pluribus Romano, Delitti contro l’amministrazione della giustizia, Giuffrè, Milano,  2° Ed. 2004, pg. 214, che afferma: “..In caso di detenzione illecita di sostanza stupefacente, reato a condotta permanente, non è configurabile il delitto di favoreggiamento, in quanto qualunque agevolazione del colpevole in costanza di tale condotta, si risolve inevitabilmente in un concorso quantomeno morale con il colpevole stesso”.

Ad avviso dello scrivente tale tesi, deve, invece, cedere il passo a nuove forme interpretative, che favoriscano – di volta in volta – l’esatta individuazione dei criteri attributivi di responsabilità personale, permettendo distinzioni fra l’ipotesi di reato plurisoggettivamente commesso e reato proprio del singolo, quale può essere il favoreggiamento (personale o reale).

Nel caso di detenzione concorsuale, a fine di spaccio, di sostanza stupefacente, come si è detto, va valutato l’apporto concausale del singolo in relazione alla realizzazione di un fine criminoso comune a più persone, in quanto ogni singola azione, od ogni partecipazione psicologica individuale, non esaurisce la propria funzione, se non necessariamente inserendosi in un completo puzzle criminoso, che è naturale risultato dei vari contributi di adesione alla risoluzione delittuosa.

E’, pertanto, evidente che, ben aversi concorso punibile ex art. 110 c.p., si deve raggiungere la prova della preventiva adesione psicologica (in eventuale assenza della partecipazione materiale) del singolo, rispetto alla risoluzione dell’agente principale o di altri partecipi.

Ciò posto, è di tutta evidenza la differenza ontologica e giuridica fra un comportamento criminoso che trovi proprio fondamento in un accordo intervenuto fra le parti previamente rispetto alla contegno materiale e l’atteggiamento di chi, estraneo all’altrui azione (reato principale), aderisca in un momento successivo con una volizione che permanga autonoma.

In questo modo si appalesa, pertanto, la differenza fra il concorso punibile ed il favoreggiamento di cui agli artt. 378 e 379 c.p. .

I limiti certamente labili che distinguono il concorso  ex art. 110 dalle due menzionate ipotesi di favoreggiamento sono stati  delineati recentemente da Cass. Sez. II, 16/03/2023, n. 11305  A.A. che individuato nell’oggettivo e consapevole coinvolgimento del singolo nel reato presupposto l’elemento che esclude la ricorribilità del favoreggiamento.[73]

Cass. Sez. IV, 01/02/2023, n. 4169 A.A. e altri ha, invece, posto l’accento in via del tutto esclusiva all'accertamento e l’individuazione della sussistenza dell’elemento psicologico tipico del concorso[74]

La prova dell’estraneità dell’agente al reato principale ed originario deve, quindi, intervenire in modo sicuro, onde, quindi, potere affermare incontrovertibilmente la sussistenza del necessario requisito negativo, legittimante il favoreggiamento personale e cioè l'esclusione del concorso nel reato presupposto.

Dirimente appare anche la natura di reato permanente (od istantaneo ad effetti permanenti che dir si voglia) della detenzione illecita di sostanze stupefacenti.

Cass. Sez. VI, 18/10/2022, n. 39313 A.A.[75] opera un preciso riferimento temporale al fine di collocare correttamente la condotta del coautore in uno dei due contesti normativi in parola, escludendo la ricorrenza del favoreggiamento, ove l’azione di questi si concretizzi prima della cessazione della permanenza del reato presupposto.

Raggiunta siffatta prova, quindi, non sarà revocabile in dubbio la natura di assoluta autonomia della condotta successiva, insuscettibile di fusione (e confusione) con altri comportamenti penalmente punibili e munito di indipendente rilevanza.

Ciò posto, si deve, pertanto, rilevare che non pare, quindi, più condivisibile l’assimilazione tout-court delle varie condotte sotto l’unica ed erronea egida dell’ipotesi di concorso ex art. 110 c.p. nel reato.

Si deve, infatti, seriamente ribadire che esiste un’evidente linea di discrimine fra il ricordato concorso punibile ed il reato di favoreggiamento personale e/o reale.

Essa è costituita da due principali elementi costitutivi.

  1. Il primo attiene all’approccio psicologico dell’agente.

Non a caso il tenore letterale l’art. 378 c.p., pone come condizione preliminare il fatto che si verta al di fuori dell’ipotesi di concorso, escludendo, quindi, che il singolo operi uti animus socii, con la più volte richiamata consapevolezza della finalizzazione del proprio apporto ad un termine comune, anche da altri contestualmente perseguito.

  1. Il secondo di questi appare di natura temporale, ravvisandosi l’ipotesi di favoreggiamento, solo allorché la relativa condotta venga commessa in epoca successiva, e non durante, la perpetrazione del reato presupposto.

Per una ulteriore ipotesi di differenziazione fra favoreggiamento e reati permanenti in materia di stupefacenti si veda Sez. II Sent., 10/01/2022, n. 282[76]

Attese, quindi, tali incontrovertibili osservazioni è gioco-forza ritenere che siano del tutto superate le posizioni giurisprudenziali e dottrinali che escludevano la possibilità di rompere con l’obsoleta e rigida costruzione giuridica del concorso di persone nel reato di detenzione a fine di spaccio di stupefacenti, quale rigida previsione in materia, e non favorivano, certo, l’ipotizzazione di altre forme di responsabilità frazionata ed individuale.

La giurisprudenza di merito[77] ha individuato con nettezza la figura del favoreggiatore ed ha imposto, quindi, l’approccio ad una metodica nuova e diversa, che permetta di cogliere, soprattutto sotto il profilo psicologico, quegli elementi di specificità, che favoriscano la distinzione dei singoli aspetti di responsabilità, superando un concetto massificatorio della colpevolezza sotto l’unico denominatore comune dell’art. 73.

Emerge, pertanto, la necessità di un seria penetrazione ed identificazione in fatto dei singoli episodi e delle varie condotte, onde pervenire da ciò ad una corretta decodificazione della fattispecie normativa che risulti, poi, aderente al caso concreto.

