Il Tribunale di Roma, sezione specializzata in materia di immigrazione, con decreti del 18 ottobre 2024, ha deciso di non convalidare i trattenimenti di 12 migranti disposti dalla Questura di Roma. I migranti erano stati trasferiti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania, ai sensi del Protocollo Italia-Albania.
I giudici hanno motivato la mancata convalida dei trattenimenti applicando i principi stabiliti dalla recente sentenza della Corte di Giustizia europea del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22), emessa a seguito di un rinvio pregiudiziale proposto da un giudice della Repubblica Ceca.
Secondo la Corte, ai sensi dell'articolo 37 della Direttiva 2013/32, un paese terzo non può essere considerato come paese di origine sicuro se alcune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni sostanziali per tale designazione.
Per il Tribunale di Roma, di conseguenza, non è possibile riconoscere come "paesi sicuri" gli Stati di provenienza dei migranti trattenuti, in questo caso Bangladesh ed Egitto. Questo comporta l'inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal Protocollo, rende impossibile il trasferimento al di fuori del territorio albanese dei migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotti in Italia.
Duro il commento del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, secondo cui siamo di fronte a una "sentenza abnorme di una categoria che esonda dai propri poteri". Il Governo, per rimedio alla situazione, ha approvato un decreto-legge che contiene una nuova lista dei paesi sicuri ai fini del rimpatrio dei migranti.
Per l'Associazione Nazionale Magistrati (ANM), invece, la decisione costituisce "solo l'applicazione di norme che sono obbligatorie per magistrati e Stati".
Secondo l'Unione delle Camere penali la polemica seguita ai provvedimenti del Tribunale di Roma non ha fondamento tecnico, in quanto i giudici romani si sono "limitati ad applicare la normativa europea di riferimento, in linea con le indicazioni vincolanti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea" (vedi il comunicato ufficiale).
Di seguito riportiamo il testo integrale di uno dei decreti pubblicati, riguardante un cittadino proveniente Bangladesh (i contenuti sono pressochè identitci in tutte le pronunce):
Verbale di prima udienza n. cronol. 7/2024 del 18/10/2024
RG n. 42256/2024
Repubblica italiana
Tribunale ordinario di Roma XVIII Sezione civile
(Sezione specializzata in materia di diritti della persona e immigrazione)
N° 42256 R.G. 2024
DECRETO
Il giudice designato,
letti gli atti,
udito il trattenuto in videoconferenza,
preso atto delle deduzioni della Questura e della difesa,
osserva quanto segue.
In fatto
1) Il sig. M, proveniente Bangladesh, Stato del quale si dichiara cittadino, è trattenuto in Albania, ai sensi dell’art. 6-bis del d.lgs. n° 142/2015, in relazione alla richiesta di protezione internazionale da lui formulata e allo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’art. 28-his, comma 2, lett. h-bis), del d.lgs. n° 25/2008, ai sensi del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria (di seguito “Protocollo”), ratificato e reso esecutivo con la I. 21 febbraio 2024, n° 14, in esecuzione del decreto del Questore di Roma del 16.10.2024, del quale si chiede in questa sede la convalida.
In diritto
Quadro normativo.
a. Il Protocollo.
2) 3) Appare opportuno, innanzitutto, richiamare, per quanto qui rileva, l’art. 4 del
Protocollo, il quale, ai primi quattro commi cosi dispone:
«1. La Parte italiana può realizzare nelle Aree le strutture indicate nell’Allegato 1. Le Parti concordano che il numero totale di migranti presenti contemporaneamente nel territorio albanese in applicazione del presente Protocollo non potrà essere superiore a 3.000 (tremila).
2. Le strutture di cui al paragrafo I sono gestite dalle competenti autorità della Parte italiana secondo la pertinente normativa italiana ed europea. Le controversie che possano nascere tra le suddette autorità e i migranti accolti nelle suddette strutture sono sottoposte esclusivamente alla
giurisdizione italiana.
3. Le competenti autorità albanesi consentono l’ingresso e la permanenza nel territorio albanese dei migranti accolti nelle strutture di cui al paragrafo 1, al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse. Nel caso in cui venga meno, per qualsiasi cansa, il titolo della permanenza nelle strutture, la Parte italiona trasferisce immediatamente i migranti fuori dal territorio albanese. I trasferimenti da e per le strutture medesime sono a cura delle competemi
autorità italiane.
