Il giudice di pace rientra nella nozione autonoma ed unitaria di lavoratore propria del diritto dell’Unione, svolgendo funzioni giurisdizionali in parte comparabili con quelle svolte dal giudice ordinario quantomeno al fine del riconoscimento di una tutela assistenziale e previdenziale e al diritto irrinunciabile alle ferie.
Lo ha stabilito il Tar per l'Emilia Romagna, Sezione di Bologna, con la sentenza n. 304 depositata il 17 maggio 2023, alla luce della sentenza della Corte di giustizia UE 7 aprile 2022 (C-236/2020) di risposta al rinvio pregiudiziale disposto dagli stessi giudici amministrativi.
In seguito a questa decisione, il ministero della Giustizia è stato condannato a ripristinare lo status giuridico, economico, previdenziale e assistenziale del giudice di pace per l'intero periodo durante il quale ha svolto tali funzioni. Il Ministero dovrà inoltre pagare le differenze retributive e previdenziali non versate, oltre agli interessi, ed è tenuto al risarcimento dei danni causati dall'illegittima estensione del termine di incarico.
Il Tar ha precisato che non esistono "ragioni obiettive", secondo la clausola 4 punto 1 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che possano giustificare una disparità di trattamento tra il giudice di pace e i giudici ordinari. Tale disparità avrebbe privato il giudice di pace di ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale e del diritto alle ferie, relegandolo al rango di lavoratore in senso puramente formale e privandolo di qualsiasi forma di tutela tipica del rapporto di lavoro subordinato. Questa interpretazione avrebbe anche annullato l'efficacia delle direttive eurounitarie emanate in materia (direttive n. 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato (clausole 2 e 4), n. 1997/81/CE sul lavoro a tempo parziale (clausola 4), n. 2003/88/CE sull’orario di lavoro (art. 7), n. 2000/78/CE (art. 1, 2 comma 2 lett. a) sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro).
Pubblicato il 17/05/2023
N. 00304/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00116/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 116 del 2017, proposto da
Maria Grazia Rinaldi, rappresentata e difesa dagli avvocati Egidio Lizza, Luigi Serino e Giovanni Romano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Giustizia, CSM - Consiglio Superiore della Magistratura, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria ex lege, via A. Testoni 6;
nei confronti
Istituto Nazionale Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Oreste Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Maria Flora Di Giovanni, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Giubboni, Giorgio Fontana, Gabriella Guida e Vincenzo De Michele, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Unione Nazionale Giudici di Pace Unagipa, Roberta Tesei, Associazione Nazionale Giudici di Pace A.N.G.D.P., rappresentati e difesi dagli avvocati Gabriella Guida, Vincenzo De Michele, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Angela Ressa, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Nascimbene, Francesco Rossi Dal Pozzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Oreste De Angelis, rappresentato e difeso dagli avvocati Egidio Lizza, Luigi Serino, Giovanni Romano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Associazione Got Non Possiamo Più Tacere, rappresentato e difeso dagli avvocati Sergio Galleano, Sebastiano Bruno Caruso, Antonio Lo Faro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Unione Nazionale Italiana Magistrati Onorari - U.N.I.M.O., rappresentata e difesa dall'avvocato Giancarlo Piredda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, via Francesco Cocco Ortu, 75;
per l'accertamento
del diritto della ricorrente, quale giudice di pace, previa eventuale rimessione della questione di costituzionalità o di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea ovvero previa disapplicazione diretta delle norme interne ritenute incompatibili, alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo pieno o part-time con il Ministero della Giustizia e la conseguente condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate, oltre oneri previdenziali e assistenziali;
o in via subordinata per la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente a causa dell’assenza di qualsivoglia tutela assistenziale e previdenziale in favore dei giudici di pace derivanti da fatto illecito del legislatore.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, del CSM - Consiglio Superiore della Magistratura, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- L’odierna ricorrente ha svolto ininterrottamente dal 3 luglio 2002 al 31 maggio 2016 la funzione di giudice di pace, da ultimo presso la sede di Imola, ed ha cessato il servizio il 31 luglio 2019 per raggiunto limite di età (68 anni).
Ha promosso innanzi l’adito Tribunale Amministrativo azione di accertamento del diritto, quale giudice di pace - previa eventuale rimessione della questione di costituzionalità o di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea ovvero previa disapplicazione diretta delle norme interne ritenute incompatibili - alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo pieno o part-time con il Ministero della Giustizia in ragione della parità sostanziale di funzioni con i magistrati c.d. togati o, in subordine, comunque al conseguimento dello status di pubblico dipendente a tempo pieno o part time, con la conseguente condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate, oltre oneri previdenziali e assistenziali.
In via ulteriormente subordinata ha chiesto la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa dell’assenza di qualsivoglia tutela assistenziale e previdenziale in favore dei giudici di pace derivanti da fatto illecito del legislatore, oltre che per l’abusiva reiterazione dei rapporti a termine ex art. 36 c. 5 d.lgs. 165/2001.
Ha premesso la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133 c. 1, lett. i) c.p.a., in ragione del regime di diritto pubblico caratterizzante il rapporto di lavoro dei magistrati di cui la ricorrente chiede in via principale l’assimilazione, nonché la competenza territoriale del Tribunale Amministrativo per l’Emilia Romagna in ragione del criterio della sede di servizio ex art. 13 c.p.a.
A sostegno del ricorso ha evidenziato la sussistenza, a suo dire, degli elementi che depongono per l’equiparazione, quanto alle funzioni concretamente esercitate, al magistrato c.d. togato e/o comunque degli indici sostanziali tipici per il riconoscimento ai sensi dell’art. 2126 c.c. di un rapporto di lavoro pubblico di tipo subordinato (a tempo determinato e parziale) consistenti, in sintesi: a) nello svolgimento della funzione giurisdizionale in materia civile e penale al pari dei magistrati togati, nei limiti delle competenze per materia e valore previste dalla legge; b) nell’effettivo inserimento nell’organizzazione del Ministero della Giustizia quale datore di lavoro e nel ruolo organico; c) nel dovere di osservanza di orario di lavoro predeterminato e del calendario d’udienza; d) nella retribuzione prefissata erogata mensilmente e correlata ad una parte fissa e ad una variabile; e) nel dovere di esclusività (al pari di ogni altro dipendente pubblico) se si eccettua la possibilità di svolgere l’attività forense ove svolta al di fuori del circondario; f) nell’obbligo di osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari (art. 10 c. 1, legge 374/1991) e infine nella sottoposizione, al pari di quest’ultimi, al potere disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.
Ha dedotto pertanto, in sintesi, motivi di gravame così riassumibili:
I)violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, non ponendo l’art. 106 Cost. alcun limite alla piena equiparazione sotto il profilo del trattamento economico, previdenziale e giuridico dei magistrati onorari ai magistrati ordinari.
II) violazione dell’art. 117 c.1, Cost. per espresso contrasto tra la normativa nazionale e l’art. 12 della Carta Sociale Europea ratificata con legge n. 30/1999 (il cui valore si assume equiparabile a quello della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) secondo cui ogni lavoratore ha diritto alla sicurezza sociale, come statuito dal Comitato Europeo dei diritti sociali con la decisione 16 novembre 2016 ANGDP (Associazione Nazionale Giudici di Pace) c. Italia. Violazione della Raccomandazione CM/REC (2010) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, secondo cui il riconoscimento di una retribuzione congrua oltre che di adeguate tutele previdenziali e assistenziali è requisito fondamentale al fine di assicurare l’indipendenza e l’imparzialità del giudice.
III) VIOLAZIONE DELLA CLAUSOLA 2 DELL’ACCORDO QUADRO SUL LAVORO A TEMPO DETERMINATO RECEPITO NELLA DIRETTIVA 1999/70/CE;2.VIOLAZIONE DELLA CLAUSOLA 4, COMMI 1 e 2 DELL’ACCORDO QUADRO SUL LAVORO A TEMPO DETERMINATO RECEPITO NELLA DIRETTIVA 1999/70/CE e DELLA CLAUSOLA 4, COMMI 1 E 2 DELL'ACCORDO QUADRO SUL LAVORO A TEMPO PARZIALE RECEPITO DALLA DIRETTIVA 1997/81/CE;3.VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 7 DELLA DIRETTIVA 2003/88/CE SULL’ORARIO DI LAVORO, IN COMBINATO DISPOSTO DELLA CLAUSOLA 4, PUNTO 1 DELL’ACCORDO QUADRO SUL LAVORO A TEMPO DETERMINATO RECEPITO NELLA DIRETTIVA 1999/70/CE e DELLA CLAUSOLA 4, PUNTO 1 DELL'ACCORDO QUADRO SUL LAVORO A TEMPO PARZIALE RECEPITO DALLA DIRETTIVA 1997/81/CE; 4.VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 1, 2, COMMA 2, LETT. A) e 6 DELLE DIRETTIVA 2000/78/CE CHE STABILISCE UN QUADRO GENERALE PER LA PARITÀ DI TRATTAMENTO IN MATERIA DI OCCUPAZIONE E DI CONDIZIONI DI LAVORO; 5. VIOLAZIONE DELLA CLAUSOLA 5, PUNTO 1, DELL’ACCORDO QUADRO SUL LAVORO A TEMPO DETERMINATO RECEPITO NELLA DIRETTIVA 1999/70/CE: ad avviso della ricorrente, la normativa italiana sarebbe in aperto contrasto con la normativa UE in materia di lavoro con particolare riferimento alle suindicate direttive in tema di lavoro a tempo determinato, a tempo parziale e di antidiscriminazione, essendo irrilevante per la nozione comunitaria di “lavoratore” la qualificazione in termini di onorarietà del servizio. D’altronde la Corte di Giustizia, in riferimento ai giudici onorari inglesi, nel rilevare l’identità sostanziale delle funzioni esercitate rispetto ai giudici di carriera, avrebbe già rilevato l’illegittima disparità di trattamento nell’ordinamento del Regno Unito quantomeno in punto di mancata previsione di qualsiasi forma di tutela previdenziale (sentenza 1 marzo 2012, O’ Brien C-393/10).
