La concessione della cittadinanza italiana ad un cittadino straniero può essere negata in presenza di segnalazioni di polizia?
Sulla questione interviene il Tar Lazio con la sentenza n. 18643 del 25 ottobre 2024.
Nel caso di specie, un cittadino straniero si è visto negare la cittadinanza italiana dal Ministero dell'Interno, nonostante avesse risieduto in Italia per almeno dieci anni come previsto dall'art. 9, comma 1, lett. f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91. La domanda è: si può rifiutare l
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Ministero, sostenendo che quest'ultimo aveva attribuito un peso eccessivo a due segnalazioni di polizia senza verificare le fonti originarie. Inoltre, il Ministero non avrebbe condotto un'adeguata istruttoria sulla posizione dell'istante, né fornito una motivazione sufficiente sul rilievo delle segnalazioni, soprattutto in relazione al percorso di vita del richiedente in Italia.
Il Tar Lazio ha accolto il ricorso, sostenendo che il diniego era fondato su due segnalazioni di polizia giudiziaria, tra cui falsa attestazione a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.) e ricettazione (art. 648 c.p.), senza però che tali fatti avessero avuto sviluppi significativi in sede penale.
La giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. III, 11 luglio 2023, n. 6791) è chiara su questo punto: quando il diniego della cittadinanza si basa esclusivamente su fatti non recenti e senza sviluppi in sede penale, l'amministrazione deve fornire un'istruttoria più approfondita e una motivazione più ampia. Non è sufficiente il semplice richiamo a segnalazioni o denunce, soprattutto se queste sono datate e senza accertamenti ulteriori.
Nella vicenda in esame, l'Amministrazione non ha svolto un adeguato approfondimento sui fatti, limitandosi a una rilevazione acritica delle segnalazioni. Non sono stati verificati gli sviluppi dei procedimenti penali, né è stata valutata l'attuale rilevanza delle condotte contestate rispetto al percorso di vita del richiedente. In effetti, il ricorrente era stato assolto rispetto alla più recente notizia di reato, e nulla è stato chiarito riguardo alla segnalazione più vecchia, che risaliva addirittura a un periodo antecedente il decennio di osservazione rilevante ai fini della cittadinanza.
In conclusione, il provvedimento del Ministero è stato annullato per difetto di istruttoria e di motivazione. L'Amministrazione dovrà quindi riesaminare la domanda, in conformità ai criteri di legittimità indicati dal Tar.
Pubblicato il 25/10/2024
N. 18643/2024 REG.PROV.COLL.
N. 09149/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9149 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Nicola Canestrini, con domicilio digitale presso la pec come da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto dell’8.4.2020, notificato al ricorrente il 25.7.2020, con cui il Ministro dell'interno ha respinto l'istanza del 26.11.2015, diretta a ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992 n. 91.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 11 ottobre 2024 il dott. Pierluigi Tonnara e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato il 12.10.2020 (dep. il 9.11.2020) -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con cui il Ministero dell’interno ha rigettato la sua istanza (presentata il 26.11.2015) per l’ottenimento della cittadinanza ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91.
1.1. A sostegno del ricorso la parte ha articolato i seguenti motivi:
(i) “sulla violazione di legge – eccesso di potere – art. 10 della l. 121/1981”, in quanto l’Amministrazione avrebbe attribuito rilievo dirimente a due segnalazioni di polizia, peraltro senza l’acquisizione delle fonti originarie;
(ii) “sulla violazione di legge – eccesso di potere per vizio di motivazione – artt. 3, 21 octies l. 241 del 1990, 9 comma 1 lett. ‘f’ l. n. 91 del 1992”, giacché il Ministero non avrebbe compiuto una istruttoria esaustiva sulla posizione dell’istante né avrebbe fornito un’adeguata motivazione sulla rilevanza delle segnalazioni di polizia giudiziaria (di cui una rivelatasi infondata come da sentenza del Tribunale di Genova del 16.1.2020, n. 163), anche rispetto al concreto percorso di vita del richiedente in Italia.
2. Il Ministero si è costituito in resistenza con atto di stile e ha poi depositato gli atti e i documenti in base ai quali è stato emanato il provvedimento impugnato.
3. All’udienza straordinaria dell’11.10.2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.
4.1. L’Amministrazione ha ritenuto di respingere l’istanza presentata dall’odierno ricorrente sulla base di due segnalazioni di polizia giudiziaria: la prima, risalente al 2003, per l’ipotesi di reato di cui all’art. 495 c.p. (“Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”); la seconda, risalente al 2016, per le ipotesi di reato di cui agli artt. 474 c.p. (“Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”) e 648 c.p. (“Ricettazione”). Il Ministero ha quindi ritenuto che tali “pregiudizi penali” fossero “indice di inaffidabilità del richiedente e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile anche dal rispetto delle norme penali e di civile convivenza”.