4. L’ingresso dei migrami in acque territoriali e nel territorio della Repubblica di Albania avviene esclusivamente con i mezzi delle competenti autorità italiane. All’arrivo nel territorio albanese, le autorità competenti di ciascuna delle Parti procedono separatamente agli adempimenti previsti dalla rispettiva normativa nazionale e nel rispetto del presente Protocollo».
Il successivo art. 6, ai commi 5 e 6, dispone che
«5. Le competenti autorità italiane adottano le misure necessarie al fine di assicurare la permanenza dei migranti all’interno delle Aree, impedendo la loro uscita non autorizzata nel territorio della Repubblica d’Albania, sia durante il perfezionamento delle procedure amministrative che al termine delle stesse, indipendentemente dall’esito finale.
6. In caso di uscita non autorizzata dei migranti dalle Aree, le autorità albanesi li ricondurranno nelle stesse. I costi che derivano dall’attnazione del presente paragrafo sono sostenuti della Parte italiana conformemente all’articolo 10, paragrafo / del presente Protocollo».
b. La legge di ratifica.
3) A sua volta, la legge di ratifica del Protocollo, all’art. 4, comma I, cosi recita:
«1. Ai migranti di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera d), del Protocollo si applicano, in quanto compatibili, il testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il decreto legislativo 28 gennaio 2008, 1. 25, il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, e la disciplina italiana ed europea concernente i requisiti e le procedure relativi all’ammissione e alla permanenza degli stranieri nel territorio nazionale. Per le procedure previste dalle disposizioni indicate al primo periodo sussiste la giurisdizione italiana e sono territorialmente competenti, in via esclusiva, la sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del tribunale di Roma e l’ufficio del gindice di pace di Roma. Nei casi di cui al presente comma si applica la legge italiano».
c. L’art. 28-bis d.lgs. n° 25/2008: procedure accelerate di frontiera.
4) Poiché il citato art. 4, comma 3, del Protocollo consente «l’ingresso e la permanenza in territorio albanese dei migranti (…) al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o eli rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea (…]», si rende applicabile l’art. 28-bis del d.lgs. n° 25/2008, il quale subordina l’applicabilità della procedura accelerata, inter alia, alle condizioni di cui alle lettere b) e b-bis) del comma 2 (v. comma 2-bis del medesimo articolo), e cioè ai seguenti casi:
«b) domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 4, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli;
b-bis) domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 4 da un richiedente proveniente da un Paese designato di origine sicura ai sensi dell’articolo 2-his»
5) L’applicabilità della lettera b› presuppone che il richiedente sia «stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i […) controlli (di frontiera, n.d.r.]». Alla luce del combinato disposto degli artt. 3, comma 2, della legge di ratifica, e 10, comma 2, lettera b-bis (introdotta dal d.lgs. n° 145 dell’11/10/2024), a mente del quale «Nelle aree di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera c), del Protocollo possono essere condotte esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso» e «che, rintracciati, anche a seguito di operazioni di ricerca o soccorso in mare, nel corso delle attività di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea […]», le circostanze e modalità di arrivo dei migranti presso le suddette arce, previste dal Protocollo e dalla legge di ratifica, escludono che possa anche solo ipotizzarsi l’applicazione della procedura accelerata di frontiera ai sensi della lett. b), piuttosto che della lett. b-bis), dell’art. 28-bis, comma 2, del d.lgs. n° 25/2008.
6) Quanto all’applicabilità dell’ipotesi di cui alla lettera b-bis), ancorata alla provenienza da Paese di origine sicura, di cui al decreto interministeriale emanato ai sensi dell’art. 2-bis del d.lgs. n° 25/2008, da ultimo aggiornato il 07/05/2024, sulla cui base è stato disposto il trattenimento nel caso di specie, il Tribunale ritiene di non poter prescindere dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea – Grande Sezione, del 4/10/2024, causa C-406/22 – la quale ha affermato che «l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, di cui all’allegato I di tale direttiva.» (par. 83).
