Stupefacenti, la lieve entità

Articolo di Carlo Alberto Zaina del 19/07/2023

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Dopo aver affrontato il tema della coltivazione di sostanze stupefacenti pubblichiamo un nuovo approfondimento in materia a cura dell'avv. Carlo Alberto Zaina.

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La lieve entità

di Carlo Alberto Zaina

 

Premesse storiche. Il rapporto con l'art. 72 L. 685/75. Successioni di leggi nel tempo

L’art. 72 della L. 685/75 sotto la rubrica “Altre attività illecite” recitava testualmente:

“Chiunque, fuori dalle ipotesi previste dall'art. 80, senza autorizzazione o comunque illecitamente, detiene, trasporta, offre, acquista, pone in vendita, vende, distribuisce o cede, a qualsiasi titolo, anche gratuito, modiche quantità di sostanze stupefacenti o psicotrope classificate nelle tabelle I e III, previste dall'art. 12, per uso personale non terapeutico di terzi, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire centomila a lire otto milioni.

Se taluno dei fatti previsti dal primo comma riguarda modiche quantità di sostanze stupefacenti o psicotrope classificate nelle tabelle II e IV, previste dall'art. 12, si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da lire centomila a lire sei milioni.” 

La ragion d’essere di questa norma consisteva nella possibilità di creare untertius genus che si ponesse come spartiacque fra l’ipotesi dell’art. 71 (che puniva il vero e proprio traffico) e l’art. 80 che, invece, regolava la non punibilità dell’uso personale.

In buona sostanza, nel disegno del legislatore dell’epoca, l’art. 72 avrebbe dovuto contemperare l’esigenza di sanzionare condotte non rientranti appieno nella previsione dell’allora art. 80 (fuori dalle ipotesi previste dall'art. 80, recitava testualmente la norma), ergo non concretanti un uso strettamente personale della droga da parte dell’agente, e la volontà di differenziare, sotto il profilo ponderale, quantitativi modici, cioè modesti e di limitata portata, rispetto alle previsioni punitive di maggiore severità.

La disposizione in questione avrebbe dovuto, quindi, nella più complessiva ottica logico-sistematica, soprattutto, fungere da elemento giuridico temperante la più grave previsione di condotte e sanzioni contenuta nell’art. 71.

Essa si sarebbe dovuta porre come elemento di correlazione rispetto all’art. 80, in particolar modo sotto il profilo quantitativo.

Tale caratteristica induce a porre un preliminare problema.

Ci si deve, quindi, domandare se, in termini di identità o di attinenza al concetto di quantità modica, l’art. 73 co. V dpr 309/90 si ponga – o meno - come norma di progressiva continuità rispetto all’art. 72 L. 685/75, attesa, infatti, apparentemente e, per le ragioni dianzi esposte, la circostanza dell’appalesarsi di una matrice comune.

Ciò posto, è fondamentale (e certamente interessante) verificare se ed in quale eventuale rapporto le due norme, comunque, si siano venute a porre tra loro.

E’ costante, ormai, l’opinione che il concetto di lieve entità differisca sotto plurimi profili rispetto a quello di modica quantità, determinando una sostanziale differenza di situazioni.

Nel periodo ante consultazione referendaria,  l’istituto della d.m.g., che è risultato – sino alla sua abrogazione - parametro restrittivo utilizzato a sostanziale sostituzione del precedente schema della modica quantità ha rivestito un peso specifico al fine di individuare situazioni sussumibili nel concetto di lieve entità.

In coerenza con tale visione, va ricordato che agli inizi degli anni ’90, cioè in epoca immediatamente successiva all’entrata in vigore della nuova normativa, la S.C. precisò che l’applicabilità dell’art. 73 co. V° poteva essere giustificata sotto il profilo ponderale, solo in presenza di un quantitativo definito “irrisorio” di stupefacente .

Veniva, così, a verificarsi una curiosa quanto discrasica situazione.

Una quantità di droga, che sotto la vigenza della norma precedente sarebbe potuta rientrare nel novero della modicità, poteva, invece, ex DPR 390/90, essere considerata eccedente quel limite empirico e soggettivo di minima diffusibilità della sostanza, entro il quale veniva a dispiegarsi l’operatività dell’art. 73/5° dpr 309/90.

Da siffatta impostazione è conseguito, così, il convincimento che la lieve entità ricomprendesse, a livello meramente ponderale, condotte devianti ed illecite di minore ampiezza rispetto a quelle rientranti nel pregresso concetto di modica quantità.

Una simile, ancorchè autorevole opinione, poneva la giurisprudenza (ed in special modo quella di legittimità) in perfetto allineamento ed armonia con il legislatore, il quale, pur tentando all’apparenza di distinguere fra grande spaccio e modesto spaccio, in realtà, intendeva punire qualunque condotta afferente gli stupefacenti, con indiscriminata severità e, soprattutto, senza alcuna distinzione fra i vari comportamenti.

In alternativa al concetto di pura valutazione ponderale, la giurisprudenza dell’epoca richiedeva una valutazione complessiva di assoluta conformità di tutti i parametri indicati dalla norma ad un principio di limitato disvalore del fatto.

Tale impostazione è stata richiamata anche, in epoca successiva al referendum del 1993, posto che la S.C. Sez. IV, 21 Ottobre 1994, Zennaro ed altro, in Riv. Polizia, 1996, 219 ha affermato che “Poiché il criterio rigoroso delle tre dosi medie giornaliere è da ritenere definitivamente superato, alla luce del d.P.R. 5 giugno 1993 n. 171, che ha abrogato parzialmente, a seguito del referendum popolare sul testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, la circostanza attenuante della lieve entità del fatto prevista dall'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, non è più in alcun caso legata al mero dato quantitativo, a meno che naturalmente la quantità detenuta sia talmente elevata da annullare ogni altra circostanza favorevole all'imputato”.

Conferma ulteriore provenne anche dalla Sez. VI della Corte di Cassazione, la quale, sent. 18 Maggio 1995, ribadì che “In materia di violazione della legge sugli stupefacenti, il giudizio in ordine alla esistenza o meno delle circostanze attenuanti ad effetto speciale prevista dall'art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (lieve entità del fatto) concerne il "fatto" nella sua unitarietà e non può, quindi, farsi discendere da una sola delle sue componenti, come la quantità o qualità dello stupefacente detenuto, occorrendo invece valutare anche gli altri elementi indicati nella norma, vale a dire "mezzi, modalità o circostanze della azione".

Emergevano, inoltre, anche argomenti meritevole di particolare approfondimento.

In primo luogo, veniva sottolineata la non coincidenza e la non ricomprendibilità dell’una ipotesi nell’altra, perché si evidenziavano quegli autonomi termini operativi che concernevano le due fattispecie, (Cfr. sent. 31 Ottobre 1997, n. 4266 della Sezione VI, Sorzi, la quale ribadiva la differenza giuridica tra le due previsioni).

Il concetto di "modica quantità" di cui all'art. 72 l. 22 dicembre 1975 n. 685, a parere del S.C. riguardava, infatti, solo un aspetto della detenzione, e cioè quello concernente la quantità della sostanza, mentre il "fatto di lieve entità" di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 avrebbe presentato un afflato ed uno spettro di maggiore ampiezza, concernendo il fatto nella sua interezza.

Vengono, così, presi in considerazione tutta una serie di parametri quali i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione, la quantità e qualità delle sostanze.

La non omologabilità delle due fattispecie, legittimò, così, la Corte ad escludere che si ponesse un problema di applicazione della legge più favorevole, ai sensi dell'art. 2 comma 3 c.p. e dichiarò inammissibile il ricorso con il quale si deduceva che, avendo il giudice di primo grado ritenuto la modica quantità delle sostanze oggetto di spaccio, la Corte d'appello avrebbe dovuto applicare la sopravvenuta norma più favorevole di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.

Qualunque fosse il tipo di relazione ritenuto esistente fra i due istituti, chiunque esaminasse la tematica in parola, veniva, comunque, indotto a trovare chiara conferma e riscontro alla tesi che vuole che il T.U. 309/90 risulti caratterizzato da un indiscriminato inasprimento sanzionatorio e che, pertanto, la nuova disposizione difficilmente possa porsi in relazione di continuità neppure minima rispetto all’abrogato art. 72 L. 685/75.

Appariva, pertanto, palese in talune pronunzie, come anticipato, che il concetto della lieve entità veniva a coprire condotte e situazioni soggettive di ben minore ampiezza di quelle cui faceva riferimento, per applicazione giurisprudenziale, la nozione di modica quantità .

La S.C. ebbe a sostenere la non sovrapponibilità delle due norme in questione sull’assunto che “la lieve entità del fatto può sussistere anche in presenza di una quantità non modica di droga – da valutarsi in senso obbiettivo – qualora le particolari connotazioni della condotta attenuino la rilevanza penale del fatto e, dall’altro”. 