Con ordinanza n. 363 del 24 giugno 2020 l’adito Tribunale Amministrativo ha disposto il rinvio ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in relazione ai seguenti quesiti interpretativi:
- “Se gli artt. 20, 21, 31, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, le direttive n. 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato (clausole 2 e 4), n. 1997/81/CE sul lavoro a tempo parziale (clausola 4) n. 2003/88/CE sull’orario di lavoro (art. 7), n. 2000/78/CE (art. 1, 2 comma 2 lett. a) in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, ostino all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana di cui alla legge 374/91 e s.m. e d.lgs. 92/2016 come costantemente interpretata dalla giurisprudenza, secondo cui i giudici di pace, quali giudici onorari, risultano oltre che non assimilati quanto a trattamento economico, assistenziale e previdenziale a quello dei giudici togati, completamente esclusi da ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale garantita al lavoratore subordinato pubblico”.
- “Se i principi comunitari in tema autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale e segnatamente l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ostino all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana secondo cui i giudici di pace, quali giudici onorari, risultano oltre che non assimilati quanto a trattamento economico assistenziale e previdenziale a quello dei giudici togati, completamente esclusi da ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale garantita al lavoratore subordinato pubblico”.
- “Se la clausola 5 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE, osti all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana, secondo cui l’incarico a tempo determinato dei giudici di pace quali giudici onorari, originariamente fissato in 8 anni (quattro più quattro) possa essere sistematicamente prorogato di ulteriori 4 anni senza la previsione, in alternativa alla trasformazione in rapporto a tempo indeterminato, di alcuna sanzione effettiva e dissuasiva”.
In seguito alla suddetta rimessione hanno notificato e depositato atto di intervento “ad adiuvandum” la dott.ssa Ressa Angela in qualità di giudice di pace in servizio a Milano sino al 3 novembre 2018, la dott.ssa Di Giovanni Maria Flora in qualità di giudice di pace in servizio a Chieti e la dott.ssa Tesei Roberta quale giudice di pace a Fermo, quest’ultime anche in rappresentanza, rispettivamente, della Unione Nazionale Giudici di Pace UNAGIPA e della Associazione Nazionale Giudici di Pace A.N.G.d.P. prestando piena adesione alle argomentazioni in diritto prospettate dalla ricorrente.
Con successivo atto ha depositato intervento adesivo anche il dott. Oreste De Angelis quale giudice onorario di Tribunale (GOT) presso la sede di Isernia cessato dal servizio nel 2016.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Giustizia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il CSM sollevando eccezione di incompetenza territoriale dell’adito Tribunale Amministrativo stante la competenza funzionale del TAR per il Lazio di cui all’art. 135 c. 1, lett a) c.p.a. Nel merito hanno evidenziato la sussistenza di “ragioni oggettive” ostative alla richiesta equiparazione dei giudici di pace ai giudici togati. Sarebbe conseguentemente infondato anche il denunziato abuso dei contratti a termine non essendo l’attività svolta dal giudice di pace equiparabile così come le invocate pretese al riconoscimento delle tutele previdenziali ed assistenziali. Ha infine eccepito la prescrizione dei crediti retributivi e contributivi.
Con sentenza non definitiva n. 434 del 29 giugno 2020 - trasmessa alla cancelleria della Corte di Giustizia U.E. - l’adito Tribunale ha dichiarato l’ammissibilità di tutti i sopra descritti atti di intervento adesivo in considerazione dell’inerenza della controversia a fattispecie di giurisdizione esclusiva (art. 133 c. 1, lett. i) c.p.a.) richiamandosi, tra l’altro, all’ art. 28 c. 2 c.p.a. nonché agli artt. 96 e 97 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia in tema di facoltà di partecipazione al giudizio di rinvio pregiudiziale a presidio dell’effettivo contraddittorio (C.G.U.E. 6.10.2015, C-61/14, Orizzonte Salute, EU:C:2015:655, spec. punti 35-37). Ha altresì affermato la propria competenza territoriale rigettando l’eccezione sollevata dalla difesa erariale di competenza funzionale del T.A.R. del Lazio.
Con seconda sentenza interlocutoria n. 644 del 20 ottobre 2020 - anch’essa trasmessa alla cancelleria della Corte di Giustizia U.E. - l’adito Tribunale ha dichiarato l’ammissibilità degli ulteriori interventi adesivi delle associazioni “GOT non possiamo più tacere” ed U.N.I.M.O. esponenziali degli interessi collettivi della categoria dei giudici onorari interamente considerata, sulla scorta delle motivazioni già indicate nella sentenza n. 434/2020.
Con nota del 16 luglio 2020 la Cancelleria della Corte di Giustizia UE ha demandato a questo Tribunale Amministrativo di esprimersi in ordine al mantenimento o meno del rinvio disposto con l’ordinanza n. 363 del 24 giugno 2020, in seguito alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, sezione II, 16 luglio 2020, C-658/18 – U.X. contro il Governo della Repubblica italiana.
Con la sentenza 16 luglio 2020 C-658/18 il giudice comunitario nel decidere una questione pregiudiziale sollevata nel 2018 dal Giudice di pace di Bologna (ordinanza 16 ottobre 2018) tesa alla condanna del Governo italiano al pagamento delle ferie non retribuite, ha statuito - in necessaria sintesi - sullo status lavorativo del giudice di pace, quale magistrato onorario, affermando che esso - oltre ad integrare la nozione di “organo giurisdizionale” ai fini della legittimazione a sollevare rinvio pregiudiziale dinnanzi alla Corte stessa - deve essere inteso, a determinate condizioni, quale “lavoratore” a tempo determinato secondo le rilevanti norme del diritto UE.
Con ordinanza 26 ottobre 2020 n. 653 l’adito Tribunale Amministrativo ha disposto il mantenimento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE disposto con l’ordinanza n. 363 del 24 giugno 2020 ritenuta la rilevanza di un più approfondito esame da parte della Corte di Giustizia in sede pregiudiziale, delle funzioni concretamente esercitate dal giudice di pace nell’ambito dell’ordinamento nazionale, dal momento che la citata sentenza 16 luglio 2020, C-658/18 - pur indubbiamente rilevando nella controversia per cui è causa - non affronta tutti i profili di contrasto del diritto U.E. con la normativa interna evidenziati nell’ordinanza di rimessione.
Con sentenza 7 aprile 2022 (C-236/2020) la Prima Sezione della Corte di Giustizia ha deciso la questione pregiudiziale dichiarando irricevibili la seconda questione ed in parte la prima e fornito indicazioni al giudice del rinvio quanto al terzo quesito.
In prossimità della trattazione nel merito del ricorso le parti hanno depositato ampia documentazione e articolate memorie.
La difesa erariale, con memoria, ha ribadito le già sollevate eccezioni in rito e comunque l’infondatezza della pretesa azionata nel merito avendo la Corte di Giustizia demandato al giudice del rinvio il compito di stabilire se un giudice onorario si trovi o meno in una situazione comparabile a quella di un giudice ordinario alla luce di una serie di elementi, dovendo verificare la sussistenza di ragioni oggettive giustificanti nel rispetto die principi comunitari una differenza nel trattamento delle due categorie professionali.
La dott.ssa Ressa, di contro, ha eccepito l’inammissibilità dell’eccezione di competenza territoriale stante il passaggio in giudicato della sentenza parziale n. 434/2020 con cui l’adito Tribunale ha espressamente affermato la propria competenza. Nel merito ha insistito per l’accoglimento del ricorso alla luce del chiaro principio desumibile dalle due sentenze del giudice comunitario (16 luglio 2020 C-658/2018 e 7 aprile 2022 C-236/2020) circa la natura di lavoratore subordinato del giudice di pace ed evidenziato la pendenza di procedura di infrazione a carico dell’Italia relativa alla riforma attuata con la legge 234 del 2021.