Appare, pertanto, presente e radicata anche la consapevolezza della ricerca di parametri seri ed equi per formulare un giudizio e, ove tale delibazione comporti una affermazione di penale responsabilità dell’imputato, per irrogare una sanzione che rispetti in maniera rigorosa criteri di adeguatezza e proporzionalità riguardo alla condotta tenuta ed all’apporto psicologico dell’agente.

L’auspicio che si formula è, quindi, quello che si venga a stratificare e consolidare una progressiva giurisprudenza, che superi lo steccato del concorso di più persone nel reato, recinto cui la giurisprudenza di rito e merito (nonché parte della dottrina) è ricorsa troppe volte, per racchiudere al suo interno condotte, come quella in esame, che, invece, avrebbe dovuto venire catalogate in maniera del tutto diverso.

Si deve, pertanto, evitare che si dia corso ad una ingiusta omologazione di condotte, non assimilabili all’istituto di cui all’art. 110 c.p., a scapito del principio di tassatività della correlazione fra fatto-evento-condotta e norma giuridica da applicare in concreto, che deve connotare, ai sensi dell’art. 521 c.p.p., qualsivoglia tipo di pronunzia giurisdizionale.

Dunque si può concludere questo segmento della più complessiva disamina della condotta detentiva, citando la Sent., 22/02/2023 della Corte d'Appello Napoli Sez. VI che fissa indiscutibilmente le peculiarità dei due istituti.

“...In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo, morale o materiale, all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. Il contributo in proposito deve estrinsecarsi, in maniera concreta, consapevole e volontaria, nell'occultamento, custodia e controllo della sostanza stupefacente: una condotta, quindi, finalizzata a evitare che la stessa sia rinvenuta e sia prodromica a protrarre la illegittima detenzione, non essendo peraltro sufficiente la mera consapevolezza della perpetrazione del reato da parte di altri...”

In buona sostanza, il denominatore comune a tutte le pronunzie esemplificativamente esposte consiste nell’omessa valutazione del rapporto fra reato presupposto e reato successivo.

Nessun dubbio, infatti, può sussistere laddove il primo (la detenzione) si sia perfezionato e consumato formalmente e materialmente, atteso che l’aspetto che maggiormente caratterizza il favoreggiamento riposa nella circostanza dell’adesione successiva alla condotta illecita propedeutica.

Rilevante, quindi, appare l’analisi dell’elemento psicologico, cioè l’investigazione sia in ordine alla fase in cui intervenga l’adesione del soggetto all’altrui progetto criminoso, sia riguardo la finalizzazione cui la condotta tende.

Quest’ultimo tema è stato contestato da parte della giurisprudenza che ha sostenuto l’ininfluenza e l’irrilevanza del fine cui l’agente tenderebbe, in quanto esso verrebbe assorbito dalla condotta di detenzione, quale valvola di chiusura.

Siffatta posizione va disattesa, in quanto non tiene affatto in conto, che la presenza e la prova di un fattore che qualifichi e specifichi psicologicamente le ragioni che sottendono alla detenzione materiale, sono elementi che si pongono in relazione di qualificata specialità, rispetto alla genericità della condotta possessoria.

La frattura temporale, comportamentale e psicologica è elemento che appare imprescindibile, onde mantenere quel profilo di autonomia che deve caratterizzare i contegni in esame.

Eccessivamente restrittiva appare la posizione di PISA [78], che sostiene, in relazione ad una complessa fattispecie che vedeva moglie e suocera dell’imputato avere tentato di occultare stupefacente situati su di un mobili nella camera da letto coniugale, che tale condotta valutata non punibile ai sensi dell’esimente soggettiva di cui all’art. 384 c.p., invece, la sussistenza del concorso nella detenzione.

Afferma ciò l’Autore, sulla scorta del fatto che la scopo delle due donne, consisté nel mero occultamento del compendio, che, così, avrebbe potuto, eventualmente essere rimesso in circolazione (e che, invece, corretta sarebbe stata la valutazione fosse intervenuta distruzione della sostanza).

La tesi non può trovare accoglimento, in quanto coinvolge nella condotta tipica elementi eventuali, ipotetici, futuri, privi di storicità, che eccedono il tenore letterale dell’art. 378 c.p. .

La co-detenzione e l'uso di gruppo di sostanze stupefacenti

In dottrina si è posto il problema preliminare riguardante il rapporto intercorrente fra il consumo di gruppo (definito spess0 impropriamente “uso di gruppo”) con l’uso personale individuale.

In assenza di espresse previsioni legislative, atte a delineare normativamente i contorni  dell’istituto, Mazzi[79] qualifica l’istituto come una modalità dell’uso personale.

Seppur con espressioni differenti, si pone sulla medesima onda Spitaleri[80], che la definisce “forma di consumo esclusivamente personale”.

Una volta delineati i contorni applicativi dell’istituto in questione, appare necessario un breve excursus storico.

Come si è avuto modo di precisare, al concetto di co-detenzione, inteso come momento di detenzione cui partecipano più soggetti, i quali destinino lo stupefacente per un rispettivo uso personale, è stata riconosciuta di dignità solo in epoca abbastanza recente.

E’, infatti, notorio che sia sotto l’imperio della L. 685/75, che successivamente, vigente il T.U. 309/90, fosse unanime il rifiuto giurisprudenziale di attribuire valenza di non punibilità a comportamenti che involgessero una pluralità di soggetti,e, comunque, un utilizzo dello stupefacente in gruppo.

In proposito, ex plurimis, va ricordata come significativa una decisione della Sez. VI, 16 Aprile 1991, Fastidioso[81], la quale risolveva il problema della co-detenzione di stupefacente, finalizzata all’utilizzo di un gruppo di più persone, facendo rientrare tale situazione nell’ambito del concorso punibile ai sensi dell’art. 110 c.p..

Ed ancora si segnala Tribunale di Firenze, 23 Settembre 1993, Camiciottoli[82], che in conformità al principio esposto ha affermato che La detenzione di sostanze stupefacenti da parte di più persone integra gli estremi del concorso nel reato in relazione all'intero quantitativo: da ciò discende, "a contraris", che l'acquisto da parte di un soggetto non rende ipotizzabile la detenzione, a fini di cessione dell'uno nei confronti dell'altro.