Allo stesso modo, la modicità dello stupefacente poteva venire svalutata, nel caso in cui le circostanze, i mezzi e le modalità avessero accentuato la pericolosità sociale della condotta dell’agente.

In relazione a tale presupposto, si rileva che elemento di totale dissonanza fra le due normative consisteva nella prospettiva in base alla quale il legislatore del 1975 e quello del 1990 si erano mossi, perché il primo aveva focalizzato solo la quantità, il secondo, invece, aveva ampliato la gamma degli elementi da considerare, aprendo ad aspetti che permettevano una completa valutazione in ordine alla reale offensività della condotta.

Operando, inoltre, una comparazione, poi, fra i modi con cui le due norme disciplinano l’aspetto ponderale, balza all’evidenza come la S.C. abbia reiteratamente sottolineato come nell’ottica di una politica di repressione, di cui il T.U. 309/90 era testimonianza giuridica, la complessiva previsione dell’art. 73/5°, poteva venire solo giustificata e legittimata dall’eccezionale parametro della minima offensività del fatto, elemento irrilevante in precedenza.

Le ragioni di tale posizione del giudice di legittimità riposavano nella considerazione che l’art. 73 era ritenuto (nella sua originaria accezione) di gran lunga più sfavorevole del precedente art. 72, alla luce, poi, del divieto ante referendum di uso personale di stupefacenti (che determinava pertanto, prima del 1993 la punibilità del soggetto che detenesse oltre la d.m.g.).

Ciò nonostante vi fu (Cfr. Sez. VI, 23 marzo 1992) Sartori chi ritenne concettualmente utilizzabile allo scopo di potere elaborare compiutamente il concetto di lieve entità, quello di modica quantità della L. 685/75,

Per completezza argomentativa, si evidenzia che la più volte rimarcata differenza fra le due previsioni è stato elemento di discussione anche a fini processuali, posto che si sono verificati casi di comportamenti tenuti sotto l’imperio della vecchia legge, tratti a giudizio una volta già entrata in vigore il DPR 309/90.

Anche in questo caso si sono appalesate due visioni tra loro irreversibilmente confliggenti.

La prima, più squisitamente dottrinale, propugna l’applicazione, per il caso di affermazione di pena responsabilità del soggetto, dell’art. 2/3° co. c.p. concernente la successione delle leggi nel tempo e sostiene l’applicazione dell’art. 73 co. V°, sul presupposto che tale norma sia complessivamente più favorevole.

La seconda, di natura eminentemente giurisprudenziale, in conflitto con la precedente, esclude tassativamente un simile possibilità, rilevando una oggettiva differenza fra le due fattispecie normative e ribadendo l’eterogeneità degli elementi valutativi dell’art. 73/5° a fronte dell’unico e prioritario parametro dell’art. 72 L. 685/75, consistente nella quantità.

Anche in relazione a simile problema si è tentato di dare corso ad una elaborazione giurisprudenziale ricostruttiva, che captasse da ognuna delle due disposizioni elementi tra loro armonizzabili.

Si è così sostenuta l’applicabilità concreta del co. V, laddove sia riscontrata la compatibilità del concetto di modica quantità (per quanto si riferisce allo stupefacente) con i fatti commessi, valutati nella loro interezza, laddove questi ultimi non presentino dati che possano escludere la loro configurazione come di lieve entità.

Pare di potere affermare che si faccia preferire la tesi che ammette la modifica dell’imputazione, pur in presenza di ipotesi di reato tra loro diverse.

La diversità a livello strutturale delle due norme in comparazione non impedisce, affatto, in prima battuta, di ravvisare, però, punti di contatto tra le stesse e di ritenere che l’art. 73 comma V° DPR 309/90, soprattutto nella sua accezione post referendaria, si proponga come serio tentativo di una logica e naturale prosecuzione evolutiva in melius della norma precedente, seppur in contraddizione con un contesto di apparente, quanto inutile, inasprimento complessivo del regime sanzionatorio.

L’applicazione, in casi così controversi, dell’art. 73 si pone, quindi, come soluzione assolutamente preferibile non solo e non tanto per il più favorevole trattamento a livello di pena.

La norma in questione, infatti, pur ponendosi quale fattore di contraddizione all’interno di una sistematica normativa di chiara impostazione repressiva e, per di più, carente di una seria distinzione fra le varie figure d’autore dei reati in materia di stupefacenti (ferme, inoltre, le critiche mosse in premessa), si propone, invece, come apprezzabile e preferibile, proprio l’ampia gamma di circostanze che essa presenta e per la varietà di valutazioni che favorisce, in conformità al principio del favor rei.

L'art. 73 comma 5° dapprima quale circostanza attenuante ad effetto speciale

Sino al decisivo e fatidico intervento della L. 21 febbraio 2014, n. 10 (in G.U. 21/2/2014, n. 439 che convertiva il DL 23/12/2013 N. 143, che ha sancito senza più tentennamenti la natura di reato autonomo dell’ipotesi di lieve entità, la giurisprudenza aveva inserito l’istituto di cui al comma V dell’art. 73 dpr 309/90 nella categoria delle circostanze attenuanti1.

Eppure le  Sez. Unite, con la pronunzia 23-06-2011, n. 34475 (rv. 250352), affrontando il tema del reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti costituita al fine di commettere fatti di lieve entità, di cui all’art. 74 co. 6 dpr 309/90, ne avevano riconosciuto la natura di fattispecie autonoma di reato e non mera ipotesi attenuata del reato di cui all'art. 74 co. 1 dpr 309/90, aprendo alla logica conclusione che tale impostazione avrebbe dovuto, coerentemente, venire estesa anche alla previsione del comma 5°.

Chi scrive ricorda di avere combattuto – negli anni - una strenua battaglia, funzionale ad estromettere l’istituto in parola dalla condizione di precarietà e limitata efficacia procedimentale, che il collocamento nella categoria delle attenuanti determinava.

Si pensi solo alla perversa situazione che si venne a verificare con l’introduzione del divieto di prevalenza di taluni circostanze attenuanti (tra le quali anche quella di cui al co. 5 in parola) contemplato dall’art. 3 L. 5.12.2005 n. 251 in relazione alla aggravante della recidiva.

Si tratta di effetti aberranti – con l’inflizione di pene assolutamente sproporzionate rispetto alla reale portata del fatto – che perdurarono nel tempo e che vennero meno solo con la sentenza della Corte Costituzionale del 5.11.2012 n. 251.

Nonostante la classificazione originaria apparisse irragionevole ed illogica, si deve ricordare che alcuni argomenti di ordine giuridico produssero grande influenza al fine di perpetuare l’indirizzo che, seppur tardivamente, il legislatore ha ritenuto di archiviare nel 2014.

1) Il primo di questi fu l’inammissibilità dell'appello proposto dal p.m. avverso la sentenza, emessa nel giudizio abbreviato, ove il giudice avesse applicato la lieve entità, configurata come attenuante ad effetto speciale (Cass. sez. IV, 22 aprile 1997, n.4244, Saraglia, CED Cassazione, 1997).

La concessione dell'attenuante del fatto di lieve entità, infatti, non avrebbe modificato il titolo del reato, ma avrebbe inciso solo sulla valutazione della gravità del fatto.[1]

2) Il secondo fu la ipotizzata identità dei comportamenti sanzionati nel co. 1°, co. 1 bis (all’epoca vigente sino alla sentenza n. 32/2014 della Consulta) e co. 5° dell’art. 73, sicchè si sarebbe dovuto ritenere che le condotte contenute nei primi due commi assumono un carattere di assoluta genericità a fronte di una specialità degli elementi che vengono specificatamente considerati ex lege di lieve entità’

In dottrina, va sottolineato che AMBROSINI, Torino, 1991, ebbe ad osservare che la prova della classificabilità dell'art. 73 co. V dpr 309/90 nel novero delle attenuanti, sarebbe derivata dalla coincidenza fra i dati complementari contenuti nella norma e taluni dei parametri dettati dall’art. 133 c.p. , mentre secondo AMATO, l’articolo in questione pertanto, inciderebbe solamente in ordine al grado di pericolosità della condotta, senza mutare l’obbiettività giuridica delle previsioni contenute negli altri commi.

3).Il terzo nell’osservazione a contenuto forse più lessicale che giuridico che, laddove una norma abbia utilizzato la locuzione “lieve entità”, si sia pacificamente fatto riferimento ad attenuanti o diminuenti speciali[2].

4. Il quarto nella considerazione che la congenita indeterminatezza della fattispecie regolata dall’art. 73/5° potrebbe provocare non pochi impacci interpretativi alla forze dell’ordine in relazione ad una corretta applicazione dell’art. 381 c.p.p. .

Secondo un autorevole Autore (Amato- Fidelbo La disciplina penale degli stupefacenti cit. pg.204/205) risulterebbe problematico per la polizia giudiziaria addivenire immediatamente ad un giudizio di conformità della fattispecie concreta allo stereotipo normativo della “lieve entità”.