Le associazioni di categoria UNAGIPA e ANGDP hanno chiesto quanto all’entrata in vigore della legge 234/2021, ove ritenuta applicabile, l’accoglimento della domanda della dott.ssa Rinaldi di risarcimento del danno nel limite del tetto massimo di 50.000,00 euro previsto dall’art. 29 d.lgs. 116/2017 con contestuale nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia nei confronti della novella legislativa del 2021 a loro dire in aperto contrasto con le direttive ed i principi comunitari sulla tutela del lavoratore.
La difesa della ricorrente con ampia memoria ha replicato alle eccezioni in rito sollevate dall’Avvocatura dello Stato ed insistito alla luce della sentenza della Corte di Giustizia di risposta alla questione pregiudiziale al fine di chiedere il riconoscimento della natura subordinata a tempo determinato del rapporto svolto dalla ricorrente, equiparabile a quello del giudice ordinario ai fini del riconoscimento del diritto alle ferie, alla tutela assistenziale e previdenziale.
ASSPGOT ha eccepito l’incostituzionalità della riforma del 2021 nell’ipotesi in cui essa fosse ritenuta applicabile alla ricorrente unitamente al contrasto sotto più profili con l’ordinamento europeo.
La dott.ssa Di Giovanni Maria Flora ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Parte ricorrente ha ritualmente effettuato l’integrazione del contraddittorio con l’INPS disposta con ordinanza n. 932/2022, ai sensi dell’art. 49 c.p.a., in relazione alla richiesta condanna dell’Amministrazione intimata al versamento dei contributi previdenziali.
L’INPS costituitosi in giudizio ha eccepito la prescrizione quinquennale ai sensi della legge n. 335/1995 nonché la possibilità di regolarizzazione previdenziale unicamente per i magistrati onorari ricadenti nell’ambito di applicazione della riforma del 2017.
Alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2023, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.-E’ materia del contendere l’accertamento del diritto della dott.ssa Rinaldi quale giudice di pace in servizio sino al 31 luglio 2019, alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo pieno o part-time con il Ministero della Giustizia in ragione della parità sostanziale di funzioni con i magistrati c.d. togati.
In subordine, chiede comunque il conseguimento dello status di pubblico dipendente a tempo pieno (o a tempo determinato) o part time, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2126 c.c. con la conseguente condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate, oltre oneri previdenziali e assistenziali; in via ulteriormente subordinata chiede la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa dell’assenza di qualsivoglia tutela assistenziale e previdenziale in favore dei giudici di pace derivanti da fatto illecito del legislatore, oltre che per l’abusiva reiterazione dei rapporti a termine ex art. 36 c. 5 d.lgs. 165/2001.
Rappresenta la ricorrente la cessazione del proprio rapporto di lavoro al compimento del sessantottesimo anno di età nel luglio 2019 come previsto dall’art. 29 c. 2, d.lgs. 116/2017 nel testo pro tempore in vigore dunque anteriormente alle modifiche introdotte con la legge 234/2021 di riforma della magistratura onoraria.
2.- Come visto nella parte in fatto l’adito Tribunale con ordinanze nn. 363 e 653 del 2020 ha sollevato alla Corte di Giustizia UE ex art. 267 TFUE tre questioni pregiudiziali inerenti la sospettata contrarietà della disciplina normativa interna inerente il trattamento dei giudici di pace con le direttive comunitarie in tema di tutela del lavoratore; la Corte con sentenza 7 aprile 2022 ha come visto deciso la questione pregiudiziale.
3.- Preliminarmente, per quanto non oggetto di eccezioni, va affermata la giurisdizione del g.a.
3.1.- Ai sensi dell’art. 133 c. 1, lett. i) le controversie relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Secondo le Sezioni Unite rientra nella giurisdizione amministrativa, in considerazione della permanenza della giurisdizione esclusiva con riferimento ai rapporti di lavoro dei magistrati togati, la controversia avente ad oggetto la domanda di un vice procuratore onorario volta ad ottenere l'accertamento di un rapporto di impiego di fatto con il Ministero della Giustizia, per lo svolgimento delle stesse funzioni giurisdizionali espletate dai magistrati togati e per l'inserimento nell'organizzazione di un ufficio di Procura (Cassazione civile Sez. un. 16 novembre 2017, n. 27198).
Ciò vale anche per la controversia di specie, essendo il giudice di pace (anticipando le conclusioni di cui si dirà infra) legato ad un rapporto di lavoro subordinato con il Ministero della Giustizia comparabile, anche se solo in parte, a quello di un magistrato togato.
Il presente giudizio attiene infatti pur sempre all’accertamento dell’avvenuta costituzione di un rapporto seppur di fatto ex art. 2216 c.c. di pubblico impiego non privatizzato perché parzialmente assimilabile, per determinate tutele, a quelle di un magistrato ordinario.
4.- Va in “limine litis” dichiarata inammissibile l’eccezione in rito più volte sollevata dalla difesa erariale (per la prima volta con la memoria depositata il 20 giugno 2020) di incompetenza territoriale del Tribunale adito in favore del T.A.R. per il Lazio ai sensi dell’art. 135 c. 1 lett. a) c.p.a., essendo la questione di competenza allo stato coperta dal giudicato.
Con la sentenza parziale n. 434 del 29 giugno 2020, non appellata, l’adito Tribunale nel dichiarare ammissibili gli interventi adesivi ha motivatamente respinto l’eccezione sollevata dal Ministero della Giustizia ed affermato la propria competenza territoriale.
In relazione al contenuto decisorio della suindicata sentenza non può dubitarsi della sua attitudine al giudicato (Consiglio di Stato sez. V, 24 maggio 1988, n. 349; vedi anche Consiglio di Stato Ad. plen., 13 giugno 2012, n.22)
Le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva infatti non possono essere modificate o revocate con la sentenza definitiva, in quanto i singoli punti della prima possono essere sottoposti a riesame solo con le impugnazioni, mentre la non definitività concerne soltanto la non integralità della decisione della controversia, ma non anche la mutabilità, da parte dello stesso giudice, di ciò che è stato già deciso (ex multis Cassazione 16 febbraio 2001, n.2332; Id. 4 marzo 2014, n. 4983; Id. 5 novembre 1977, n. 4720; Corte d’Appello Cagliari sez. II, 21 febbraio 2023, n. 74).
5.- Venendo al merito il ricorso è parzialmente fondato e merita accoglimento.
5.1.- Come visto parte ricorrente postula a fondamento della pretesa azionata diretta all’accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del Ministero della Giustizia in primo luogo la sostanziale equiparazione per funzioni svolte con i magistrati ordinari. In subordine chiede comunque, in sintesi, il riconoscimento della natura di lavoratore subordinato al fine del riconoscimento del diritto alle ferie ed alla tutela assistenziale e previdenziale specie alla luce delle statuizioni contenute nelle sentenze della Corte di Giustizia del 16 luglio 2020 e 7 aprile 2022.
5.2.- Prima di esaminare la richiamata sentenza con cui il giudice comunitario ha fornito risposta ai tre quesiti formulati con l’ordinanza di rinvio giova sinteticamente ripercorrere la disciplina interna sullo status dei giudici di pace.
5.3.- La figura del giudice di pace è stata istituita con la legge 21 novembre 1991 n. 374, la quale aveva individuato nel termine di otto anni (due mandati da quattro anni) la durata massima.
Il giudice di pace è un giudice ordinario (art. 1 dell’ordinamento giudiziario) appartiene all’ordine giudiziario (articolo 1, comma 2, legge n. 374/1991), e“esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile” (articolo 1, comma 1, l. 374/1991), al pari del magistrato di carriera. L’art. 107 comma 3 Cost. sancisce che “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni”.
Attualmente il giudice di pace in ambito civile ha competenze quale giudice di primo grado per materia, senza limiti di valore, per numerose controversie (art. 7 c. 3, R.D. 28 ottobre 1940 n. 1443) oltre che per valore (non superiore a 30.000,00 euro) in riferimento alle cause di cui al comma successivo. Inoltre non trascurabili competenze ha anche in materia penale per i reati indicati dall’art.4 d.lgs.28 agosto 2000 n. 274.
Il giudice di pace è immesso in un ruolo organico ed assegnato agli uffici territoriali secondo piante organiche predeterminate per legge (art. 3, l. 374/1991), al pari del magistrato di carriera, ed è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari” (articolo 10, comma 1, legge n. 374 del 1991).