Veniva, infatti, sancito che tale condotta  detentiva posta in essere da parte di più persone per proprio consumo integra gli estremi di detenzione e spaccio in relazione all'intero quantitativo e non limitatamente alla quota ideale a ciascuno riferibile, in quanto la ripartizione tra i co-detentori importa la reciproca cessione di porzioni del quantitativo in co-detenzione, che realizza, obiettivamente e soggettivamente, una attività illecita non dissimile da ogni altra forma di cessione o di scambio di sostanze stupefacenti.

Diverse, quindi, erano le ragioni addotte a giustificazione della posizione di chiusura.

Da un lato, infatti, la L. 685/75, con il concetto di modica quantità e, soprattutto con la previsione di non punibilità dell’art. 80, per colui che facesse un uso personale non terapeutico, restringeva al singolo individuo la presunta libertà di assumere stupefacente, negandola a pluralità di persone, anche se le stesse si trovassero a fare uso contestuale.

Dall’altro, emergeva lo spirito particolarmente repressivo del dpr 309/90, che se negava nei primi anni ’90 la possibilità di uso personale di droga, a maggior ragione non poteva permettere che si potesse ritenere lecita una detenzione comune della sostanza psicotropa.

In buona sostanza, tale orientamento equiparava sul piano della sanzionabilità la co-detenzione ad uso strettamente personale degli agenti, al concorso di persone nel reato di detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti, situazione plurisoggettiva su cui si è già avuto modo di soffermarsi in precedenza.

In realtà, il concetto di co-detenzione, alla luce sia dell’evoluzione normativo-giurisprudenziale determinata dal referendum  del 1993, sia del principio consensualistico, che ha svincolato il possesso dello stupefacente dalla sua detenzione materiale, si è evoluto.

E’ stata così esclusa la circostanza che vi sia cessione reciproca, penalmente rilevante, di sostanze d’abuso, all'atto in cui si procede alla successiva spartizione.

Ogni soggetto, infatti, acquista, fin dal primo momento, con il consenso degli altri, la propria quota ideale di droga, per cui, con la spartizione, egli non fa altro che ottenere il possesso di quanto è già di sua spettanza.

In proposito si menziona il Tribunale Trieste che con la sent., 22/04/2021 ha fissato plasticamente i criteri per ravvisare in concreto il cd. uso di gruppo, più correttamente e precisamente definito acquisto di gruppo.

Al fine di configurare il cd. acquisto di gruppo inquadrabile nell'uso personale, occorre che l'acquirente sia uno degli assuntori; che l'acquisto avvenga sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo e che sia certa sin dall'inizio l'identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto.

Si tratta dii un’applicazione corretta di un preciso approdo giurisprudenziale sancito da Cass. pen. Sez. Unite, 10/06/2013, n. 25401  G.C. e altri, che ha stabilito definitivamente che Cass. pen. Sez. Unite, 10/06/2013, n. 25401 G.C. e altri “….In tema di sostanze stupefacenti, si ritiene che il cd. consumo di gruppo di droghe, sia nel caso di acquisto in comune sia in quello del mandato all'acquisto collettivo ad uno degli assuntori e nell'originaria conoscenza dell'identità degli altri, continua a costituire, anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 49del 2006 agli artt. 73 e 75 del T.U. degli Stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990), un'ipotesi di uso esclusivamente personale dei partecipanti al gruppo, sì da integrare l'illecito amministrativo di cui all'art. 75 del citato T.U. degli Stupefacenti e non già il reato previsto dall'art. 73, comma 1-bis, del medesimo testo normativo...”.

Tale intervento si è reso necessario per dirimere dubbi insorti dopo l’entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 che innovò il testo degli artt. 73 e 75 del T.U. degli Stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990).[83]

Nel corpo della citata sentenza, le SS.UU. hanno escluso che la novella del 2006 avesse, nel periodo di temporanea vigenza, comunque, introdotto una nuova fattispecie delittuosa in relazione al cd. consumo di gruppo di sostanze stupefacenti.

Significativa, poi, sul piano strettamente esegetico, è l’osservazione della irrilevanza giuridica dell'aggiunta data dall'avverbio "esclusivamente", successivamente.

Tale avverbio non è stato replicato nella nuova edizione dell’art. 75 co. 1, al quale, a seguito della L. 79/2014, è stato trasferito il compito di regolamentare in via amministrativa la condotta detentiva di sostanze a fini di destinazione personale[84].

Dunque, l'ininfluenza ed inutilità di questo “rafforzativo” non ha provocato una restrizione, rispetto a quella previgente, dell'area dei comportamenti rientranti nell'uso personale, trasferendo nell'area dell'illecito penale le condotte qualificate come finalizzate al consumo personale dei componenti il gruppo.

La conclusione cui perviene la Corte[85] si pone nel senso di afferrare che “Ne consegue che, anche a seguito delle predette modifiche legislative, non sono punibili penalmente, ma rientrano nella sfera dell'illecito amministrativo di cui all'art. 75 del citato T.U., l'acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate all'uso personale che avvengano sin dall'inizio anche per conto di soggetti diversi dall'agente, quando è certa sin dall'inizio l'identità dei medesimi nonché manifesta la loro volontà di procurarsi la droga al proprio consumo. Ciò in virtù del fatto che l'omogeneità teleologica della condotta dell'acquirente rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo caratterizza la detenzione quale co-detenzione ed impedisce che il primo si ponga in rapporto di estraneità e, quindi, di diversità rispetto ai secondi, con conseguente impossibilità di connotare la sua condotta quale cessione.

La ratio della posizione assunta da SS.UU. si rinviene nella circostanza che si deve ritenere che ciascuno dei soggetti abbia acquisito, fin dall'inizio, una porzione di stupefacente, intendendo destinarla al proprio personale ed esclusivo uso, conseguendo, quindi che l'atto concreto di divisione della sostanza non implica cessione della stessa dall'uno all'altro co-detentore, in quanto non è ravvisabile un trasferimento della sostanza dalla disponibilità esclusiva dell'uno alla disponibilità dell'altro[86].