La lieve entità come reato autonomo. Il D.L. n. 146/2013 conv. in L. 10/2014

L’insieme delle considerazioni che precedono, talune anche di particolare spessore, è stato superato da una serie di interventi normativi che sono venuti a sovrapporsi alla decisione della Corte Costituzionale del 25 febbraio 2014 n. 32 in relazione alla illegittimità degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del DL 30/12/2005 n. 272 (conv. in L. 49/2006).

L’istituto della lieve entità è venuto a mutare radicalmente sia con la promulgazione del DL 23/12/2013 n. 146 (conv. in L. 21/2/2014 n. 10), che ha trasformato formalmente e sostanzialmente la previsione dell’ipotesi di lieve entità da circostanza attenuante ad effetto speciale, in reato autonomo, che con l’emanazione del DL. 20/3/2014 n. 36 (conv. in L. 16/5/2014 n. 79) che ha ridotto le pene previste in precedenza (reclusione da uno a cinque anni e  della  multa  da euro 3.000 a euro 26.000) fissandole nella misura della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329 .

Si deve osservare, peraltro, che la riformulazione della norma in questione non è avvenuta in coerenza con l’indirizzo della Consulta, che – con la sentenza n. 32/2014, ha ripristinato la differenza giuridica e sanzionatoria fra droghe pesanti e droghe leggere.

Se, infatti, allo stato le sostanze (“pesanti”) ricomprese nelle tabelle I e III ricadono nella cornice sanzionatoria del comma 1° dell’art, 73, mentre quelle ricomprese nelle tabelle II e IV (“leggere”) sono governate dal sistema di pene previsto dal comma 4°, venendosi a creare due reati diversi ed autonomi tra loro, tale distinzione non è, però, intervenuta in relazione al comma 5°.

Il regime sanzionatorio, infatti, prevede la medesima pena senza operare differenziazioni o fratture di sorta fra droghe pesanti e droghe leggere.

Sicchè, in presenza del fatto di lieve entità, la condotta avente ad oggetto stupefacenti appartenenti a tabelle differenti, verrà considerata come un reato unico.

La nuova natura di reato autonomo riconosciuta alla lieve entità, permette di affermare che a simile conclusione si dovrà pervenire anche nel caso in cui intervenga la violazione del co. 5 riferita ad una precisa sostanza (ad esempio cannabis), che si ponga come contestuale, rispetto alla violazione del comma che concerne l’ipotesi ordinaria di reato attinente ad altro tipo di stupefacente (ad esempio cocaina – co. 1 -).

Si tratta di una scelta che ha subito interpretazioni non sempre coerenti, siccome qualche voce dissonante – seppur minoritaria si è levata -.

Sul piano della ortodossia si segnala Cass. Sez. III Sent., 17/02/2015, n. 6824 (rv. 262483), che, in presenza di una contestuale detenzione spazio-temporale di sostanze stupefacenti di diversa natura riconobbe l'ipotesi lieve prevista dall'art. 73, co. 5, dpr. 309/90, con la conseguenza che nella fattispecie si dovesse effettuare un'unica, complessiva valutazione della condotta illecita[3].

Ed anche Sez. IV Sent., 03/01/2019, n. 109 (rv. 275075-01) ha sostenuto che “...la cessione, nel medesimo contesto spazio temporale e senza un'apprezzabile soluzione di continuità, di diverse tipologie di stupefacente, qualora sia qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità ex art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro...”.

Orientamento confermato anche recentissimamente da Sez. III, 03/03/2023, n. 9087 che testualmente ha precisato che “...L'art. 73 comma 5 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come riformulato dalla legge 14 maggio 2014, n. 79, prevede un'unica figura di reato, quale che sia la classificazione tabellare dello stupefacente oggetto delle condotte punite, sicché la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualora sia classificabile quale fatto di lieve entità, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro….”.

Di diverso ed opposto avviso, invece, Corte d'Appello Roma Sez. III, 04/09/2017, per la quale “...la detenzione per la vendita di sostanze diverse per tipologia, quali cocaina, eroina ed hashish, esclude in radice di ritenere il fatto di lieve entità...”.

Ciò posto si deve, però, evidenziare che, ove si vada alla ricerca dell’effettivo scopo che avrebbe indotto il legislatore a questa rivoluzionaria scelta, si dovrebbe convenire con chi [Cfr. MIAZZI in QUESTIONE GIUSTIZIA Il “nuovo” V comma T.U. n. 309/1990: dal reato di quantità al reato di condotta? Gennaio 2016] nega che vi fosse a sottendere alla novella un reale intenzione: “Non si parla di intenzione del legislatore, che semplicemente non c’è. Perché il legislatore del nuovo V con il dl 143/2013 non aveva lo scopo di introdurre novità di sistema nella legge sugli stupefacenti ma di scarcerare detenuti in eccesso (non per niente la legge venne detta “svuotacarceri”). E perché il legislatore della nuova legge che ha fatto rinascere il I e il IV comma della l. n. 132/1990 semplicemente non c’è, perché è stata la Corte Costituzionale a far rivivere la legge Jervolino-Vassalli. Perché, infine, il legislatore del nuovissimo V comma, quello della l. n. 49/2014, a sorpresa ha modificato il V comma probabilmente (è l’ipotesi più plausibile per un intervento altrimenti inspiegabile) preoccupato di adattare il reato autonomo alla rediviva disciplina del IV comma, e trovandosi una pena superiore per le droghe leggere nel V comma rispetto alla legge n. 162/1990, per evitare complicazioni e possibili ulteriori questioni ha piallato tutto il V comma sulle pene previste per le droghe leggere dalla legge del 1990. Nello sconforto della presa d’atto dell’assenza di un legislatore che abbia a cuore il sistema, e in presenza di una legislazione caotica (ora per accumulo, ora per sottrazione, ma sempre senza un pensiero portante), non si è forse fatto sufficiente attenzione al quadro complessivo che tutto questo ha originato”.

Quest’opinione è stata condivisa appieno da Cass. Sez. IV, 9-1-2014, n. 7363, N.F., che ha osservato testualmente che “ Alla base dell'innovazione legislativa vi è il desiderio di ridurre la presenza nella popolazione carceraria dei tossicodipendenti, spesso detenuti in seguito alla commissione di fatti concernenti gli stupefacenti di contenuta gravità e dunque facilmente inquadrabili nello schema del comma 5° dell'art. 73. Detta novella, introducendo una pena edittale inferiore, è da ritenersi indubbiamente più favorevole all'imputato”.

Si deve, poi, considerare che la modifica normativa manifesta la propria dirompenza, sol che si pensi alla circostanza che il fatto lieve, ora come fattispecie autonoma, è reato differente rispetto all’ipotesi “ordinaria”, venuta meno quella coincidenza sanzionatoria tra il massimo della pena previsto per il 5 comma ed il minimo per la pensa sancita per il comma 1 (onnicomprensivo di tutte le sostanze) che rendeva prospicienti i due fatti-reato.

Ora con l’intervento demolitorio della Corte Costituzionale, dato dalla sent. 32/2014 si può notare che la pena prevista dal comma 5 (reclusione 6 mesi – 4 anni) appare ricompresa nel contesto del comma 4 che governa le droghe leggere (reclusione 2 – 6 anni), si che si deve prendere atto di una spiccata sovrapposizione, che non si rinviene, però, per quanto concerne le droghe pesanti.

In relazione a queste ultime va segnalato l’intervento parzialmente riequilibratore della Consulta (con la sent. n. 40 dell’8.3.2009) che riportando il minimo edittale di pena, riguardante il co. 1 a 6 anni di reclusione ha ripristinato una situazione di minima proporzionalità rispetto alla distanza che intercorre tra il massimo di pena previsto per il comma 5 (anni 4 di reclusione) ed il minimo per il comma 1 ed anche rispetto al massimo di pena previsto per il comma 5 (anni 6 di reclusione).

Dunque. il legislatore ha inteso codificare nel nuovo comma 5 dell’art. 73, una situazione che ha il suo fulcro nella condotta, cioè in quella serie di elementi circostanziali debitamente e tassativamente descritti nella norma, prescindendo dal tipo di sostanza e dalla loro collocazione in tabelle differenti.

La condotta si viene, così, a contrapporre alla sostanza, che, invece, pare costituire il discrimine che porta alle differenze sanzionatorie che intercorrono tra sostanze di cui alle tabelle I e III (pesanti) e quelle di cui alle tabelle II e IV (leggere).

In questo contesto la condotta di piccolo spaccio non costituisce più la forma attenuata del reato base, ma proprio per i caratteri che la connotano espressamente è un fatto/reato autonomo, differente dalla fattispecie ordinaria.

Sia consentito, inoltre osservare l’importanza di questo reato di prossimità, cuscinetto che si pone al confine fra l’ipotesi di reato ordinaria (co. 1 e 4), l’ipotesi di inoffensività della condotta (che può comportare il proscioglimento dell’imputato) e anche rispetto alla condizione di limitata offensività della stessa (situazione che può determinare l’applicazione dell’istituto contemplato dall’art. 131 bis c.p.).