Il giudice di pace è tenuto all’osservanza dei provvedimenti organizzativi speciali e generali del Consiglio Superiore della Magistratura, su parere del Consiglio Giudiziario (articoli 10, comma 1 e 15, comma 1, lett. e), decreto legislativo n. 25 del 27 gennaio 2006 e successive modifiche), al pari dei magistrati di carriera. E’ inoltre sottoposto, in caso di inosservanza dei suoi doveri deontologici e d’ufficio, al pari dei magistrati di carriera, al potere disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, seppur con modalità diverse, di certo meno garantiste (procedimento amministrativo e non giurisdizionale). Con delibera del 14 settembre 2011 il C.S.M., al fine, ha esteso ai giudici di pace l’applicabilità dell’articolo 1 del decreto legislativo 23 febbraio 2006 n. 109, inerente la responsabilità disciplinare del magistrato di carriera.
Il giudice di pace è tenuto, prima della nomina, al superamento positivo di un tirocinio della durata di 6 mesi, nonché, successivamente, alla formazione obbligatoria continua (dapprima articolo 4-bis e 6, l. 374/1991 ed ora le disposizioni sulla formazione previste dal d.lgs. n. 26/2006). La nomina e l’esercizio della funzione di giudice di pace è incompatibile, in via assoluta, con lo svolgimento di qualsiasi altra attività lavorativa subordinata o parasubordinata, pubblica o privata (articolo 5, comma 1, lettera g), l. 374/1991), nonché con qualsiasi incarico di natura politica (articolo 8, l. 374/1991), non essendo per loro ammessa la facoltà consentita dall’ordinamento giudiziario ai magistrati di carriera di essere provvisoriamente posti fuori ruolo per incarichi dirigenziali extragiudiziari (prevalentemente presso Ministeri ed enti territoriali) o politici (parlamentari, consiglieri ed assessori presso enti territoriali, uffici politici di stretta collaborazione con il Potere Esecutivo, etc..), con la conseguenza che, al di là della facoltà concessa ai giudici di pace di esercitare la professione di avvocato fuori dal circondario di Tribunale di appartenenza, e nei limiti previsti dall’articolo 8, commi 1-bis e 1-ter, l. 374/1991, sussiste un dovere di esclusività del tutto analogo agli altri dipendenti pubblici.
Il trattamento economico previsto per l’esercizio della funzione, secondo quanto disposto dall’art. 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374, consiste nel diritto ad una indennità in misura fissa pari a (soli) 258,23 euro mensili lordi e di una in misura variabile parametrata alle udienze tenute, ai processi assegnati ed agli atti svolti, indennità che non può superare il tetto massimo di 72.000,00 euro lordi annui, dando vita ad un sistema “a cottimo” (Corte Costituzionale, 13 marzo 2014, n.48).
Secondo le stime fornite dalla ricorrente la retribuzione media lorda di un giudice di pace, tra le circa 1.800 unità in servizio, si attesta tuttavia sui 24.000,00 euro.
Fiscalmente il reddito del giudice di pace è assimilato al reddito da lavoro dipendente (articolo 50, comma 1, lett. f) del TUIR – D.p.r. n. 917/1986 -, sub Capo IV, “Redditi di lavoro dipendente”), con applicazione delle stesse trattenute del pubblico impiegato (escluse ovviamente quelle previdenziali, in assenza di tutela).
Con riguardo alla durata dell’incarico con decreto legge n. 115/2005, convertito, con modificazioni, in L. 168/2005, il legislatore ha ampliato l’originario termine di otto anni (quattro più quattro) prevedendo un ulteriore mandato di quattro anni. Successivamente, sino ad oggi, la proroga nell’esercizio delle funzioni è stata continuativamente attuata in base a diverse leggi: d. l. n. 193/2009, art. 15, c. 2, del d.l. n. 212/2011, art. 1, c. 290, l. 147/2013, art. 1, c. 610, e art. 7 l. n. 208/2015, fino ad arrivare alla legge delega n. 57/2016 recante “Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace”.
In ragione della richiamata legge delega dapprima l’art. 1 del d.lgs. n. 92/2016 recante “Disciplina della sezione autonoma dei Consigli giudiziari per i magistrati onorari e disposizioni per la conferma nell'incarico dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio” ha previsto che i giudici di pace, i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere confermati nell'incarico, per un primo mandato di durata quadriennale, se ritenuti idonei secondo quanto disposto dall'articolo 2; successivamente il d.lgs. n. 116/2017 recante “Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57” ha previsto, all’art. 29 che i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere confermati, alla scadenza del primo quadriennio di cui al decreto legislativo 31 maggio 2016, n. 92, o di cui all'articolo 32, comma 8, a domanda e a norma dell'articolo 18, commi da 4 a 14, per ciascuno dei tre successivi quadrienni.
Da ultimo, si rileva che con legge n. 57 del 28 aprile 2016 è stata in definitiva approvata la delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria ed all’art. 1 si è previsto di delegare il Governo ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, con l'osservanza dei principi e dei criteri direttivi di cui all'articolo 2, uno o più decreti legislativi diretti tra l’altro ad individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell'incarico, “senza oneri per la finanza pubblica”, prevedendo l'acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull'indennità (cfr. lett. l) art. 1 legge 57/2016). Il d.lgs. 31 maggio 2016 n. 92 ha stabilito che giudici di pace, i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto possono essere confermati nell'incarico, per un primo mandato di durata quadriennale, se ritenuti idonei secondo quanto disposto dall'articolo 2. L’art. 2 ha dunque disciplinato nuovamente la procedura di conferma ed ha previsto che la stessa si sarebbe dovuta presentare entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge.
Il richiamato d.lgs. 116/2017 prevede, seppur in casi tassativi, la delega da parte del presidente del tribunale ordinario al giudice di pace di funzionei di competenza del tribunale ordinario oltre che la stessa applicazione per la trattazione di procedimenti civili e penali (artt. 10 c. 11, 14).
5.4. - La Commissione europea ha avviato procedura di infrazione (2016/4081) contro l’Italia ritenendo la normativa italiana sul trattamento dei giudici di pace, anche in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 116/2017, non conforme al diritto del lavoro dell’UE come interpretato dalla Corte di Giustizia da ultimo con la sentenza C-658/18 del 16 luglio 2020.
5.5.- Con l’art. 1 c. 629 della legge 234/2021 il legislatore è dunque tornato sulla materia nel tentativo di superare gli esaminati profili di contrasto con il diritto eurounitario.
Per quel che qui rileva i tratti caratteristici della riforma consistono nella previsione per i magistrati onorari che decidano di non partecipare al concorso per la conferma o che per qualsivoglia ragione non io superino, ferma la facoltà di rifiuto, una indennità determinata in misura forfettaria a titolo di ristoro integrale delle perdite subite per la illegittima reiterazione del rapporto onorario. Detta indennità è parametrata alla durata e quantità del servizio prestato (2.500 euro lorde per ciascun anno di servizio nel corso del quale il magistrato sia stato impegnato in udienza per almeno ottanta giornate e a euro 1.500 lorde per ciascun anno di servizio prestato nel corso del quale il magistrato sia stato impegnato in udienza per meno di ottanta giornate. E' previsto comunque un limite complessivo pro capite di 50.000 euro lorde), e la percezione della medesima comporta rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario cessato.
Il comma 6 dell'articolo 29 dispone poi che i magistrati onorari confermati, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione dell'esito della procedura valutativa, possono optare per il regime di esclusività delle funzioni onorarie. In tale ipotesi ad essi è corrisposto un compenso parametrato allo stipendio e alla tredicesima mensilità, spettante alla data del 31 dicembre 2021 al personale amministrativo giudiziario di Area III, posizione economica F3, F2 e F l , in funzione, rispettivamente, del numero di anni di servizio maturati di cui al comma 2, dal CCNL relativo al comparto funzioni centrali, con esclusione degli incrementi previsti per tali voci dai contratti collettivi nazionali di lavoro successivi al triennio 2019-2021.
Il comma 9 dell'articolo 29, infine, prevede che i magistrati onorari che non presentino domanda di partecipazione al concorso per la conferma cessano dal servizio; ciò in ragione della illegittimità di ulteriori proroghe del regime attuale sancito a chiare lettere dalla Commissione europea nella lettera di costituzione in mora.
L'art. 1, comma 631, prevede che ai magistrati onorari confermati che non esercitano l'opzione per il regime di esclusività delle funzioni onorarie si applicano in quanto compatibili le disposizioni in materia previdenziale di cui all'articolo 1, commi 7-ter e 7-quater, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80 (conv. legge n. 113 del 2021).
5.6. - La Commissione UE ha espresso fondati dubbi di non conformità all’ordinamento comunitario in tema di tutela del lavoratore anche nei confronti della suindicata novella del 2021 con atto di messa in mora del 15 luglio 2022.