Consegue, pertanto, che la successiva fase in cui avviene la divisione della sostanza tra gli acquirenti non integra una vero  trasferimento della stessa dalla disponibilità esclusiva dell'uno a quella dell'altro o degli altri e, perciò, non costituisce reato.

Essa costituisce, così semplice operazione modale che permette a ciascuno di venire in possesso del quantitativo fin dall'inizio destinato al suo uso personale.

Ovvio corollario di simile impostazione è quello che la fattispecie di detenzione di sostanze stupefacenti da parte di più persone per il proprio consumo personale non è penalmente illecita, in quanto non può essere assimilata alle attività di cessione e di scambio di sostanza stupefacente, mentre violerebbe addirittura il principio costituzionale di eguaglianza una diversa interpretazione che attribuisse rilevanza penale al consumo di stupefacenti soltanto a causa delle modalità (singolo o di gruppo) con cui esso viene realizzato[87]. .

Secondo la tesi del mandato, quindi, l’acquirente di stupefacente che comperi sia per sé, che per conto di altri, procedendo successivamente ad una ripartizione materiale del compendio, agisce sulla base di un mandato ricevuto dagli altri, con effetti comunque equivalenti quanto all'acquisto ed alla disponibilità della sostanza, con richiamo alla norme civilistiche di cui agli artt. 1388 e 1706 c.c. .

Tale condotta legittimerebbe nella fattispecie il solo illecito amministrativo di cui all'art. 75 d.P.R. n. 309/90, e non il reato previsto dall'art. 73 cit.. 

La volontà di una destinazione al consumo personale deve, quindi, essere esplorata in relazione a tutti coloro che risultino partecipi del sodalizio destinatario – nella sua organicità – dello stupefacente.

Vale a dire, quindi, che è indefettibile il raggiungimento da parte della pubblica accusa di una prova del tutto contraria e confliggente con la circostanza, che, ab origine, l’acquisto dovesse soddisfare bisogni di soggetti preventivamente individuati e tra loro d’accordo.

Che, poi, l’acquisto sia stato effettuato materialmente da un solo agente, in nomine alieno di tutti, oppure che il danaro sia stato anticipato da esso mandatario, casualmente, o per una consuetudine interna al gruppo, è circostanza che attiene alle modalità di esecuzione del comportamento  che non incide, né può incidere, in presenza di una corretta focalizzazione dell’elemento psicologico comune ai membri del gruppo.

L’eventuale passaggio dal singolo mandatario-esecutore ai mandanti, (giacchè non è pensabile seriamente che ci si presenti numerosi ad un acquisto di sostanza illecita – quanto meno per non dare nell’occhio -) anche se concretante la cessione a terzi, non pare avere attitudine e rilevanza penale, in quanto fin dall'origine i mandanti devono considerarsi destinatari "pro quota" del quantitativo acquistato.

Altro aspetto che la giurisprudenza di legittimità ha valorizzato, allo scopo di inserire la co-detenzione nel novero delle condotte non punibili e sanzionabili solo ex art. 75, riposa nel risultato finale della articolata condotta e cioè l’assunzione comune di droga, di cui anche l’intermediario è parte attiva.

Non si addiverrebbe, quindi, a quella rigorosa e specifica differenziazione tra i protagonisti della condotta, sicchè non si può, affatto, sostenere che il mandatario, in quanto tale, possa risultare estraneo agli utenti destinatari finali.

Pertanto, la divisione della sostanza tra gli acquirenti, in realtà. non è trasferimento della stessa dalla disponibilità esclusiva dell'uno a quella dell'altro o degli altri e non costituisce reato, ma semplice operazione che consente a ciascuno di venire in possesso del quantitativo fin dall'inizio destinato al suo uso personale.

Ulteriori elementi che, sintomaticamente, possono efficacemente fungere da indicatori dell’utilizzo d’insieme dello stupefacente sono costituiti[88]  dal rapporto di amicizia esistente tra l'acquirente e gli altri consumatori, dall'effettiva consumazione della sostanza da parte di tutti nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, dall'unicità della confezione contenente la sostanza.

 L’accordo, quindi, non deve necessariamente risultare da una espressa determinazione volitiva previamente manifestata dai componenti del gruppo[89].

Elemento dal quale si possa ricavare una fusione di volontà preventivamente espresse all’interno del gruppo è la individuazione di un "accordo tacito" che possa venir desunto dal fatto che l’acquisto di hashish per la comitiva, avvenga seguendo una prassi che "preveda l’acquisto della sostanza, a turno, da parte dell’uno o dell’altro componente del gruppo".

La Corte Suprema ha ribadito, inoltre, che non è necessaria  la preventiva raccolta del danaro necessario all'acquisto per uso collettivo della sostanza stupefacente: essa è apprezzabile come elemento  sintomatico dell'accordo, ma l'esistenza dello stesso può però essere desunta anche da altri elementi, quali il rapporto di amicizia tra l'acquirente e gli altri consumatori, 1'effettiva consumazione della sostanza da parte di tutti quanti nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, l'unicità della confezione contenente la sostanza.

Sempre sul piano del rilievo dei rapporti economici intercorrenti fra le parti è stato  precisato un ulteriore interessante principio.

Si è ritenuto, infatti, che il consumo di gruppo di cannabis gode dell'esimente del "consumo di gruppo" anche quando l'acquisto della sostanza è stato fatto a credito, con i soldi anticipati da uno solo dei partecipanti al consumo dello stupefacente.


[1] Cass. Sez. 3 25.6.2013 n. 38343 cit. MIAZZI L.  Diritto degli stupefacenti pg. 69

[2]La droga. Traffico, abusi, controlli, Milano 1992, 243

[3]AA.VV. La nuova normativa sugli stupefacenti. Commento alle norme penali del Testo Unico, Milano, 1991.

[4]Pubblicata in Cass. Pen., 1996, 1303

[5]Cfr. GRILLO cit. pg. 157, orientamento confermato da una decisione del Tribunale di Massa, 26 Giugno 2002 Perna e altri, Riv. Pen., 2002, 1018 , che precisa come tale concezione, pur non implicando necessariamente un contatto fisico con la cosa, deve essere intesa nel senso di disponibilità di fatto, concreta ed attuale dello stupefacente, attraverso l'attrazione della stessa nell'ambito della propria sfera di custodia.