Dunque una previsione normativa – quella di reato autonomo - piuttosto elastica e versatile, per quanto concerne gli effetti applicativi e decisori concernenti varie situazioni, non ultima quella contemplata dal co. 5 bis in materia di pene alternative alla detenzione.

Una scelta utile, ancorchè – come detto – forse involontaria.

Essa, comunque, produce anche ulteriori effetti sul piano processuale[4], sol che si pensi ai riflessi – ad esempio – in tema di arresto in flagranza – escluso dall’art. 380 co. 2 lett. h) c.p.p., così come viene esclusa l’applicabilità del fermo di indiziato di reato ex art. 384 c.p.p., nonché da ultimo alla competenza per materia del giudice monocratico in forza del combinato disposto dagli artt. 33 ter e 550 co. 1 c.p.p.[5].

Già nell’immediatezza successiva della promulgazione del Dl 23.12.2013 n. 146, Cass. Sez. IV, 28-2-2014, n. 10514, V.M. ebbe a porre l’accento sulla circostanza della natura autonoma del delitto di "condotte illecite di lieve entità".

Le prime evidenti conseguenze che immediatamente si sono derivate, dall’entrata in vigore del D.L. n. 146 del 2013 e con il superamento della pregressa configurazione circostanziale - rafforzata dal DL 20.3.2014 n. 36 conv. L. 16.5.2014 n. 79 – hanno, inoltre, investito il regime della prescrizione, introducendo un più favorevole regime del termine relativo, il quale, in base alla regola stabilita dall'art. 157, co. 1 c.p.p., “dovrà ora computarsi sulla base della pena edittale stabilita per la nuova fattispecie autonoma di reato, attestandosi sulla breve misura di sei anni, prorogabile fino alla durata di sette anni e mezzo in caso di atti iinterruttivi” [Cfr. Cass. Sez. VI, 8-1-2014, n. 14288 (rv. 259059)].

Precedentemente[6] il reato di cui all’art. 73 si prescriveva, “ove fosse stata ritenuta la circostanza attenuante di cui all'art. 73 comma quinto d.P.R. n. 309 del 1990, nel termine ordinario di dieci anni ed in quello massimo di quindici anni”.

Il maggior favore – nei confronti dell’imputato - della nuova ipotesi di reato appare pacificamente accolto come dichiarato da Cass. Sez. IV, 11-2-2014, n. 11525 (rv. 258189).

Deriva, così, l’applicabilità del nuovo regime sanzionatorio anche per fatti avvenuti in costanza dei parametri precedenti alla novella legislativa e, quindi, per i reati commessi prima della data di entrata in vigore del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito dalla legge 16 maggio 2014, n. 79 [Cass. Sez. IV, 14-5-2014, n. 27724 (rv. 260267)].

Ha, così, affermato il giudice di legittimità che la ulteriore modifica del trattamento sanzionatorio del reato di cui all'art. 73, co. 5 dpr 309/90, che ha mitigato la pene rendendole meno gravi, permette di configurare l'illegalità sopravvenuta della pena inflitta utilizzando paradigmi edittali precedenti.

Un simile intervento deve, poi, essere necessariamente operato [Cfr. Cass. Sez. VI, 29-5-2014, n. 3177 (rv. 262077)] anche quando la pena antecedentemente irrogata risulti compatibile con la vigente cornice sanzionatoria e sia stata fissata dal giudice del merito nel minimo edittale previsto dai parametri antecedenti alle indicate novelle legislative intervenute nelle more del giudizio di Cassazione

Nel caso specifico la S.C. ha precisato che, essendo stata inflitta nella sentenza impugnata una pena corrispondente ai precedenti minimi edittali, la rideterminazione del trattamento sanzionatorio poteva essere eseguita direttamente in sede di legittimità, a norma dell'art. 620, comma primo, lett. l), cod. proc. pen., utilizzando nelle operazioni di calcolo i minimi edittali vigenti

Altro profilo che ha subito una forte influenza ed innovazione attiene alla metodica di quantificazione della pena.

Precedentemente al DL 146/2013, la natura di circostanza ad effetto speciale che caratterizzava l’istituto della lieve entità comportava una giudizio di valenza fra la stessa e tutte le circostanze aggravanti eventualmente contestate.

Come ritenuto da Cass. Sez. VI, 28-9-2011, n. 458 (rv. 251557) il fatto di lieve entità ante riforma configurava una circostanza attenuante ad effetto speciale, che non si sottraeva al giudizio di comparazione con le aggravanti eventualmente contestate, neppure la recidiva[7].

Le conseguenze – soprattutto in ipotesi in cui la recidiva non fosse stata esclusa potevano, quindi, essere – come ho già avuto occasione di precisare - addirittura aberranti.

Una vicenda assolutamente modesta veniva ad essere sanzionata con la pena prevista per il comma 1 dell’art. 73, atteso il divieto di prevalenza sulla recidiva di cui all'art. 99 co. 4 c.p. della circostanza attenuante di cui all'art. 73, co. 5, del dpr 309/90 sancito dall’art. 69 co. 4 c.p.p. .

Come anticipato, solo dopo ben 7 anni dall’introduzione del dl 251/2005, finalmente la Corte Cost. è intervenuta con la sentenza 15-11-2012, n. 251, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69/4 c.p., proprio nella parte in cui esso prevedeva il citato divieto di prevalenza.

La Consulta ha spiegato che “il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale; deroghe al bilanciamento però sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte del legislatore, e sono sindacabili da questa Corte solo ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza, che nel caso di specie è resa evidente dall'enorme divaricazione delle cornici edittali stabilite dal legislatore per il reato circostanziato e per la fattispecie base prevista dal primo comma dell'art. 73. Inoltre la disciplina censurata, nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza una deroga rispetto al principio di proporzionalità della pena, la quale diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell'applicazione delle circostanze: Secondo l'art. 27, terzo comma, Cost. infatti, la finalità rieducativa della pena implica un costante "principio di proporzione" tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra.”.

Successivamente il giudice delle leggi (ord. 20-06-2013, n. 148) ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui esclude che la circostanza attenuante - consistente nella lieve entità del fatto - di cui all'art. 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 possa essere dichiarata prevalente sulla recidiva reiterata. La questione è infatti divenuta priva di oggetto in seguito alla sentenza n. 251 del 2012, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui al richiamato art. 73, comma 5, sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.”, ribadendo la efficacia del decisum di cui alla sent.251/2012.

Intervenuta la novella portata dal Dl n. 143/2013 e dalla legge di conversione n. 10/2014, la giurisprudenza di legittimità[8] ha affermato che “con la novella del 2014, la pena prevista per il fatto di lieve entità, già prevista per le c.d. droghe leggere, viene adottata, indifferentemente, per tutti i fatti di lieve entità e ciò a prescindere dalla collocazione dello stupefacenti nell'una o nell'altra tabella. Relativamente ai processi in corso, l'art. 73, comma V nella nuova formulazione, trova applicazione limitatamente alle droghe "pesanti". Quanto alle droghe c.d. leggere, per fatti commessi fino al 23.12.2012, occorrerà verificare, a parità di pena, se in concreto sia più favorevole per l'imputato, l'applicazione dell'ipotesi di cui al comma V dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, quale ipotesi circostanziale ovvero quale reato autonomo. Ricorrerà la prima ipotesi solo in quei casi in cui vi siano recidiva o sussistano circostanze aggravanti contestate ed il giudice ritenga le stesse minusvalenti, ai sensi dell'art. 69 c.p., rispetto all'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, comma V del D.P.R. n. 309 del 1990”.

Si è, infatti, posto un problema di successione di leggi nel tempo, risolto da Cass. Sez. III, 12-6-2014, n. 27952 (rv. 259399), che ha sancito che “In ipotesi di successione di leggi nel tempo, l'individuazione del regime di maggior favore per il reo ai sensi dell'art. 2 cod. pen. deve essere operata in concreto, comparando le diverse discipline sostanziali succedutesi nel tempo”.

La Corte ha rilevato, così, che relativamente all’ipotesi della lieve entità di cui all'art. 73/5, divenuta reato autonomo per effetto dell'art. 2 D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, L. 21 febbraio 2014, n. 10), avrebbe potuto rivelarsi per le sole droghe cosiddette "leggere" di maggior favore l'originaria previsione della circostanza attenuante ad effetto speciale, laddove essa fosse giudicata prevalente rispetto ad eventuali circostanze aggravanti nonché alla recidiva.

Ed ulteriore problema che la Corte Suprema è stata chiamata ad affrontare ha riguardato la attenuazione ex lege del trattamento sanzionatorio, in base alla quale è configurabile l'illegalità sopravvenuta della pena inflitta qualora il giudice abbia utilizzato i parametri edittali antecedenti alle indicate novelle legislative[9].