5.7. - La giurisprudenza italiana in particolare della Cassazione, qualificando il giudice di pace quale giudice “semiprofessionale” (Sez Unite ord. 19 ott. 2011, n. 21582) è costante nell’escludere l’inquadrabilità della figura del giudice di pace nel rapporto di pubblico impiego, oltre che nella stessa parasubordinazione di cui all’art. 409 c.p.c. n. 3
In particolare, è stato osservato che la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte il giudice di pace (cfr. al riguardo, la legge istitutrice 21 novembre 1991, n. 374, art. 1, comma 2, che parla di "magistrato onorario") ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l'impiego pubblico (cfr. per l'enunciazione di tali concetti e come espressione di un indirizzo risalente nel tempo, Cass. sez. Un. nn. 27/1975, 5129/1982, 2033/1985, 363/1992, 1556/1994) e i due rapporti si distinguono (Cass. sez. Unite 11272/1998), in base ai seguenti elementi: 1) la scelta del funzionario, che nell'impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura politico-discrezionale; 2) l'inserimento nell'apparato organizzativo della pubblica amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario; 3) lo svolgimento del rapporto, che nel pubblico impiego è regolato da un apposito statuto, mentre nell'esercizio di funzioni onorarie è privo di una specifica disciplina, quest'ultima potendo essere individuata unicamente nell'atto di conferimento dell'incarico e nella natura di tale incarico; 4) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario e, in senso lato, di ristoro degli oneri sostenuti; 5) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (anche se vi è la possibilità del rinnovo dell'incarico) quanto al funzionario onorario (così Cassazione civile sez. lav., 4 gennaio 2018, n.99; id. 9 settembre 2016 n. 17862; id. 4 novembre 2015 n. 22569; id. 3 maggio 2005, n. 9155).
Anche la giurisprudenza amministrativa è stata compatta nel negare l’equiparazione dei giudici di pace ai giudici ordinari (ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 1 settembre 2021, n. 9484; Consiglio di Stato 18 luglio 2017, n. 3556) invero non affrontando la fondamentale questione della natura subordinata del rapporto di lavoro del giudice di pace alla luce della diversa nozione eurounitaria; di recente la Settima Sezione del Consiglio di Stato in riferimento a causa promossa da giudici onorari (vice procuratori onorari della Repubblica e giudici onorari di Tribunale) ha però sollevato nuova questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia circa l’interpretazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88 e delle clausole 4 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, proprio partendo dall’assunto della non compatibilità europea dell’attuale sistema concernente le condizioni di impiego per la parte relativa all’esclusione da ogni diritto alle ferie retribuite nonché da ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale (Consiglio di Stato sez. VII, ord. 26 gennaio 2023, n. 906).
Quanto ai magistrati c.d. togati (ordinari, amministrativi e contabili) essi sono titolari di un rapporto di lavoro in regime di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, e sono dunque lavoratori dipendenti, seppur muniti di particolare status in ragione delle funzioni giurisdizionali esercitate e delle guarentigie costituzionalmente previste (artt. 101-110 Cost.), tra cui vi rientra anche la previsione di un trattamento economico adeguato (Corte Cost ord. nn. 137 e 146 del 2018) godendo delle tutele previdenziali e assistenziali oltre che, al pari di qualsiasi lavoratore, del diritto alle ferie (art. 36 Cost.)
5.8.- Va dunque “funditus” esaminata la sentenza C.G.U.E. 7 aprile 2022 C-236/2020 con cui il giudice comunitario ha fornito risposta ai tre quesiti oggetto del rinvio pregiudiziale disposto da questo giudice, ritenendo irricevibile la seconda questione nel suo insieme e la prima nella parte in cui verte sull’interpretazione degli articoli 33 e 34 della Carta nonché della direttiva 2000/78, mentre ha affidato al giudice del rinvio il compito di valutare se le misure adottate nel diritto interno siano adeguati per prevenire l’utilizzo abusivo dei contratti a termine e se del caso sanzionare tale abuso (punto 63).
La Corte ha così dichiarato:
“1) L'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura in allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva 98/23/CE del Consiglio, del 7 aprile 1998, nonché la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non prevede, per il giudice di pace, alcun diritto a beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni né di un regime assistenziale e previdenziale che dipende dal rapporto di lavoro, come quello previsto per i magistrati ordinari, se tale giudice di pace rientra nella nozione di «lavoratore a tempo parziale» ai sensi dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale e/o di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e si trova in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario.
2) La clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in forza della quale un rapporto di lavoro a tempo determinato può essere oggetto, al massimo, di tre rinnovi successivi, ciascuno di quattro anni, per una durata totale non superiore a sedici anni, e che non prevede la possibilità di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro.”
Con la sentenza 16 luglio 2020 C-658/18 (richiamata nella suindicata sentenza del 2022) il giudice comunitario nel decidere una questione pregiudiziale sollevata nel 2018 dal Giudice di pace di Bologna (ordinanza 16 ottobre 2018) tesa alla condanna del Governo italiano al pagamento delle ferie non retribuite, ha statuito - in necessaria sintesi - sullo status lavorativo del giudice di pace, quale magistrato onorario, affermando che esso - oltre ad integrare la nozione di “organo giurisdizionale” ai fini della legittimazione a sollevare rinvio pregiudiziale dinnanzi alla Corte stessa - deve essere inteso, a determinate condizioni, quale “lavoratore” a tempo determinato secondo le rilevanti norme del diritto UE. Ha precisato la Corte “l’irrilevanza della qualificazione onoraria delle funzioni esercitate” (punti 99 e 100) così come della natura pubblica o privata del datore di lavoro (punto 115) e che “la nozione di lavoratore ai fini dell’applicazione della direttiva 2003/88 non può essere interpretata in moda da variare a seconda degli ordinamenti nazionali ma ha una portata autonoma propria del diritto dell’Unione” (punto 88).
In tale veste, ha aggiunto la Corte, il giudice di pace ha diritto di fruire delle ferie annuali retribuite in misura non inferiore a quelle di cui beneficiano i magistrati c.d. togati, a meno che la differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (punto 113).
La Corte conclude che “spetta al giudice del rinvio esaminare, in ultima analisi, in qual misura il rapporto che lega i giudici di pace al Ministero della Giustizia sia, di per sé, sostanzialmente differente dal rapporto di lavoro esistente tra un datore di lavoro ed un lavoratore”, non esimendosi, comunque, dal fornire al giudice del rinvio “taluni principi e criteri di cui quest’ultimo dovrà tener conto nell’ambito del suo esame”.
Tuttavia, pur a fronte delle somiglianze tra la posizione del giudice di pace e quella dei magistrati ordinari (risultante da molteplici elementi), emerge che le funzioni di giudice di pace “non hanno gli aspetti di complessità che caratterizzano le controversie devolute ai magistrati ordinari”, trattando essi “cause di minore importanza” ed essendo chiamati a “svolgere soltanto le funzioni attribuite a giudici singoli e non possono quindi far parte di organi collegiali”.
In tali circostanze, spetta allora al giudice del rinvio, “che è il solo competente a valutare i fatti, determinare, in ultima analisi, se un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario che, nel corso del medesimo periodo, abbia superato la terza valutazione di idoneità professionale e maturato un’anzianità di servizio di almeno quattordici anni” (punto 148).
Con la sentenza del 7 aprile 2022 (C-236/2020) la Corte di Giustizia ha enunciato una serie di principi fondamentali, mutuati anche dalla richiamata precedente sentenza del 16 luglio 2020 (C-658/18) sulla responsabilità dello Stato italiano per il mancato riconoscimento di ferie retribuite in favore dei giudici di pace, che debbono ritenersi applicabili anche al caso all’esame, in considerazione della comune natura onoraria dei servizi svolti.
La Corte ha affermato che la nozione di «lavoratore a tempo determinato», di cui alla clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa include un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.
Inoltre, secondo la Corte, la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato vieta che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di svolgere un'attività in forza di un contratto a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 136].
La Corte ha riaffermato, inoltre, che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato mira a dare applicazione al principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di lavoro di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 137].
Per quanto riguarda le «condizioni di impiego» di cui alla clausola 4 del medesimo accordo quadro, la Corte ha ribadito che tali condizioni includono le condizioni relative alle retribuzioni nonché alle pensioni dipendenti dal rapporto di lavoro, ad esclusione delle condizioni relative alle pensioni derivanti da un regime legale di previdenza sociale (sentenza del 15 aprile 2008, C-268/06, EU:C:2008:223, punto 134), circostanza che anche in questo caso spetta al giudice del rinvio valutare.
Peraltro, poiché le suddette «condizioni di impiego», ai sensi della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, coprono gli elementi costitutivi della retribuzione, ivi compreso il livello di tali elementi, il diritto alle ferie annuali retribuite, nonché le condizioni relative alle pensioni di vecchiaia che dipendono dal rapporto di lavoro, spetta al giudice del rinvio accertare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, l'attività giurisdizionale del giudice onorario sia comparabile a quella di un magistrato ordinario [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punti da 143 a 147].