[6] Riv. Pen., 2004, 145

[7]Cfr. GRILLO cit. pg. 159

[8]Cass. pen. Sez. IV Sent., 20/07/2007, n. 29187 (rv. 236996) “In tema di competenza territoriale, la regola suppletiva dettata dall'art. 9, comma primo, cod. pen. trova applicazione esclusivamente quando nel territorio nazionale si è consumata una parte della condotta essenziale per l'integrazione della fattispecie, dovendosi in caso contrario fare riferimento ai criteri contemplati dai successivi commi della norma menzionata”.

[9]“In caso di reato permanente, quando è ignoto il luogo in cui ha avuto inizio l'azione criminosa, il giudice competente per territorio può essere individuato in relazione al luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione, utilizzando i criteri residuali di cui all'art. 9 cod. proc. Pen.”.

[10]Pubblicata in Cass. Pen., 1996, 3479

[11]Pubblicata Cass. Pen., 1996, 2788

[12]In Cass. Pen., 2000, 3453, Giust. Pen., 2000, II, 660.E’ stato affermato come la natura permanente del reato di detenzione di sostanze stupefacenti, individuando nell’indicazione da parte dell’imputato del luogo dell’occultamento dello stupefacente, il momento di cessazione della condotta criminosa posta in essere, senza che siffatta condotta provochi l'elisione o il ridimensionamento delle conseguenze del reato stesso posteriori rispetto al momento consumativo.

[13] La disciplina degli stupefacenti nella nuova normativa, Milano, 1991

[14]V. in proposito Cass. pen., sez. VI, 11 dicembre 2002, n.8015, Bangrazi, Riv. Pen., 2004, 115

[15] Cass. Pen., 1997, 870

[16] Cfr. M. Neri, La produzione cit. , 1998, pg. 164

[17] Cfr. Neri cit. pg. 169

[18] Foro It., 1997, II, 529, nota di AMATO e COSENTINO, Riv. Pen., 1997, 805, nota di TENCATI

[19] Cass. Pen., 1998, 2488

[20] Cass. Pen., 2000, 3135, Zacchia, 2000, 207

[21] Cons. Stato, 1996, II, 1254 Giur. Costit., 1996, 2465, Dir. Pen. e Processo, 1996, 1191

[22] Guida al Diritto, 2003, 39, 69

[23]Cfr. anche la nota di M. Giannone, La sussistenza dell'attenuante non dipende solo dal rispetto dei limiti quantitativi.

[24] "Cfr. la nota di P. Spinelli. “Un'innovazione che "costringe" il giudice ad acquisire numerosi elementi di prova"

[25]Invero va sottolineato che il testo adottato, appare, sul piano filologico  complessivo di maggiore chiarezza, linearità e coerenza rispetto all'intento di introdurre una presunzione iuris tantum di non sanzionabilità penale della condotta detentiva (“Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è....”).

[26]Cfr. Insolera-Manes La disciplina penale degli Stupefacenti, Milano, 2012, pg. 70 e segg.)

[27]In relazione alla d.m.s. va segnalata la posizione manifestata dal Tribunale di  Venezia, 9 Novembre 2000, P. M. P.M. che ha sostenuto che allo scopo di stabilire se la sostanza stupefacente è detenuta per uso personale, è utilizzabile il concetto di "dose media giornaliera" di cui al d.m. 12 luglio 1990 n. 186, non come limite massimo, ma in quanto utile parametro di riferimento scientifico.

E’ stata, così ritenuta illecita la detenzione di un quantitativo di sostanza da cui si possano ricavare circa duecento dosi medie giornaliere, in quanto in tal caso il Tribunale ha escluso sia la destinazione esclusiva all'uso personale, che la diminuente del fatto di lieve entità.

[28]Efficacia degli atti amministrativi adottati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

[29] Così Tribunale Ascoli Piceno Sent., 24/06/2021In tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto e l'eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dal D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 non determina alcuna presunzione, nemmeno relativa, di destinazione della droga ad un uso non personale, potendo essere considerato un mero indizio. Il giudice, quindi, sarà chiamato a valutare globalmente, sulla base degli ulteriori parametri indicati nell'art. 73, comma 1 bis, lett. a) del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, se, in uno con il dato quantitativo, le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione. Il dato quantitativo, pertanto, può comunque legittimamente concorrere a fondare il convincimento circa la destinazione a terzi, ma occorrono altri elementi indicativi di tale destinazione e l'onere di dimostrare la destinazione illecita della detenzione di sostanze stupefacenti incombe sul P.M..”

[30]Cfr G.U.P. Tribunale di Sanremo, sentenza 28 Settembre 1999 N. 131 “Non sussiste il reato di cui all'art. 73 d.p.r. 309/90 nell'ipotesi di mera detenzione all’interno di un sacco a pelo di un turista straniero, in un contesto estraneo all’attività di spaccio, di hashish per grammi 2,9 di prodotto puro (pari a grammi 95,37 con THC del 3%), dovendosi ritenere probabile la precostituzione, da parte dell’imputato, di una scorta di stupefacente per il periodo di permanenza in Italia”.

Il che vale a ribadire che la mera detenzione di stupefacente, (siccome non accompagnata da altra condotta attestante lo spaccio) deve essere considerata valere pro reo (e non già contra), dovendosi pertanto considerare, pertanto, vigente un presunzione iuris et de iure, la quale può essere superata solo fornendo la prova contraria.

Analogamente il Tribunale di La Spezia, con la decisione del 12 Luglio 2001, Cristofoli e altri1, che, dato atto della depenalizzazione della detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti, intervenuta con il d.P.R. 5 giugno 1993 n. 171, dopo l'abrogazione referendaria del 18-19 aprile 1993, ha definito la destinazione allo spaccio un elemento costitutivo del delitto di detenzione di droga.