A fronte, poi, della successiva promulgazione della L. 79/2014 la. Sez. III, 25-03-2015, n. 16613, F.D. ha statuito che “...l'art. 73 comma 5°, nella formulazione vigente, introdotta con la legge n. 79 del 2014, trova applicazione relativamente a tutti i processi pendenti per fatti di lieve entità relativi a droghe "pesanti". Per quelli relativi alle c.d. "droghe leggere" per fatti commessi fino al 23.12.2013, occorrerà verificare, a parità di pena, se in concreto sia più favorevole per l'imputato l'applicazione della ipotesi di cui al comma V dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 quale ipotesi circostanziale ovvero come reato autonomo. Dunque, ricorrerà la prima evenienza solo quando vi sia recidiva o circostanze aggravanti ed il giudice ritenga le stesse minusvalenti, ai sensi dell'art. 69 c.p., rispetto all'ipotesi attenuata di cui al comma V”.

Il regime sanzionatorio introdotto dalla novella in questione si rivela, comunque, complessivamente di maggior favore per il reo, non consentendo più il giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti[10].

Si è avuta,  così, l’applicazione del principio per cui la Corte ha annullato la sentenza impugnata, rilevando d'ufficio che la novella legislativa dell'art. 73, comma quinto, d.P.R. 309/90 avrebbe comportato un trattamento sanzionatorio di maggior favore per l'imputato, giacché non consentiva il bilanciamento con la ritenuta recidiva ex art. 69 c.p. .

Dunque, il carattere di reato autonomo, che ora connota il comma 5 dell’art. 73 dpr 309/90, fa si che la quantificazione della relativa pena sia determinata all’interno della cornice edittale (6 mesi – 4 anni di reclusione) con aumenti o diminuzioni, in forza dell’eventuale riconoscimento di circostanze attenuanti e/o aggravanti e, con un giudizio di valenza tra le stesse, che ora, quindi, non coinvolge in alcun modo il titolo di reato.

Si deve, poi, rilevare la ininfluenza della sentenza n. 32/2014 della Consulta sulla natura di delitto autonomo assunta dall’art. 73/5 con la L. 10/2014.

Cass. Sez. IV, 28-02-2014, n. 10514 ha, infatti, precisato che il consequenziale  ripristino del differente trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le droghe c.d. leggere rispetto a quelli concernenti le droghe c.d. pesanti non intacca minimamente lo ius superveniens introdotto con la citata norma.

L'art. 73, co. 5 nella giurisprudenza recente e gli elementi rilevanti per il giudizio di sussistenza dell'ipotesi di lieve entità; parametri applicativi - attuale stato dell'arte

Per la prima volta con la introduzione del concetto di lieve entità la legislazione sugli stupefacenti (seppur in modo disarticolato), ha tentato di allargare lo spettro valutativo, ai fini decisionali, offrendo, così, elementi autonomi e, come tali, quindi, non strettamente dipendenti dal quantitativo dello stupefacente.

Quest’ultimo canone, peraltro, rimaneva parametro di indubbio rilievo, anche se si faceva strada l’idea di una sua limitata valenza, soprattutto in ipotesi in cui il dato ponderale eccedesse un ambito modesto.

In dottrina,  MIAZZI[11], ha posto l’accento sul carattere di reato cd. di condotta, che connoterebbe la lieve entità.

La novità introdotta nel preesistente istituto consisterebbe nella circostanza che la condotta da esso contemplata risulterebbe diversa rispetto a quella delle ipotesi più gravi.

Emergerebbe, pertanto, ad avviso dell’Autore una “indifferenza, nel reato tenue, rispetto al tipo di sostanza stupefacente...” oggetto della condotta del caso specifico.

Prova della rilevanza del canone ermeneutico in parola si ricava soprattutto dalla giurisprudenza.

Nonostante sia intervenuto un mutamento rilevante ed epocale (pur se tardivo), consistente nella modifica sostanziale della natura dell’istituto che, da tremebonda circostanza attenuante suscettibile (per quanto ad effetto speciale) di vedere la propria applicazione alla mercé di circostanze aggravanti e di previsioni normative, concernenti le procedure di bilanciamento, tali da privarla di concreta efficacia, si può affermare che i paradigmi applicativi della lieve entità non sono mutati.

Sintomatica è la pronunzia della Corte d'Appello Napoli Sez. III Sent., 24/02/2023, la quale, ribadendo preliminarmente che “….le modifiche normative introdotte dal D.L. n. 146/2013 conv. in L. n. 10/2014 hanno chiarito che la lieve entità di cui al quinto comma dell'art. 73 configura, non più una circostanza attenuante come nella precedente formulazione, ma un titolo autonomo di reato...” ha, peraltro, precisato che i criteri valutativi non paiono affatto modificati.

Posto che essendo “..la nuova ipotesi delittuosa correlata ad elementi (i mezzi, le modalità, le circostanze dell'azione, la qualità e la quantità delle sostanze) che non mutano, nell'obiettività giuridica e nella struttura, la fattispecie precedentemente prevista - vale pur sempre il principio secondo cui, che detta ipotesi, può essere riconosciuta solo in caso di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione) con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio”.

La decisione di merito appena citata appare orientata nel segmento tratteggiato dalla sentenza della Sez. VI, 25/11/2022, n. 45061, R.F.12.

Questa pronunzia individua come dato preliminare per il riconoscimento della fattispecie attenuata di cui all'art. 73 co. 5, un’ipotesi di minima offensività penale della condotta.

Tale condizione può essere dedotta

- dal dato qualitativo e quantitativo,

- da altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione).

Si determina, così, la conseguenza che, ove anche uno solo degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.

La S.C. nel contempo, ha ribadito il principio che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato in questione, in quanto l'accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione.

Dunque, come sostenuto in dottrina[12], non esiste un ordine gerarchico del valore degli indicatori-criteri sopra indicati.

Questa posizione si riscontra con la tesi che esclude come possa risultare aprioristicamente preponderante uno solo di essi, ove esso venga valutato in modo avulso rispetto agli altri.

In questo modo, quindi, il giudice è chiamato a fornire un giudizio di natura complessiva, che tenga conto delle opposte circostanze, sicché il risultato sia frutto di una opera di bilanciamento delle stesse.

Il giudizio riguardante lo spessore dell’effettiva offensività della condotta, cui riconnettere la sussumibilità della stessa nella norma di cui al co. 5, deve, pertanto, derivare da questo processo delibativo che coinvolga tutti gli elementi del fatto nessuno escluso13.

Sotto questo aspetto, quindi, il solo dato quantitativo, che possa risultare elevato non pare elemento di per sé solo decisivo ad escludere la configurabilità del reato minore.

A contrario, invece, una condotta avente ad oggetto una modica quantità di hashish, permette di ravvisare l'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, co. 5.[13]

Si può, pertanto, sostenere che il decorso del tempo e le modifiche normative non hanno inciso minimamente sulla trama paradigmatica che tuttora sorregge l’istituto e

Due, pertanto, appaiono i punti focali legittimanti l’applicazione del reato di lieve entità in parola.

Da un lato, emerge l’operatività di una valutazione soggettiva (seppur connotata di profili di oggettività) riguardante la effettiva offensività della condotta.

Con il termine offensività, quindi, la giurisprudenza individua l’idoneità e l’attitudine del comportamento in questione a porre in pericolo concretamente ed in modo rilevante la pax socialis, cioè la capacità dell’azione di provocare una diminuzione delle forme di tutela del vivere sociale.

Il giudizio concernente l’offensività può essere conseguenza sia del dato ponderale, che degli ulteriori paradigmi sanciti dal legislatore, ma non può derivare – come più volte evidenziato – da una disamina parziale circoscritta ad un singolo elemento.

Dall’altro, si sancisce il principio che, ove anche venga superato o vanificato uno solo dei plurimi archetipi normativamente previsti, la presenza dei tutti gli altri diviene ininfluente.

Vale a dire che passaggio indefettibile, sul piano delibativo, è quello del confronto fra tutti gli elementi fattuali emersi (e riconnessi alle categorie previste dalla norma), e del loro bilanciamento.

Va notato che, in origine, la norma in esame ha funto da valvola di sfogo.

All’interno di essa, infatti, venivano convogliate anche quelle condotte di carattere meramente detentivo ed esorbitanti il parametro legislativo della d.m.g., purché rientranti in un ambito di modesta offensività.[14]

La soluzione adottata, seppur nella sua continuità ermeneutica tra l’epoca anteriore alla L. 10/2014 (ove il comma 5 era circostanza attenuante ad effetto speciale) e quella successiva attuale, appare, però, espressione di un compromesso fra le varie spinte legislative sottendenti il T.U. sugli stupefacenti.

L’art. 73/5°, a seguito della sentenza 28/93 della Consulta (ammissiva il referendum) e del DPR 171/93, che sancì l’abrogazione delle norme investite dalla consultazione referendaria, ha assunto una funzione del tutto diversa e nuova rispetto alle sue origini.