La Corte ne ha concluso che, solo qualora sia accertato che un giudice di pace si trova, sotto il profilo della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, in una situazione comparabile a quella dei magistrati ordinari, occorre poi ancora verificare se esista una ragione oggettiva che giustifichi l'esistenza di una differenza di trattamento.
A tale riguardo occorre ricordare, ha aggiunto la Corte, che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punto 1, di detto accordo quadro dev'essere intesa nel senso che essa non consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza è prevista da una norma generale o astratta, quale una legge o un contratto collettivo [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 150 e giurisprudenza ivi citata].
Piuttosto, detta nozione richiede, secondo una giurisprudenza parimenti costante, che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s'inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 151].
La Corte ha dichiarato, al punto 156 della menzionata sentenza del 16 luglio 2020, per quanto riguarda la giustificazione relativa all'esistenza di un concorso iniziale specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell'accesso alla magistratura, concorso che non è richiesto ai fini della nomina dei giudici di pace, che, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri quanto all'organizzazione delle loro amministrazioni pubbliche, essi possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 o l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, stabilire condizioni di accesso alla magistratura, nonché condizioni di impiego applicabili sia ai magistrati ordinari che ai giudici di pace.
Tuttavia, nonostante tale margine di discrezionalità, l'applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento sfavorevole dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 157].
A tale riguardo, ha aggiunto la Corte, occorre considerare che talune differenze di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato assunti al termine di un concorso e lavoratori a tempo determinato assunti all'esito di una procedura diversa da quella prevista per i lavoratori a tempo indeterminato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punti 158 e 159].
La Corte ha quindi ritenuto che gli obiettivi invocati dal governo italiano consistenti nel mettere in luce le differenze nell'attività lavorativa tra un giudice di pace e un magistrato ordinario possano essere considerati come configuranti una «ragione oggettiva», ai sensi della clausola 4, punti 1 o 4, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, nei limiti in cui essi rispondano a una reale necessità, siano idonei a conseguire l'obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, UE:C:2020:572, punto 160].
A questo proposito, la Corte ha considerato che le differenze tra le procedure di assunzione dei giudici di pace e dei magistrati ordinari e, segnatamente, la particolare importanza attribuita dall'ordinamento giuridico nazionale, e più specificamente dall'articolo 106, paragrafo 1, della Costituzione italiana, ai concorsi appositamente concepiti per l'assunzione dei magistrati ordinari, sembrano indicare una particolare natura delle mansioni di cui questi ultimi devono assumere la responsabilità e un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell'assolvimento di tali mansioni. In ogni caso, spetta al giudice del rinvio valutare, a tal fine, gli elementi qualitativi e quantitativi disponibili riguardanti le funzioni svolte dai giudici di pace e dai magistrati professionali, i vincoli di orario e le sanzioni cui sono soggetti nonché, in generale, l'insieme delle circostanze e dei fatti pertinenti [v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 161].
Discende quindi da tale giurisprudenza come si dirà più avanti che l'esistenza di un concorso iniziale specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell'accesso alla magistratura, che invece non vale per la nomina dei giudici di pace, consente di escludere che questi ultimi beneficino integralmente dei diritti dei magistrati ordinari.
Ciò non significa tuttavia affermare, argomenta ancora la Corte, che, fatte salve le verifiche di competenza esclusiva del giudice nazionale, i giudici di pace debbano o possano essere necessariamente esclusi da ogni diritto alle ferie retribuite, nonché da ogni forma di tutela di tipo assistenziale e previdenziale. In altre parole, una simile lettura della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sarebbe inammissibile.
Per quanto riguarda, in particolare, il diritto alle ferie, la Corte ha ricordato che, conformemente all'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, «gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane».
Inoltre, dal tenore della direttiva 2003/88 e dalla giurisprudenza della Corte emerge che, se è vero che spetta agli Stati membri definire le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, essi devono, però, astenersi dal subordinare a una qualsivoglia condizione la costituzione stessa di tale diritto, il quale scaturisce direttamente dalla suddetta direttiva (sentenza del 25 giugno 2020, Varhoven kasatsionen sad na Republika Bulgaria e Iccrea Banca, C-762/18 e C-37/19, EU:C:2020:504, punto 56 nonché giurisprudenza ivi citata).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, la Corte ha dunque risposto al quesito nel senso che segue: l'articolo 7 della direttiva 2003/88 e la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non prevede, per il giudice di pace, alcun diritto a beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni né di un regime assistenziale e previdenziale che dipende dal rapporto di lavoro, come quello previsto per i magistrati ordinari, se tale giudice di pace rientra nella nozione di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e si trova in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario.
La Corte si è pronunciata, inoltre, sulla clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ovvero se la stessa debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale un rapporto di lavoro a tempo determinato può essere oggetto, al massimo, di tre rinnovi successivi, ciascuno di quattro anni, per una durata totale non superiore a sedici anni, e che non prevede la possibilità di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro.
In primo luogo, ha ricordato la Corte, la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato prevede che gli Stati membri adottino misure relative al numero di rinnovi dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e/o alla durata massima totale di tali contratti o rapporti di lavoro.
Nel caso esaminato la Corte aveva constatato che la normativa italiana applicabile alla controversia principale prevedeva effettivamente un limite al numero di rinnovi successivi, nonché alla durata massima di tali contratti a tempo determinato.
A tale riguardo, ha aggiunto, secondo una costante giurisprudenza, sebbene gli Stati membri dispongano di un margine di discrezionalità quanto alle misure di prevenzione degli abusi, essi non possono tuttavia rimettere in discussione l'obiettivo o l'effetto utile dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato [sentenza dell'11 febbraio 2021, C-760/18, EU:C:2021:113, punto 56].
In secondo luogo, secondo la Corte, occorre esaminare se la sanzione di un eventuale abuso soddisfi i requisiti posti dalla clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, nell'ipotesi in cui la normativa italiana non consenta la trasformazione del rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato.
Sulla base di una giurisprudenza costante, la Corte ha fugato il dubbio circa il fatto che la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sancisca un obbligo per gli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratto a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato (ordinanza del 12 dicembre 2013, C-50/13, non pubblicata, EU:C:2013:873, punto 16), ovvero che debba prevedere sanzioni specifiche nell'ipotesi in cui siano stati constatati abusi [sentenza dell'11 febbraio 2021, C-760/18, EU:C:2021:113, punto 57].
Spetta quindi alle autorità nazionali, ha concluso la Corte, adottare misure proporzionate, effettive e dissuasive per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, le quali possono prevedere, a tal fine, la trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Tuttavia, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato, deve potersi applicare una misura al fine di sanzionare debitamente tale abuso e rimuovere le conseguenze della violazione [sentenza dell'11 febbraio 2021, C-760/18, EU:C:2021:113, punti da 57 a 59].
Affinché una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, l'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un'altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato (sentenza del 7 marzo 2018, C-494/16, EU:C:2018:166, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
Anche l’accertamento di questa circostanza, secondo la Corte, rientra nella valutazione del giudice del rinvio, non spettando alla Corte pronunciarsi sull'interpretazione delle disposizioni di diritto interno rilevanti per prevenire e, se del caso, sanzionare l'utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato [sentenza dell'11 febbraio 2021, C-760/18, EU:C:2021:113, punto 61].
Nel caso esaminato, la Corte ha rilevato come non vi fosse, nell'ordinamento giuridico italiano, alcuna disposizione che consentisse di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
Per questa ragione, la Corte ha dichiarato che la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in forza della quale un rapporto di lavoro a tempo determinato può essere oggetto, al massimo, di tre rinnovi successivi, ciascuno di quattro anni, per una durata totale non superiore a sedici anni, se la medesima normativa non prevede la possibilità di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro.
6.- Tanto premesso, ritiene il Collegio - anticipando le conclusioni cui si intende giungere - che per le funzioni svolte, come disciplinate dalla legislazione speciale e di fatto effettivamente poste in essere, il Giudice di Pace istante rientri nella nozione, autonoma ed unitaria, di “lavoratore”, propria del diritto dell'Unione (v. in ordine alla portata unitaria della nozione le sentenze del 26 marzo 2015, Fenoll, C-316/13,EU:C:2015:200, punto 25, e del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanta e a., C-147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
Nonostante invero la Corte di Giustizia abbia - come visto - pervicacemente rimesso al giudice del rinvio il compito di verificare, tra l’altro, la sussistenza di “ragioni obiettive” atte a giustificare la differenza di trattamento (ai sensi della clausola 4 punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato) non va sottaciuto il principio - del tutto innovativo per il nostro ordinamento e fondamentale per il presente giudizio - affermato dalla Corte secondo cui il Giudice di Pace, nominato per un periodo limitato il quale nell’ambito delle sue funzioni svolge prestazioni reali ed effettive non marginali né accessorie per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, rientra nella nozione di lavoratore a tempo determinato di cui alla clausola 2 punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (sentenza 7 aprile 2022 causa C-236/2020 punto 30).