[31]Tribunale Frosinone Sent., 19/10/2021 “In merito all'imputazione per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, non può farsi carico all'imputato di provare la destinazione ad uso personale della sostanza stupefacente di cui è stato trovato in possesso: talvolta, il dato quantitativo può venire in soccorso per escludere la finalizzazione all'uso personale, nei casi in cui il quantitativo esorbitante, il costo della droga, le condizioni economiche del detentore sino tali da dimostrare la destinazione, almeno parziale, a terzi.”

conf. Tribunale Potenza Sent., 30/09/2021 “La destinazione dello spaccio costituisce illecita detenzione di droga e come tale deve essere provato dell'accusa  non potendo farsi carico l'imputato di provare la destinazione dell'uso personale della droga di cui è stato trovato in possesso”.

[33]Sulla stessa direzione è Tribunale di Sanremo, sent. 21 novembre 2001 N. 444/01 e 15 Marzo 2002 N. 176/02, che rifacendosi all’insegnamento di Cassazione Sezione IV, sent. 18 Marzo 1994 n. 3331, ha sostenuto che “Qualora il detentore della sostanza stupefacente asserisca di farne uso personale la prova della non veridicità di tale destinazione o di altra diversa deve essere fornita dall’accusa

[34]Coerentemente si esprime il Tribunale di Roma VII, Sezione 29 Gennaio 2003; con nota di S. Troiano. Per il Collegio la finalità dell'uso personale, che non deve essere dimostrata dalla difesa, ma che può formare oggetto di contrasto probatorio da parte dell’accusa che intenda confutarla, nell'ipotesi di condotta costituita da detenzione ha efficacia scriminante a prescindere dalla quantità di droga detenuta (nella specie, 204,9 grammi di hashish).

[35] Trib. Frosinone, 29-12-2014, Be.Em. in www.leggiditalia.it: “ ...Il dato quantitativo dello stupefacente rinvenuto nella disponibilità dell'agente, tuttavia, sia prima dell'entrata in vigore della normativa dichiarata incostituzionale, sia nella vigenza della stessa, non è sufficiente a determinare la responsabilità penale del reo, posto che anche ai sensi dell'art. 73, comma 1 bis, lett. a) incostituzionale, la quantità superiore ai limiti massimi costituiva uno solo degli elementi da considerarsi al fine di ritenere che lo stupefacente era destinato ad un uso non esclusivamente personale, alla pari di altri elementi, quali le modalità di presentazione, con riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero alle altre circostanze dell'azione”.

[37]Cfr. nota di G. Mazza: La valutazione della prova quale discrimine tra illecito amministrativo e illecito penale in materia di stupefacenti.

[39]Non è configurabile il reato di spaccio, ma, bensì, illecito amministrativo nel caso in cui quantitativo di droga (nella specie hashish) sia pure consistente (grammi 94,447), sia seguito dalla presenza di altri indici favorevoli all'imputato o comunque compatibili con l'uso personale e, comunque, in assenza di prova positiva di responsabilità fornita dall’accusa.

[40]Foro Ambrosiano, 2001, 411, nota di LA MARCA

[41]Nel caso di specie,.

 che si riferiva ad un quantitativo di hashish pari a g. 125.67 con principio attivo di g. 7.78, è stata pronunciata sentenza di assoluzione ex art. 530 comma 2 c.p.p.

[42]Quotidiano Giuridico, 2022

[43]“La suddivisione in confezioni, in sé considerata, non é circostanza univoca ai fini dell'accertamento della destinazione dello stupefacente alla cessione a terzi, tenuto conto della possibilità che l'imputato abbia costituito una provvista per uso personale.” (Contra Tribunale di Sanremo Sezione di Ventimiglia, in data 23 Ottobre 2000 N. 185 che, invece, sostiene come, nello specifico, la suddivisione in confezioni dello stupefacente e la provenienza delle confezioni medesime da partite diverse sono circostanze che inducono a considerare la destinazione dello stupefacente alla cessione a terzi).

[45] Nota a Cassazione, sentenza 18/1/1994 Onere della prova e disciplina delle sostanze stupefacenti o psicotrope, Cass. pen.  1995, 5, 1379

[46]Più genericamente Cassazione Sez. IV, 3 Febbraio 1998, n.2298, Calamanti e altri ha ritenuto probatoriamente utili tutte le circostanze soggettive ed oggettive del fatto, affermando, nel caso concreto, che per poter affermare la responsabilità per spaccio di stupefacenti non è necessaria la sorpresa in flagranza dell’agente.

Interessante appare una pronunzia del Tribunale di Napoli, 13 Giugno 1996, Polese in Foro Napoletano, 1996, 67.

[47] Secondo tale pronunzia, dopo il  referendum abrogativo, la destinazione allo spaccio costituisce un elemento costitutivo del delitto di detenzione di droga e, ovviamente, deve essere provata dall'accusa, non potendo farsi carico all'imputato di provare la destinazione ad uso personale della sostanza di cui è stato trovato in possesso.

[48]Sez. IV, 3 Febbraio 1998, n.2298, Calamanti ha considerato insufficiente, per ritenere sussistente il delitto di cui all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 ed escludere la destinazione della sostanza stupefacente al mero uso personale, che l'agente sia trovato in possesso di una molteplicità di "dosi" già confezionate, essendo necessario, in assenza di flagranza, che l'accusa dimostri, attraverso circostanze diverse, la attività di spaccio.

[49]Parimenti, per Cassazione Sez. IV, 5 Marzo 1997, n.57861, Moretti, la carenza prova di disporre di mezzi economici tali da consentire l'acquisto di un quantitativo non modesto di stupefacenti (nella fattispecie 238 dosi medie giornaliere) è stato considerato sintomo sicuro di una notevole attività di spaccio.

[50]Ed ancora la stessa Sez. IV, 29 Febbraio 2000, n.1472, Capponi, pur attendo che la finalità di spaccio è stata svincolata dall'esclusivo riferimento a parametri quantitativi, riconosce che la quantità di stupefacente detenuto costituisce uno dei parametri più significativi di valutazione.

[51]Cass. pen. Sez. III, 22/10/2019, n. 43262 C.F.R Il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall'art. 73, comma 1-bis, lett. a), D.P.R. n. 309 del 1990 non può di per sé solo costituire prova decisiva dell'effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, ma può comunque legittimamente concorrere a fondare tale conclusione ove considerato unitamente ad altri elementi.