Il suo ambito di applicabilità si rivolge, in principalità, a tutte quelle condotte postulanti cessioni o trasferimenti di sostanza stupefacente in quantità minima o modica (sia onerosi, che gratuiti) ed, a livello di complementarietà, solo a quei contegni detentivi in ordine ai quali l’accusa possa assumere prova positiva del fatto della destinazione in favore di terzi della droga.

Non si dimentichi, infatti, che  l’ampliamento dello spettro di non punibilità del possesso per uso personale anche ad ipotesi concernenti quantitativi non modesti o modici, ha, di fatto, depotenziato. la lieve entità, sottraendo all’operatività della stessa un congruo segmento di situazioni oggetto di valutazione penale e riducendo la sua efficacia a profili residuali.

Appare, comunque, paradigma incontroverso quello della rilevanza, ai fini dell’applicabilità dell’istituto in esame, della trascurabile o minima offensività del fatto.

In proposito Cass. Sez. IV, 03-11-2016, n. 48850 (rv. 268218) ha rimarcato che va posta attenzione alle peculiarità del caso concreto, onde inferire se esse siano indicative di una complessiva minore portata dell'attività svolta dallo spacciatore, quale espressione di una circoscritta e limitatissima pericolosità della condotta.

E’ rimasto inalterato l’indirizzo per cui, ai fini della sussumibilità o dell’esclusione del fatto nel concetto di lieve entità, il giudice deve valutare tutti gli elementi concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell'ipotesi di reato attenuata quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità”.[15]

Il ricordato concetto esprime la sintesi conclusiva di una valutazione più completa che deve abbracciare l'oggetto materiale del reato, le caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza, la condotta, riferibile ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della stessa.

Più variegate sono risultate, invece, le ragioni in base alle quali, di volta in volta, possa essere ammesso il riconoscimento del reato lieve o la derubricazione di un’originaria accusa, formulata ai sensi o del comma 1 o del comma 4[16].

La non incompatibilità della fattispecie di lieve entità con lo svolgimento di attività di spaccio non occasionale ma addirittura continuativa è stato affermato da. App. Roma Sez. II, 05-09-2016, sul presupposto di un richiamo all'art. 74, comma 6, dpr  309/90, “…che è norma che riferendosi ad un'associazione costituita per commettere fatti descritti dall'art. 73, comma 5, rende evidente che è ammissibile configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo.

Tanto meno può essere aprioristicamente esclusa la ricorrenza del fatto lieve, in presenza di un dato ponderale in sé, compatibile tanto con le previsioni di cui ai commi 1 e 4 dell'art. 73 quanto con quella autonoma di cui al comma 5[17].

L’argomento relativo alla quantità (ed eventuale qualità) della sostanza si è recentemente arricchito di un nuovo contributo.

La Sez. VI della S.C. con la sent., 25/11/2022, n. 45061 (rv. 284149-01) relativamente alla disamina del dato ponderale, ha ritenuto prospettabile l’utilizzo dell’esame statistico derivante da un’elaborazione della giurisprudenza maggioritaria.

La Corte ha considerato un cospicuo ed elevato numero di sentenze di legittimità, per inferire da esse – una volta rilevati i tetti massimi adottati per il riconoscimento del reato di lieve entità - una media ponderale relativamente a tutte le sostanze[18].

Ovviamente, è opinione comune, questa indicazione non mira a rivoluzionare i criteri tuttora invalsi, quanto piuttosto ad introdurre un supporto di esperienza tecnico-giuridico-scientifica, che si abbini a tutti i restanti criteri, senza modificare il rapporto di valenza fra gli stessi.

Questo approdo ha sollevato qualche perplessità se è vero che  la Sez. III con la  sent., 27/03/2023, n. 12551 (rv. 284319-01) ha polemicamente sottolineato che “...la qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può effettuarsi in base al solo dato quantitativo, risultante dalla ricognizione statistica su un campione di sentenze che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che, per l'accertamento della stessa, è necessario fare riferimento all'apprezzamento complessivo degli indici richiamati dalla norma”.

In realtà, al di là delle schermaglie dialettiche fra le diverse sezioni della S.C. ,  ogni allarmismo in ordine ad una sostanziale modifica dei canoni interpretativi, sin qui esposti e riaffermati, appare del tutto fuori luogo.

Il principio formulato dai giudici di rito, invero, si sintetizza nel senso di precisare che “…ai fini della valutazione della sussistenza del "fatto lieve", da effettuarsi con riguardo alla fattispecie complessivamente considerata, quanto al dato ponderale il giudice può tener conto del fatto che lo stesso sia stato ritenuto, dalla giurisprudenza maggioritaria risultante dalla ricognizione statistica su un campione significativo di sentenze, compatibile con l'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”[19].

La locuzione “il giudice può tener conto” è, dunque, sintomatica e significativa dell’intenzione della Corte di rito, che si indirizza in termini di possibilità e non già di obbligatorietà.

Va ribadito – come già affermato - che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il criterio ponderale, che in epoca pregressa, costituiva il cardine per l'invocabilità della attenuante in parola, pur mantenendo una propria intrinseca importanza è stato posto sul medesimo piano di tutti gli canoni20.

La formale equiparazione – sul piano probatorio - di tutti i canoni valutativi contenuti nel disposto del co. V, ha portato a ritenere che, ai fini del riconoscimento o del diniego della circostanza attenuante in questione, il giudice possa escludere la concedibilità della stessa quando anche uno solo degli elementi concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), od attinenti all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), possa portare ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità[20]

La necessità di una valutazione di tutti gli elementi indicati dalla norma, ha indotto, in altra occasione la Corte Suprema di confermare la decisione del giudice di merito che aveva escluso la concedibilità dell'attenuante sul rilievo della gravità della condotta incriminata, trattandosi di detenzione per la vendita di sostanze diverse per tipologia - nella specie, cocaina, eroina e morfina - tale da dimostrare "che l'attività di spaccio era diretta ad un cospicuo e variegato numero di consumatori".

Di avviso contrario recentemente, Cass. Sez. VI, 21/03/2023, n. 11896, che sostenuto che  “...In tema di spaccio di stupefacenti, il fatto di lieve entità non è in astratto incompatibile con o svolgimento di attività di spaccio non occasionale e continuativa.”[21]

Piuttosto controversa è stata nel tempo l’interpretazione della locuzione ”circostanze dell’azione” e l’interesse sia di dottrina, che di giurisprudenza si è incentrato sulla effettiva portata della nozione.

La Corte Costituzionale (sentenza 11 Luglio 1991 n. 333) inserì nel contesto della previsione delle circostanze dell’azione, sia le circostanze soggettive strettamente legate all’autore, che quelle propriamente definite finalistiche connesse alla condotta vera e propria.

Successivamente al primo ricordato intervento, il giudice delle leggi, (sentenza 27 Marzo 1992, n. 133), partendo da un chiaro riferimento esegetico al contenuto della relazione dei lavori parlamentari relativi al T.U. 309/90 e dalla quale emergeva l’intervenuta modifica dell’originario testo (che recitava “circostanze inerenti alla personalità del colpevole”) con quello poi approvato (che recita “circostanze dell’azione”), giungeva ad affermare che la modifica, così operata, rispondeva ad una precisa volontà di ampliare la rilevanza delle circostanze, onde finire per comprendervi sia quelle soggettive, che quelle oggettive.

Quest’ultima interpretazione permise, di dare vita ad una nozione di “circostanze”, più fedele alla spirito cui fa riferimento il T.U, in materia di stupefacenti.

Secondo PETRELLA [22], la terminologia in esame, quindi, non si riferisce tanto alla cd. “nozione istituzionale” contenuta nel codice penale, quanto, piuttosto ad elementi caratterizzanti il caso specifico, ricomprendenti, quindi, anche anche peculiarità personali dell’agente, nonché finalità della condotta tenuta.

Si è, inoltre, sostenuto che risulta corretto l’apprezzamento negativo rispetto all'applicabilità dell'attenuante, nonostante l'«incensuratezza» dell'imputato, laddove appaia rilevante il ruolo da questi rivestito nel traffico illecito di droga, le quantità di volta in volta trattate e l'abitualità dei comportamenti criminosi.

Parimenti la condizione personale del soggetto inquisito pare avere assunto una valenza probatoria se non proprio  positiva, quanto meno non ostile o negativa.

E’ stato, infatti, argomentato - da un lato - che, ai fini dell'applicazione dell'attenuante del fatto di lieve entità (art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 3009 del 1990), lo stato di tossicodipendente può rilevare solo se si accerti che lo spaccio non ha dimensioni ragguardevoli, sì da fare apparire verosimile che l'imputato ne destini i proventi all'acquisto di droga per uso personale. [Cassazione Sez. V Sent., 3 aprile 2009, n. 25883 (rv. 243895), B.G., CED Cassazione, 2009; conf. Cassazione Sez. IV, 24 Febbraio 2005, n. 20556 (rv. 231352)].