4.2. Tuttavia, a fronte della sussistenza di mere segnalazioni di polizia, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che (Cons. Stato, sez. III, 11.7.2023, n. 6791 e precedenti ivi richiamati):
- “quando il diniego sia basato esclusivamente su fatti risalenti nel tempo non seguiti da alcuno sviluppo in sede penale, occorre che l’eventuale provvedimento di diniego sia supportato da un maggiore approfondimento istruttorio e da un più ampio corredo motivazionale, non apparendo in tali casi sufficiente il mero richiamo di segnalazioni, rapporti e denunce a carico del richiedente, in specie se non recenti e risalenti nel tempo, senza un’adeguata verifica circa l’attuale stato di tali segnalazioni, denunce e rapporti”;
- in particolare, il diniego è stato ritenuto illegittimo qualora “si basi sulla constatazione che vi è stata una denuncia all’autorità giudiziaria, senza accertare quali siano stati gli ulteriori sviluppi del relativo procedimento”;
- più in generale, il provvedimento di diniego deve giudicarsi illegittimo quando “le denunce non sono state fatte oggetto di un autonomo apprezzamento, non essendo in alcun modo circostanziate”, ovvero “il provvedimento ministeriale – per l’insufficienza dei dati istruttori su cui si fonda – non reca un approfondito apprezzamento sui fatti sottesi alle denunce e, dunque, sul reale disvalore delle condotte rispetto ai principî fondamentali della convivenza sociale e alla tutela anticipata della sicurezza e della incolumità pubblica”, risolvendosi in una rilevazione acritica delle pendenze “nella loro asettica storicità senza alcun autonomo ed effettivo vaglio critico, come dato cioè di per sé stesso idoneo ad accreditare un giudizio di disvalore ai fini qui in rilievo”;
- in altri termini, ferma l’ampia discrezionalità riconosciuta al Ministero in materia, è necessario un “adeguato approfondimento istruttorio diretto ad accertare se e quali sviluppi vi siano stati delle denunce richiamate e poste a base della valutazione negativa, approfondimento istruttorio che deve essere poi logicamente seguito da un’attenta valutazione dei fatti così compiutamente ricostruiti, con un’ampia motivazione che dia conto delle ragioni per le quali quei fatti in astratto penalmente rilevanti, ancorché non seguiti da significativi sviluppi, né tanto meno da condanne, possano ritenersi comunque ostativi al rilascio della cittadinanza, in quanto tali da far venir meno quel requisito dello ‘status illesae dignitatis’ morale e civile richiesto nel soggetto richiedente”.
4.3. Nel caso che occupa, il provvedimento impugnato si discosta palesemente dai suindicati criteri di legittimità. Invero, l’Amministrazione non ha svolto alcun approfondimento istruttorio rispetto alla mera rilevazione della presenza in banca dati delle due segnalazioni di polizia; notizie che sono state recepite acriticamente nell’atto gravato a mo’ di ineluttabile stigma sociale. Né è stata fornita alcuna contestualizzazione delle segnalazioni; l’iter motivazionale si risolve e dissolve, invero, nella mera enunciazione dei titoli di reato ipotizzati dagli operanti, senza che sia dato sapere alcunché dell’accaduto, degli ulteriori sviluppi dei procedimenti penali e quindi dell’attuale disvalore di quei fatti nel contesto del complessivo percorso di vita seguito dall’istante in Italia.
E in realtà, come comprovato in atti (all. 5 ric.), il ricorrente è stato assolto rispetto alla notizia di reato più recente - quella del 2016 relativa alle fattispecie di cui agli artt. 474 e 648 c.p. – con sentenza del 31.1.2020, quindi antecedente alla data di adozione dell’atto gravato. Mentre nulla è dato sapere con riguardo alla segnalazione del 2003, che si colloca persino al di fuori del c.d. periodo di osservazione, cioè nel decennio precedente il momento della domanda di cittadinanza, che rileva ai fini della valutazione dell’acquisizione dei requisiti per la cittadinanza, ai sensi dell'art. 9 legge n. 91 del 1992, inclusi quelli dell’irreprensibilità della condotta.
5. In conclusione, il provvedimento impugnato deve essere annullato per difetto di istruttoria e di motivazione, salvo il riesercizio della funzione da parte dell’Amministrazione intimata.
6. La novità delle questioni trattate (avuto riguardo al momento dell’adozione dell’atto impugnato e alla sua contestazione in sede giurisdizionale) giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Sezione Quinta Stralcio), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Anna Maria Verlengia, Presidente
Antonietta Giudice, Referendario
Pierluigi Tonnara, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
Pierluigi Tonnara
IL PRESIDENTE
Anna Maria Verlengia
IL SEGRETARIO