[52]In proposito si segnala la sentenza della Sez. VI della Corte, in data 31 Gennaio 1996, che si è espressa nel senso di affermare che la situazione di non tossicodipendenza, in quanto la stessa non esclude una possibile saltuaria assunzione, non può ritenersi di per sè decisiva a dimostrare finalità di spaccio nella detenzione di sostanze stupefacenti quando non si accompagni ad ulteriori elementi rappresentati ad esempio dalla modalità dell'azione, dal quantitativo detenuto, dal comportamento dell'imputato al momento della sorpresa

[53]Così è stato ritenuto sintomatico della finalità di spaccio da Cassazione Sez. VI, 19 Aprile 2000, n.6282, D'Incontro, in CED Cassazione, 2000 la quantità, qualità e composizione della sostanza, anche in rapporto al reddito del detentore e del suo nucleo familiare, nonchè la disponibilità di attrezzature per la pesatura o il confezionamento della sostanza.

[54]Si tratta di una serie di dati processualmente rilevanti confermati anche da Sez. IV, 22 aprile 1994, Pinna, in  Foro it., 1994, II, c. 579, che ha puntualizzato che la prova della sussistenza della destinazione ad esclusivo uso personale della sostanza stupefacente o psicotropa detenuta può essere tratta dal giudice da qualsiasi elemento probatorio emergente dagli atti, spettando all'imputato solo un onere di allegazione finalizzato ad attivare nel giudice il conseguenziale potere-dovere di  valutazione.

[55] Cass. Pen., 1998, 947

[56] Analoga posizione è stata assunta anche dal Tribunale di Napoli, sez. V, 25 Marzo 2004 in Guida al Diritto, 2004, 20, 94 che, in tema di co-detenzione, ha sostenuto che “L'onere di dimostrare l'uso personale della detenzione delle sostanze stupefacenti fa carico all'imputato.”

[57] Dir. Pen. e Processo, 1998, 458, nota di CASELLI LAPESCHI ed anche in Cass. Pen., 1997, 2875, nota di AMATO e Riv. Pen., 1997, 463

[58]Cass. Pen., 1997, 2877

[59]E prima ancora Cassazione Sez. VI, 12 Maggio 1995, ribadendo il concetto che l'accordo può costituire elemento comune sia al concorso di persone nel reato sia all'associazione per delinquere, sottolinea che i due fenomeni restano caratterizzati da aspetti strutturali e teleologici profondamente differenziati. Decisivo appare, infatti, dal primo punto di vista, l'accordo che designa la fattispecie plurisoggettiva semplice (sia essa necessaria ovvero eventuale) è funzionale alla realizzazione di uno o più reati, consumati i quali l'accordo si esaurisce o si dissolve.

[60]Afferma Cassazione Sez. VI, 4 Dicembre 1996, n.1108, Famiano, che ai fini della configurazione del concorso di persone nel reato di detenzione di sostanza stupefacente, è necessario e sufficiente che taluno partecipi all'altrui attività criminosa con la semplice volontà di adesione, che può manifestarsi in forme che agevolino detta detenzione, anche solo assicurando all'altro concorrente una relativa sicurezza. In tal senso va riconosciuta anche alla semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo dell'esecuzione del reato, l'idoneità a costituire e - stremo integrante della partecipazione criminosa, qualora essa sia servita a fornire all'autore del fatto stimolo all'azione od un maggior senso di sicurezza nella propria condotta, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa.

[62] Cass. Pen., 1997, 2237

[63]Cass. pen. Sez. III, 11-02-2022, n. 22172  M.S. e altri Nel caso di reato permanente, qual è la detenzione di sostanza stupefacente, la condotta di ausilio prestata durante la realizzazione del reato-presupposto integra un'ipotesi di concorso di persone nel reato.

[64]Tribunale Frosinone Sent., 25-09-2019 In tema di illecita detenzione di stupefacenti, il discrimine tra la condotta che costituisce concorso nel reato e la condotta che invece da luogo all'autonomo reato di favoreggiamento personale, va rintracciato nell'elemento psicologico dell'agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l'aiuto da questi consapevolmente prestato ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta criminosa, costitutiva del reato permanente, sia l'espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall'intenzione di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato.

[65]CED Cassazione, 2019, Studium juris, 2020, 3, 356

[66]In www.leggiditalia.it , conf. Cass. Sez. III, 19/11/2021, n. 42435 Z.R

[67]Crr. GUP Tribunale Reggio Emilia 5.3.2018 n. 96/18 che esclude il concorso della persona che venga trovata presente nell’abitazione ove altri soggetti abbiano detenuto la sostanza stupefacente. L’imputata, nella specie, è stata ritenuta consapevole della presenza dello stupefacente, ma il dato cognitivo non è stato considerato sufficiente, non avendo la “...convivente alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p.”, nonché in carenza di indici sintomatici di una funzione agevolativa e rafforzante l’altrui proposito criminoso.

[68] Cass. Pen., 1999, 2365, Giust. Pen., 1999, II, 542

[69]Cass.  Sez. VI, 05/06/2017, n. 27787 C.A. e altri, in Quotidiano giuridico 2017

[70] Giust. Pen., 1997, II, 173

[71] Riv. Pen., 1997, 389

[72] V. per tutte Cass. Sez. VI 22.4.1994 n. 198764

[73]Il delitto di favoreggiamento personale postula che il soggetto attivo non sia stato coinvolto oggettivamente né soggettivamente nella realizzazione del reato presupposto, sicché il contributo prestato attraverso la ricezione e la spedizione di parte del denaro destinato a un'illecita operazione d'importazione di sostanze stupefacenti nel territorio nazionale costituisce un'ipotesi di concorso nell'art. 73 del d.P.R. 309/1990 (Cass. Sez. II, 16/03/2023, n. 11305).

[74] Il discrimine tra il concorso di persone nella detenzione di sostanze stupefacenti e l'autonomo reato di favoreggiamento personale va rintracciato nell'elemento psicologico dell'agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l'aiuto da questi consapevolmente prestato ad altro soggetto sia l'espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall'intenzione di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato (Cass. Sez. IV, 01/02/2023, n. 4169).