Argomento ripreso recentemente in una pronunzia dalla Sez. III Sent., 14/06/2022, n. 23082 (rv. 283235-01), che pur riconoscendo la validità probatoria del dato soggettivo ha stabilito che “...è onere dell'imputato dimostrare la propria condizione di tossicodipendenza ai fini della qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, gravando sulla parte che intende avvalersene la prova dei fatti estintivi o modificativi della pretesa esercitata con l'azione penale2.

Da altro canto, poi, si è sostenuto che l'istituto in esame può trovare reale applicazione anche nell'ipotesi in cui il soggetto agente abbia già precedenti in ordine alla detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti tanto da ritenersi che è da tale attività illecita che il medesimo trae il proprio sostentamento economico, se tuttavia il quantitativo di sostanza stupefacente sequestrato è modico e non ingente[23].

I rapporti con l'art. 131 bis Cp

La recente introduzione dell’art. 131 bis c.p. ha suscitato la necessità di valutare la compatibilità di tale istituto con quello oggetto della presente trattazione.

Si è, così, osservato che la fattispecie di lieve entità di cui al co. 5 dell'art. 73, dpr 309/90 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. sono fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre ai fini della concedibilità della prima il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità devono essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l'entità del danno o del pericolo ed altresì il carattere non abituale della condotta[24].

Su questo abbrivio, il giudice di legittimità ha escluso la contraddittorietà della sentenza impugnata che aveva giudicato il fatto di lieve entità, negando la ricorrenza della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. .

Ciò, peraltro, non significa affatto che i due istituti non possano non risultare compatibili, anzi, si ritiene che la configurazione del co. 5 - in ipotesi concrete di fatto - costituisca un presupposto necessario per accedere, poi, all’applicazione dell’art. 131 bis c.p., in quanto esso dovrebbe avere funzione di esaltare all’interno del concetto di lievità , quello ulteriore e progressivo di tenuità del fatto.

Questa considerazione non deve essere, quindi, interpretata, come, peraltro,  correttamente sostiene Bologna[25], quale prova dell’esistenza di “una relazione di necessaria derivazione” della tenuità del fatto dalla lieve entità del fatto

La differenza caratteriologica fra i due istituti, anzi, rafforza la loro teorica compatibilità,

Per Cass. Sez. I, 01/03/2022, n. 7141, L.C.M. e altri “... la fattispecie di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. sono fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre ai fini della concedibilità della prima il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione nonchè la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità devono invece essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile, l'entità del danno o del pericolo, nonchè il carattere non abituale della condotta.”[26]

Dunque, l’effettiva configurabilità della clausola di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. presuppone la sussistenza di un livello di offensività della condotta, che, ancorchè minimo, sia, comunque e certamente, rilevabile ed effettivo.

Appare evidente e pacifico la valutazione di particolare tenuità, operando su un terreno già ex sé riconducibile alla lieve entità del fatto, sia ravvisabile in situazioni  o condotte border line in cui – come detto – l’offensività sia quasi trascurabili ed in relazioni alle quali l’ordinamento non avverta l’impellente necessità di provvedere all’inflizione di sanzioni.

Vi sono, peraltro, situazioni che possono risultare ostative all’applicazione dell’istituto in questione .

La Sez. III  della corte di Cassazione con la sent., 27/01/2021, n. 3242 (rv. 280691-01) ha giudicato – correttamente – non compatibile con un fatto di lieve entità, peraltro, aggravato ai sensi dell’art. 80, comma 1, lett. a), dpr 309/90 (cessione a minore) la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis c.p. .

Nella specie la lieve entità del fatto non è, infatti, degradata a particolare tenuità, rendendo talmente minima l’offensività della condotta, da considerarla irrilevante ai fini sanzionatori,

I supremi giudici hanno affermato che ...il  riconoscimento dell'aggravante di cui all'art. 80, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, ancorché sia contestata l'ipotesi di lieve entità, non consente l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in quanto tale circostanza, essendo ad effetto speciale, comporta il superamento del limite di cinque anni di pena detentiva agli effetti dell'art. 131-bis, commi 1 e 4, cod. pen., elevando a sei anni di reclusione, in esito all'aumento massimo della metà da computare, il massimo edittale di quattro anni previsto per il delitto di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. citato”[27].

L’applicazione della scriminante è stata riconosciuta anche in relazione alla condotta coltivativa.

Il Tribunale Cagliari con sent. 28/02/2019 ha affermato, infatti, che “In materia di coltivazione di piante dalle quali siano ricavabili sostanze droganti, le modeste dimensioni della coltivazione ed il mancato rinvenimento di materiale attestante una attività di spaccio, consentono di inferire che la produzione, se non destinata ad un uso esclusivamente personale, sia destinata ad essere condivisa da un numero limitato di persone, presumibilmente non a scopo di lucro e consentono, altresì, di ritenere sussistente il fatto di particolare tenuità di cui all'art. 131 bis c.p.”, ponendosi in scia alla S.C. di Cassazione .

La Sez. IV in data 16/01/2019, n. 1766 (rv. 275071-01) ha sancito il principio che ..Il reato di coltivazione di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti e psicotrope non è di per sé incompatibile con la causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., dovendo aversi riguardo invece alle caratteristiche specifiche della condotta posta in essere dimostrative della assenza di ripetuti comportamenti protratti nel tempo”[28].

E quelli con l'art. 62 n. 4 C.p.

La dottrina e la giurisprudenza hanno sancito la compatibilità fra la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p29. e la lieve entità.

Ad avviso di Sez. Unite, sent. n. 24990 del 30 gennaio 2020, la circostanza attenuante in parola ,risulterebbe compatibile con la fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall'art. 73, comma 5, d. P.R. n. 309/1990, stante la differente natura giuridica delle due fattispecie (una è circostanza mentre l’altra titolo autonomo di reato) e la non piena coincidenza dei loro elementi costituivi, perché l'attenuante ex art. 62 n. 4 c.p. richiede, rispetto al "fatto lieve", un elemento specializzante costituito dall'avere l'agente perseguito o conseguito un lucro di speciale tenuità.

Si tratta di una soluzione – adottata a fronte di contrasti interpretativi – che si pone in linea con l'orientamento espresso da Cass. pen. n. 19764/2019 che ha sostenuto che “La circostanza attenuante comune del lucro di speciale di cui all'art. 62, n. 4, c.p. é applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, compresi i delitti in materia di stupefacenti, ed é compatibile con la fattispecie dello spaccio di lieve entità prevista dall'art. 73, 5º comma, D.P.R. n. 309/1990 in quanto si tratta di due fattispecie focalizzate su elementi tra loro ontologicamente distinti”.

Per meglio comprendere la portata risolutoria della decisione delle SSUU, si devono affrontare i termini del contrasto giurisprudenziale concernente sia la effettiva (in)compatibilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. rispetto alla struttura sanzionatoria al dpr 09/90, sia, di conseguenza, la concreta coesistenza applicativa della stessa in relazione alle condotte di cui al co. 5 dell’art. 73..

Il rilievo che non sia ravvisabile alcun motivo ostativo riguardo la compatibilità tra i reati in tema di sostanze stupefacenti e la circostanza attenuante sui motivi di lucro è apparso dirimente.

E’ stata, così, accordata preferenza all’orientamento, che, valorizzando la differenza ontologico-giuridica degli elementi costitutivi i due istituti sosteneva la loro compatibilità.

E’ stata, così, disattesa quella tesi per cui i reati in materia di stupefacenti,  in quanto posti a tutela della salute pubblica, bene costituzionalmente tutelato, non potevano prestarsi ad una valutazione economica, idonea a legittimare – in specifici casi -  l’applicabilità della circostanza attenuante in questione, la quale veniva ritenuta pertinente ai soli delitti contro il patrimonio.

Questo indirizzo, ometteva di considerare che il reato di cui al co. 5 dell’art. 73 non costituisce un’ipotesi residuale o in concreto disapplicata, ma anzi, ha assunto via via un ruolo esegetico assai importante.

Appare evidente che, risolto questo tema nel senso prospettato, è seguita naturalmente la soluzione dell’applicabilità della circostanza ex art. 62 n. 4 c.p. all’ipotesi di condotte di lieve entità in materia di stupefacenti.

La tesi, cui ha ritenuto di aderire la S.C. fa leva sulla dizione testuale della norma prevista dal co. 5, in sé già identificativa in modo esplicito una situazione di lieve entità, nonché, ulteriormente, sull’argomento rafforzativo, sul piano interpretativo, di tale tesi, offerto dal testo dell’art. 131 bis c.p..

Questa disposizione, fornendo un elenco di reati che non possono venire ricondotti alla nozione di particolare tenuità, non ricomprende – ovviamente – il co. 5 dell’art. 73.

Ravvisata, poi, come detto la specifica diversità fra le due fattispecie in confronto, veniva negata la asserita sovrapponibilità delle due norme, ed una presunta  inammissibile duplicazione di benefici quoad poenam, concedibili sulla scorta della valutazione degli stessi elementi.