Ciò, d’altronde, appare coerentemente in linea con quanto la Corte di Giustizia aveva già precedentemente accertato in ordine ai giudici onorari inglesi (C.G.U.E. sent. 1 marzo 2012 O’Brien C-393/10) come rilevato nell’ordinanza di rinvio ex art 267 TFUE.
Va poi tenuto conto delle procedure di infrazione e messa in mora attivate dalla Commissione UE nei confronti della Repubblica italiana per il mancato adeguamento della normativa interna al regime di tutela garantito dalle direttive comunitarie a tutela del lavoratore con riferimento peraltro anche alla recente riforma contenuta nella legge n. 234/2021 (Commissione UE atto di messa in mora del 15 luglio 2022) non applicabile alla ricorrente in quanto entrata in vigore l’uno gennaio 2022 ovvero quando la dott.ssa Rinaldi era da tempo (31 luglio 2019) cessata dal servizio.
6.1. - Traendo le conclusioni, la natura subordinata del rapporto di lavoro del Giudice di Pace, quale magistrato alle dipendenze del Ministero della Giustizia, comporta l’accertamento dell’avvenuta instaurazione di un rapporto di pubblico impiego di fatto ex art. 2126 c.c. non ostandovi la carenza del concorso pubblico quale modalità di accesso (ex multis Consiglio di Stato sez. V 22 dicembre 2014, n. 6194) con consequenziale diritto del lavoratore al trattamento retributivo per il tempo in cui il rapporto ha avuto materiale esecuzione e alla contribuzione previdenziale propria di un rapporto di pubblico impiego regolare (ex multis Cassazione civile sez. VI, 3 agosto 2022, n. 24040; Tribunale Velletri sez. lav. 3 novembre 2020, n. 1165).
E’ poi pacifico che le sentenze interpretative della Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE abbiano effetto retroattivo ed estendano dunque i propri effetti anche ai rapporti sorti in epoca precedente alla sentenza stessa purché non esauriti (ex multis Cassazione civile, 9 ottobre 2019, n. 25278; C.G.U.E. sent. Denkavit 27 marzo 1980- C-61/79).
7.- Alla luce delle esaminate statuizioni della Corte di Giustizia ritiene comunque il Collegio di dover escludere l’equiparazione totale dello status dei giudici di pace rispetto ai giudici togati, sussistendo “ragioni oggettive” ai sensi dell’art. 4 del richiamato accordo quadro per la diversità di trattamento.
In particolare oltre alle radicali differenze sulla modalità di accesso alla magistratura ordinaria per la quale è inderogabilmente previsto uno specifico e selettivo concorso pubblico per esami, emerge lo svolgimento di attività giurisdizionale differente anche dal punto di vista qualitativo oltre che un regime di esclusività come visto attenuato.
Del resto è proprio anche nella diversa modalità di accesso che la giurisprudenza italiana è pacifica nel negare l’equiparazione dell’attività svolta dai giudici onorari compresi i giudici di pace (da ultimo Cassazione civile sez. lav., 5 giugno 2020, n.10774; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 1 settembre 2021, n.9484; Consiglio di Stato 18 luglio 2017, n. 3556) come peraltro già ampiamente rilevato nell’ordinanza n. 363/2020 di rinvio pregiudiziale.
La previsione di un concorso iniziale, specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell'accesso alla magistratura e non altrettanto per i Giudici di Pace, assume particolare rilievo, nella valutazione della sussistenza delle “ragioni oggettive” che giustifichino un trattamento differenziato, non tanto quale mero meccanismo di selezione e accesso al rapporto di impiego pubblico, quanto, piuttosto, perché attraverso la procedura concorsuale si esprime uno standard di professionalità qualitativamente superiore che la procedura per la nomina dei Giudici di Pace non consente affatto di far emergere (così Tribunale Napoli, 11 gennaio 2021, n. 6015).
Ai predetti fini si ascrivono la previsione di un periodo di formazione professionale preliminare alle prove concorsuali, il superamento di diverse prove, sia scritte che orali, il periodo di tirocinio successivo al superamento delle prove, di durata ben superiore rispetto a quello previsto per i Giudici di Pace.
Il concorso, in altri termini, non è solo in funzione della imparzialità e trasparenza ex art. 97 Cost. ma, per quanto più rileva in questa sede, è filtro di preparazione e specifica conoscenza giuridica in previsione dell'esercizio - seppure, per alcuni aspetti, con scaglionamenti temporali - delle funzioni giurisdizionali senza limitazioni per materie, complessità e per gradi e tipo di giurisdizione. (così ancora Tribunale Napoli, 11 gennaio 2021, n. 6015)
E’ evidente poi che la competenza dei Giudici di Pace sia diversa e ben più limitata rispetto a quella riservata ai magistrati ordinari.
Non è seriamente contestabile che la giustizia amministrata dai Giudici di Pace sia circoscritta a materie che, se anche non possono considerarsi bagatellari, sono caratterizzate da un livello di complessità non corrispondente a quello delle cause che ordinariamente sono proprie della giurisdizione dei magistrati ordinari.
Si pensi, per la magistratura onoraria, sotto un profilo processuale, alla predisposizione di un “rito” più snello e alla possibilità, entro determinati limiti di valore, di giudicare “secondo equità”.
Da ultimo, mentre il Giudice di Pace può continuare a svolgere la professione forense nel circondario limitrofo, il magistrato - anche di prima nomina - tanto non può fare, con una esclusività della prestazione che non appare - per questo aspetto - comparabile.
8.- Se dunque l’equiparazione non può dirsi totale ritiene ugualmente il Collegio come il rapporto di lavoro dei Giudici di Pace debba ritenersi parzialmente comparabile con quello del giudice ordinario al fine del riconoscimento del diritto alle ferie oltre che della tutela assistenziale e previdenziale.
Se infatti le differenze evidenziate possano giustificare talune differenze di trattamento, non si ritiene che la scelta di escludere del tutto i Giudici di Pace dalla fruizione del trattamento riservato alla magistratura professionale sia adeguata e necessaria rispetto all'obiettivo del legislatore, secondo un doveroso criterio di proporzionalità e non discriminazione.
Al di là delle differenze evidenziate - come si è già avuto modo di approfondire - i magistrati onorari sono sottoposti agli stessi vincoli in termini di organizzazione del lavoro, controllo e direzione dei capi degli uffici e degli organi di autogoverno, nonché di responsabilità civile ed erariale, come già evidenziato nella stessa ordinanza di rinvio pregiudiziale.
8.1.- Diversamente opinando ovvero nel senso argomentato dalla difese delle amministrazioni resistenti il giudice di pace, specie se cessato prima dell’entrata in vigore della legge 234/2021, sarebbe un lavoratore subordinato a tempo determinato soltanto in via puramente formale in quanto completamente privo di tutela assistenziale e previdenziale e senza nemmeno la titolarità del diritto alle ferie ovvero di un diritto “irrinunciabile” secondo la Carta costituzionale (art 36 Cost.) e le fonti internazionali ed europee in ogni settore ed ambito lavorativo (ex plurimis Corte Costituzionale, 6 maggio 2016, n.95). Verrebbe completamente meno anche l’effetto utile delle esaminate direttive eurounitarie in tema di tutela dei lavoratori. Del resto, come visto, anche il Consiglio di Stato di recente sollevando nuova questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ha espresso forti dubbi sulla compatibilità europea dell’attuale disciplina concernente le condizioni di impiego dei giudici onorari per la parte relativa all’esclusione del diritto alle ferie e da ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale (Consiglio di Stato sez. VII, ord. 26 gennaio 2023, n. 906).
8.2.- Ciò determina che l'attività svolta dai Giudici di Pace, in quanto lavoratori comparabili ai lavoratori alle dipendenze di un medesimo datore di lavoro deve necessariamente rilevare ai fini della maturazione del diritto ad un determinato trattamento economico, restando relegato nell'ambito dell'irrilevanza giuridica che ciò sia avvenuto in esecuzione di un contratto qualificato a tempo determinato ed onorario.
8.3.- Logico corollario è l'affermazione per la quale la mancata previsione di un trattamento economico analogo, in termini qualitativi e quantitativi, a quello del predetto lavoratore comparabile, costituisce una disparità di trattamento contraria alla clausola 4, punti 1 e 4, della Direttiva 1999/70/CE.
Il diretto utilizzo da parte del giudice del parametro normativo comunitario comporta, poi, che, ai fini del calcolo del trattamento retributivo, stante la comparabilità delle posizioni lavorative, va tenuto conto della retribuzione propria del magistrato professionale, ritenendosi giustificate le differenze di trattamento solo nella misura degli aumenti di stipendio correlati al conseguimento delle valutazioni di professionalità superiori a quella di primo accesso alle funzioni giurisdizionali e dell'impegno lavorativo richiesto che, a differenza del magistrato professionale, per il Giudice di Pace è limitato alle sole due/tre giornate coincidenti con le udienze tabellari.