[75]Con riferimento all'illecita detenzione di sostanza stupefacente, il favoreggiamento personale non è configurabile in costanza di detta detenzione dal momento che nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole avvenuta prima che la condotta di quest'ultimo sia cessata dà luogo ad un concorso di persone nel reato, quantomeno a carattere morale.

Conf. Cass. Sez. III, 16/02/2022, n. 11312, C.E. e altri, Sez. III, 20/01/2022, n. 2241 A.F. e altri.

[76]Fattispecie in cui la Corte di legittimità ha ritenuto correttamente qualificata la condotta dell'imputata in termini di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di concorso nella detenzione delle stesse, avendo ella attivamente partecipato ad atti di gestione del sodalizio e provveduto, in un'occasione, a occultare parte di tali sostanze in vista di un'imminente perquisizione dei Carabinieri)

[77]Tribunale di Catania, 25.1.05, Tomarchio. Non a caso, passaggio particolarmente illuminante della sentenza che si richiama è quello ove si afferma che “anche tale circostanza (l’individuazione dell’elemento psicologico n.d.a.) rivela l’inadeguatezza di una tesi che tentasse di individuare in base all’art. 73 dpr 309/90, norma rigorosa e volta alla repressione del fenomeno criminoso della circolazione della sostanza stupefacente, la congrua sanzione di un comportamento non assistito dal dolo proprio del reato ivi descritto

[78] Cfr. Detenzione di stupefacenti in “famiglia”: concorso nel reato, favoreggiamento e connivenza non punibile DPP 1995° n. 4, 442

[79]Diritto degli Stupefacenti (Pacini Giuridica) pg. 164

[80]Bologna, Bosco, Spitaleri in La disciplina dei reati in materia di stupefacenti Maggioli, pg. 158

[81]Mass. Cass. Pen., 1991, fasc.11, 15

[82] Difesa Pen., 1993, fasc.41, 96.

[83] La novella del 2006 – come detto – aveva, infatti, introdotto un regime di incertezza che pareva potere minare quelle certezza raggiunte, attraverso una precedente pronunzia di SS.UU., 28 maggio 1997, Iacolare, per la quale la co-detenzione integra un vero e proprio illecito amministrativo, non solo in caso di acquisto in comune della sostanza, ma anche quando l'acquisto e la successiva detenzione avvengano sin dall'inizio per conto e nell'interesse anche degli altri soggetti appartenenti al gruppo, essendo certa sin dall'inizio l'identità dei medesimi nonché manifesta la volontà di procurarsi la sostanza destinata al consumo personale.

Tale posizione, fu, peraltro, oggetto di critiche -francamente di difficile comprensione - posto che in dottrina sia AMATO (Auspicabile un maggior rigore probatorio per ritenere l'«uso di gruppo» di droga, in Cass. Pen., 2000, 522), che  POTETTI (L'opinabile soluzione delle Sezioni unite al problema della «droga di gruppo», ivi, 1998, p. 400, n. 2065) ebbero a disapprovare la cd. teoria del mandato, elaborata giurisprudenzialmente, forti anche di pronunzie in tal senso. Entrambi gli Autori  ed in special modo il primo, si ispirarono ad isolate pronunzie di merito sia del Tribunale di Bergamo, 27 novembre 1997, Tasca, la quale reputò sussistente il reato previsto dall'art. 73 cit., e non invece semplicemente l'illecito amministrativo di cui al successivo art. 75, nel caso di un soggetto che proceda all'acquisto di sostanza stupefacente anche in nome e per conto di altri, che gli abbiano conferito l'incarico di procurare la sostanza stessa per l'assunzione in comune, sia del G.U.P. Tribunale di Vicenza, 25 marzo 1999, Zambon.

[84]1. Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall'articolo 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative:

a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;

b) sospensione della licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla;

c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;

d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.

[85]Conformemente Cass. pen. Sez. III, 09/01/2015, n. 532 In tema di detenzione illecita, di sostanze stupefacenti, il consumo di gruppo, sia nell'ipotesi di acquisto congiunto che in quella di mandato all'acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante ma integra un illecito avente natura amministrativa, sanzionato dall'art. 75 del D.P.R. n. 309 del 1990, quando l'acquirente sia uno degli assuntori, l'acquisto avvenga sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo e sia certa sin dall'inizio l'identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto.

[86]Anticipatrice dell’orientamento in parola è la decisione della Sez. IV, 23 Novembre 1995, n.1113, Matrone, che fissa nel momento di costituzione del sodalizio d’acquisto, da parte dei destinatari-assuntori della droga, la fase temporale fondamentale, per stabilire che, con tale scelta, ciascuno degli acquirenti acquista, fin dall'inizio, la parte della sostanza corrispondente alla somma versata e la destina, da quel momento, al suo uso personale, ponendo in essere nello stesso istante l'illecito amministrativo di cui all'art. 75 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.

[87]Che la questione non fosse, peraltro, in passato, pacifica è dimostrato dalla sentenza di Sez. IV, 18 Gennaio 1994, Trainito, Giur. It., 1994, II, 716, nota di MANERA, per la quale, a seguito del d.P.R. 5 giugno 1993 n. 171, che ha depenalizzato la detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale, deve ritenersi illecita e penalmente perseguibile la detenzione di stupefacenti per uso di gruppo, in quanto tale detenzione comporta una cessione, sia pure parziale, della droga a terzi, cessione che è assolutamente incompatibile con la detenzione per uso personale)

[88] Sez. VI, 4 Giugno 1999, n.9075, De Carolis  Foro It., 2000, II, 244, nota di LA GRECA

[89]Conforme appare Cassazione Sez. VI, 15 Luglio 1999, n.698, Strati, in Riv. giur. Polizia, 2000, 364,in epoca recente sempre la  Sez. IV, 29 Aprile 2003, n.29938, Fasana, CED Cassazione, 2003, nonché sul piano della giurisprudenza di merito G.U.P. Tribunale di Sanremo, 23 Gennaio 2001 n. 44/01.

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