In concreto è emerso che la fattispecie attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p. differisce dal reato di lieve entità, in quanto il fine del lucro (lieve) è una natura distinta conseguenza, siccome appare verosimile e possibile un’ipotesi di condotte illecite lievi, propedeutiche al conseguimento di un lucro conseguito che non sia di speciale tenuità.

Ulteriore supporto di carattere decisivo si rinviene nella Relazione illustrativa del disegno di legge concernente la L n. 19/1990, sotto il titolo “Modifiche in tema di circostanze attenuanti, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti”.

L’intenzione del legislatore era certamente quella di modificare sia l’art. 62, n. 4 c.p., che in parallelo l’art. 61, n. 7 c.p., il quale prevedeva l’applicabilità dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità non solo ai reati contro il patrimonio, ma anche a quelli determinati da motivi di lucro.

Ad avviso di Zanerolli, “...la Corte ha sostenuto, pertanto l’impossibilità di operare un’astratta distinzione tra i reati, in virtù del bene giuridico protetto, senza analizzare case by base le specifiche caratteristiche del singolo caso concreto”.

Ed ancora l’Autrice precisa che “In ordine all’aspetto dell’esistenza di reati di lieve entità in materia di stupefacenti, la Corte riprende l’assunto sostenuto dall’indirizzo favorevole, ossia la sussistenza di un’autonoma fattispecie di reato di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, D.P.R. n. 309/1990, confermata dall’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., in presenza dei presupposti richiesti dalla norma. L’applicazione di tale secondo istituto prescinde da ogni catalogazione in ordine al bene giuridico tutelato, richiedendo solo una specifica pena edittale ed il requisito della non abitualità del comportamento. Rendendo applicabile tale disposizione ai reati in materia di stupefacenti, emerge chiaramente l’intento del legislatore di ravvisare anche in quella determinata materia delle fattispecie di particolare tenuità.”

 

[1]Cfr. Sez. IV Sent., 29 Settembre 2005, n. 38879 (rv. 232429), Williams F. CED Cassazione, 2005

[2]V. ad es. sia la L. 2.10.1967 n. 895 all’art. 5, la L. 18.4.1975 n. 110 all’art. 4, l’art. 648 c.p. anche se nel caso concreto si usa l’espressione “fatto di particolare tenuità”.

[3]La Corte annullò con rinvio la sentenza che aveva riconosciuto l'ipotesi lieve in riferimento alla detenzione di droga "pesante", custodita unitamente a rilevanti quantità di droghe leggere, Conf. Cass. Sez. IV Sent., 08/07/2016, n. 28561 (rv. 267438)

[4] Cfr. S. Bologna Le circostanze speciali contenute negli artt. 73 e 80 T.U. Stup. In La disciplina dei reati in materia di stupefacenti, pg. 92 cit.

[5] Si tratta di una competenza che si fonda su canoni di carattere misto. La prima norma (33 ter c.p.p.) devolve tutta la gamma dei delitti previsti dall’art. 73 t.u. degli stupefacenti – se non aggravati dall’art. 80 – al tribunale in composizione monocratica; la seconda (550 c.p.p.) al co. 1, stabilisce , a propria volta, la citazione diretta a giudizio per i delitti puniti con una pena non superiore nel massimo a 4 anni.

[6]Cfr. Cass. pen. Sez. III, 28-09-2011, n. 444 (rv. 251872)

[7]Sempre in relazione alla concorrenza della allora circostanza attenuante delle lieve entità con la recidiva, osservava Sez. IV, 12-01-2012, n. 3557 (rv. 252671) che in siffatta occasione, si sarebbe dovuto applicare obbligatoriamente il giudizio di comparazione previsto dall'art. 69, comma quarto, cod. pen., con la ulteriore conseguenza che, in caso di ritenuta equivalenza, la pena è determinata senza tener conto delle circostanze di segno opposto, mentre non si applica la disposizione dell'art. 63, comma terzo, cod. pen., che riguarda il concorso di circostanze omogenee”.

      Conf. App. Napoli Sez. II, 08-05-2012, Ca.Vi. “...la lieve entità essendo una circostanza attenuante deve essere, in quanto tale, sottoposta al giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti e, quindi, anche con la recidiva.

[8]Cfr. ex plurimis Cass. Sez. III, 29-05-2014, n. 28548

[9]Cfr. Cass. Sez. IV, 03-10-2014, n. 47280 (rv. 260670) Sez. IV, 16-10-2014, n. 47750 (rv. 260671) Sez. IV, 11-11-2014, n. 47296 (rv. 260674)]

[10]Cass. pen. Sez. VI, 24-1-2014, n. 6142 (rv. 259351)

[11]Diritto degli stupefacenti pg. 177 cit.

[12]S. Bologna Le circostanze speciali contenute negli artt. 73 e 80 T.U. Stup. pg. 96 cit.

[13]Tribunale Udine Sent., 15/03/2021 per il quale la tipologia e il quantitativo dello stupefacente ceduto, avente minori effetti droganti e comportante minori danni alla salute rispetto ad altre sostanze e le modalità complessive del fatto, giustificano un apprezzamento del reato in termini di minore offensività per la salute pubblica e per l'ordine pubblico.

[14]Un esempio delle posizioni assunte dalla giurisprudenza di merito, si rinviene nella sentenza del Trib. Campobasso, 16-11-2016, ove si afferma che la modesta attività di cessione occasionale di sostanze stupefacenti, svolta senza sistematicità e priva di strutture organizzative, unitamente alle circostanze dell'azione, caratterizzata dalla cessione dietro eseguo corrispettivo di irrisori quantitativi di sostanze cannabinoidi ad amici del cedente ed i relativi quantitativi minimi che, tuttavia, non possono ritenersi privi di idonea efficacia drogante, costituiscono elementi utili ai fini della qualificazione come di lieve entità, ex art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 (T.U. stupefacenti), della condotta di detenzione di stupefacenti ai fini della cessione.

[15]Cfr. ex plurimis Trib. Larino, 04-11-2016)

[16]Così l'ipotesi in parola, ad avviso di Cass. Sez. VI, 20-10-2016, n. 46627, B.S. e altri in Dir. Pen. e Processo, 2017, 1, 21, non può essere legittimamente esclusa in ragione della reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di cessione della droga, prescindendo in tal modo da una valutazione di tutti i parametri dettati in proposito dall'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 ( conf. App. Roma Sez. I, 13-09-2016).

[17]   Cass. Sez. VI, 28-09-2016, n. 45694 (rv. 268293)

[18]La Suprema Corte si riferisce ad una studio predisposto dall'Ufficio per il Processo presso la Sesta sezione penale che esamina 398 decisioni della Corte in materia di spaccio di lieve entità, emesse nel triennio 2020-2022.

      Sulla base di tale verifica è risultato che il limite massimo entro il quale è stato riconosciuta la lieve entità del fatto è risultato essere:

  • 150 g per la cocaina;
  • 107,71 g per l'eroina;
  • 246 g per la marijuana;
  • 386,93 g per l'hashish

Tale dato è stato ulteriormente elaborato, al fine di individuare i quantitativi per i quali vi è maggiore interferenza tra sentenze che riconoscono e negano il comma 5, risultando che, per i seguenti quantitativi, vi è una prevalenza di sentenze che ritengono il fatto lieve:

  • 23,66 g per la cocaina;
  • 28,4 g per l'eroina;
  • 108,3 g per la marijuana;
  • 101,5 g per l'hashish.

Leggi qui il testo dell'ordinanza su Mister Lex.

[19]Nella fattispecie la Corte ha ritenuto il quantitativo di circa 100 gr. di hashish, caduto in   sequestro, rientrante nel valore-soglia che, per tale tipologia di sostanza, delimita l'ambito del fatto lieve secondo le risultanze di detta ricognizione statistica).

[20]  Corte Appello di Catanzaro Sez. II, 9 novembre 2009, G.P. e altri

[21]  Quotidiano Giuridico, 2023

[22] In L’attenuante della lieve entità del fatto. Art. 73,5° comma, in INSOLERA Giur. Sistematica di Diritto Penale, UTET, 1994, pg. 244

[23]  Cfr. Tribunale di Bari Sez. II, 28 settembre 2010

[24]  Cass. Sez. IV, 15-07-2016, n. 48758 (rv. 26825

[25]S. Bologna Le circostanze speciali contenute negli artt. 73 e 80 T.U. Stup. pg. 103 cit.

[26]Conf. Cass.  Sez. IV, 10/08/2021, n. 31427. A.D. Quotidiano Giuridico, 2021, Dir. Pen. e Processo, 2021, 11, 1486 e tra i giudici di merito si veda Corte d'Appello Palermo Sez. IV Sent., 11/12/2020 e Tribunale Frosinone Sent., 25/02/2020

[27] CED Cassazione, 2021, Studium juris, 2021, 9, 1118

[28]In motivazione la Corte ha individuato esemplificativamente una tale assenza nel caso in cui la coltivazione si esaurisca nella germogliazione di un seme.

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