Perché, se è vero che il giudice onorario esercita le funzioni giurisdizionali in materie che erano proprie della competenza dei magistrati di prima nomina, è altrettanto vero che non può svolgere alcuna funzione giurisdizionale in relazione ai gradi e alle corti superiori né può ampliare la propria competenza professionale ad altre materie che non siano quelle a lui riservate sin dall'origine dal legislatore.
Va pertanto accertato il diritto dei ricorrenti ad un trattamento economico e normativo equivalente a quello assicurato ai lavoratori comparabili che svolgono funzioni analoghe alle dipendenze del Ministero della Giustizia, con obbligo di ricostruzione della posizione giuridica ed economica per tutto il periodo in cui la ricorrente ha svolto le funzioni di giudice di pace e conseguente condanna al pagamento delle conseguenti differenze retributive, oltre interessi.
8.4.- Attesa la qualificazione in termini di lavoratore a tempo determinato, comparabile al magistrato ordinario di prima nomina, ai Giudici di Pace spetta anche il trattamento economico per le ferie pari alla retribuzione del predetto magistrato professionale.
Per quanto riguarda, in particolare, il diritto alle ferie, la Corte ha ricordato che, conformemente all'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, «gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane».
Inoltre, dal tenore della direttiva 2003/88 e dalla giurisprudenza della Corte emerge che, se è vero che spetta agli Stati membri definire le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, essi devono, però, astenersi dal subordinare a una qualsivoglia condizione la costituzione stessa di tale diritto, il quale scaturisce direttamente dalla suddetta direttiva (sentenza del 25 giugno 2020, Varhoven kasatsionen sad na Republika Bulgaria e Iccrea Banca, C-762/18 e C-37/19, EU:C:2020:504, punto 56 nonché giurisprudenza ivi citata).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, la Corte ha dunque risposto al quesito nel senso che segue: l'articolo 7 della direttiva 2003/88 e la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non prevede, per il giudice di pace, alcun diritto a beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni né di un regime assistenziale e previdenziale che dipende dal rapporto di lavoro, come quello previsto per i magistrati ordinari, se tale giudice di pace rientra nella nozione di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e si trova in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario (vedi in particolare i punti 53 e 54).
A tal fine va disposta la condanna del Ministero della Giustizia in relazione al periodo in cui la ricorrente ha svolto le funzioni di giudice di pace al pagamento delle ferie non godute, oltre interessi come per legge, essendo come si dirà infra l’eccezione di prescrizione priva di pregio.
8.5.- Va altresì accolta la pretesa di parte ricorrente relativa al riconoscimento discendente dallo status di lavoratore a tempo determinato delle tutele assistenziali e previdenziali, e per l’effetto condannare, in relazione al periodo in cui la ricorrente ha svolto le funzioni di giudice di pace, il Ministero della Giustizia in persona del Ministro p.t., al pagamento in favore dell’INPS dei contributi previdenziali non versati, previa ricostruzione della posizione previdenziale della dott.ssa Rinaldi.
9.- Va altresì affermato il diritto della ricorrente al risarcimento di tutti i danni subiti per effetto dell’abusiva reiterazione di rapporti a termine, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d. lgs. n. 165 del 2001.
La Corte di Giustizia rispondendo alla terza questione pregiudiziale sollevata dal Collegio ha rilevato (punto 66) che la clausola 5 punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in forza della quale un rapporto di lavoro a tempo determinato può essere oggetto al massimo di tre rinnovi successivi ciascuno di quattro anni per una durata totale non superiore a sedici anni, e che non prevede la possibilità di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 5072 del 2016, hanno statuito proprio rispetto alla portata applicativa e alla parametrazione del danno risarcibile ai sensi dell'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in presenza di abusiva reiterazione dei contratti a termine, chiarendo che il pregiudizio economico oggetto del risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest'ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari.
Piuttosto, considerato che l'efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell'Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70 CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione dei contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l'ammontare del danno, che sarà normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, si è rinvenuto nell'art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, una disposizione idonea allo scopo.
La norma, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, consente al lavoratore di essere esonerato dall'onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori. I principi enunciati dalle Sezioni Unite hanno trovato conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro e nella sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 2018.
Ritiene il Collegio di quantificare il predetto danno nella misura richiesta di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto spettante, oltre interessi, avuto riguardo alla lunga durata del servizio prestato quale giudice di pace ed al comportamento recidivo del datore di lavoro.
10.- L’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa erariale e dell’INPS è, infine, infondata.
Ad avviso delle amministrazioni opererebbe quanto alle pretese retributive e contributive la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4) c.c. ovvero ex art. 3 c. 9 L. 335/1995 e in subordine decennale ex art. 2946 c.c.
Diversamente da quanto argomentato, le pretese dei giudici di pace non potevano essere fatte valere in costanza di rapporto attesa la mancanza di stabilità del rapporto soggetto a rinnovo che come visto caratterizza proprio il rapporto del giudice di pace, si che non può sostenersi il decorso della prescrizione dei diritti in costanza di un rapporto di pubblico impiego (ex multis T.A.R. Campania Napoli sez. I, 19 luglio 2021, n. 4990; Cassazione civ. sez. lav. 19 novembre 2021, n. 35676). La giurisprudenza ritiene che la situazione psicologica di timore del lavoratore cessi soltanto nel momento in cui è stata giudizialmente accertata l’esistenza di un rapporto stabile (Cassazione S.U. 5 marzo 1991 n. 2334; Id. 12 gennaio 2002, n. 325, Id. 22 giugno 2004, n. 11644; Id. Cass. 13 dicembre 2004, n. 23227).
Ma anche a voler negare il “metus” in ordine alla mancata continuazione del rapporto suscettibile di tutela, ritiene il Collegio come l’esercizio dei diritti retributivi e contributivi propri di un rapporto di lavoro subordinato sia stato impedito in diritto nel nostro ordinamento quantomeno fino alla pronuncia della Corte di Giustizia del 16 luglio 2020 (in causa C-658/18) stante l’esaminato granitico orientamento della giurisprudenza domestica volto a negare a proposito dei giudici di pace l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e le correlate tutele.
Per giurisprudenza consolidata l'impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ai sensi dell'art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto (ex multis Cassazione civile sez. II, 15 dicembre 2021, n. 40104).
Del resto la stessa giurisprudenza amministrativa non ha mancato di affermare il principio della rilevanza degli impedimenti di diritto ad es. in riferimento alla tutela del proprietario di immobile oggetto di occupazione “sine titulo” preordinata alla realizzazione di opere pubbliche, laddove il “dies a quo” per la decorrenza del termine per la maturazione del ventennio utile per l’acquisto ex art. 1158 c.c. da parte della p.a. del bene occupato è stato individuato, almeno secondo una tesi, soltanto alla data di entrata in vigore del t.u. espropriazioni (Consiglio di Stato sez. IV, 11 settembre 2020, n.5430; T.A.R. Lazio Roma sez II-bis, 2 ottobre 2009, n. 9557) non essendo prima concretamente consentita dal diritto vivente alcuna tutela restitutoria/reintegratoria.
11.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso va in parte accolto, dovendo per l’effetto il Ministero della Giustizia procedere alla ricostruzione della posizione giuridica, economica, previdenziale ed assistenziale della dott.ssa Rinaldi dalla data di inizio a quella di fine del rapporto di lavoro quale giudice di pace, come da motivazione, e dovendo altresì versare le somme conseguentemente dovute, oltre interessi di legge.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa l’obiettiva complessità delle questioni esaminate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia – Romagna Bologna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, così decide:
a) dichiara che, per le funzioni di Giudice di Pace svolte, la ricorrente rientra nella nozione di lavoratore a tempo determinato secondo il diritto eurounitario;
b) ordina al Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, la ricostruzione della posizione giuridica ed economica in relazione al periodo in cui la ricorrente ha svolto le funzioni di giudice di pace, secondo i criteri di cui in motivazione, con conseguente condanna al pagamento delle conseguenti differenze retributive, oltre interessi;
c) ordina al Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore la ricostruzione della posizione assistenziale e previdenziale della ricorrente in relazione al periodo in cui la dott.ssa Rinaldi ha svolto le funzioni di giudice di pace, secondo i criteri di cui in motivazione, e condanna per detto periodo il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dell’INPS dei contributi previdenziali non versati;
d) dichiara l'abusiva reiterazione del termine apposto ai singoli incarichi e, per l'effetto, condanna il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno in favore della ricorrente, nella misura pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto spettante.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:
Andrea Migliozzi, Presidente
Gianmario Palliggiano, Consigliere
Paolo Amovilli, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
Paolo Amovilli
IL PRESIDENTE
Andrea Migliozzi
IL SEGRETARIO