La sentenza chiarisce che il principio così enunciato deve trovare applicazione anche nel caso in cui risultino escluse determinate categorie di persone. Infatti, al punto 68, si afferma che «[…] secondo tale allegato, la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, come ricordato al punto 52 della presente sentenza, dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all’articolo 9 della direttiva 2011/95, tortura o pene o trattamenti immani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno»
Inoltre, la Corte, nella sentenza indicata, sottolinea che: «interpretare l’articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che esso consente ai paesi terzi di essere designati come paesi di origine sicuri, ad eccezione di talune parti del loro territorio, avrebbe l’effetto di estendere l’ambito di applicazione di tale particolare regime di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel tenore letterale di tale articolo 37 o, più in generale, in tale direttiva, il riconoscimento di una siffatta facoltà violerebbe l’interpretazione restrittiva cui devono essere subordinate le disposizioni derogatorie (v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 2015, Commissione/Lussemburgo, C-$02/13, EU:C:2015:143, punto 61, e dell’8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ricevibilità di un ricorso reiterato), C-216/22, EU:C: 2024:/22, punto 35 e giurisprudenza ivi citata)» (punto 71).
Rileva poi che la precedente direttiva consentiva l’esclusione di parti di territorio (e di categorie di persone), ma tale possibilità è stata abrogata dalla direttiva attualmente in vigore e l’espressa intenzione di abrogare tale possibilità è confermata dalla spiegazione dettagliata di tale proposta elaborata dalla Commissione e fornita al Consiglio dell’Unione Europea (punti 74, 75 e 76).
(Edit by Mister Lex)
È chiaro, pertanto, che, alla luce dell’interpretazione vincolante del diritto dell’Unione fornita dalla citata sentenza, non è possibile designare come sicuro un Paese dove si ricorre alla persecuzione quale definita dall’articolo 9 della direttiva 2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti verso categorie di persone o vi siano minacce dovute alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno in parti del suo territorio.
d. Il caso di specie.
7) Tutto ciò premesso, il Paese di origine del trattenuto, nelle conclusioni della scheda-Paese dell’istruttoria del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per l’aggiornamento del sopra menzionato decreto interministeriale, basate su informazioni tratte da fonti qualificate di riferimento, è definito Paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: appartenenti alla comunità LGBTQ+, vittime di violenza di genere incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici, condannati a morte, sfollati climatici.
Pertanto, in ragione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, il Paese di origine del trattenuto non può essere riconosciuto come Paese sicuro, tanto più che la stessa sentenza sottolinea il dovere del giudice di rilevare, anche d’ufficio, l’eventuale violazione, nel caso sottoposto al suo giudizio, delle condizioni sostanziali della qualificazione di Paese sicuro enunciate nell’allegato I della direttiva 2013/32.
Non sussiste, dunque, nel caso in esame il presupposto di applicazione della procedura accelerata in frontiera di cui all’art. 28-bis, comma 2, lett. b-bis), del d.Igs. n° 25/2008.
8) L’assenza del presupposto di applicabilità della suddetta procedura impedisce un legittimo trattenimento non soltanto al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato, ma anche con riferimento a qualunque altra motivazione addotta nel provvedimento di trattenimento.
9) Le considerazioni di cui sopra costituiscono ragione dirimente di esclusione della possibilità di convalidare il trattenimento in esame, con assorbimento di ogni altro possibile profilo di criticità, relativo al peculiare contesto normativo del trattenimento medesimo.
e. osservazioni finali.
L’insussistenza, come esposto, del presupposto necessario per la procedura di frontiera e per il trattenimento determina l’assenza di un titolo di permanenza del richiedente protezione nelle strutture di cui all’art. 4, comma 1, del Protocollo e all’art. 3, comma 4, della Legge di ratifica.
Il giudizio di convalida dei trattenimenti è uno strumento di garanzia, necessaria per principio costituzionale, dello status libertatis, che deve, quindi, essere riacquisito in caso di non convalida.
Le prescrizioni del Protocollo, fra cui l’art. 4, comma 3, e l’art. 6, comma 5, secondo i quali, rispettivamente, «Nel caso in cui venga meno, per qualsiasi cansa, il titolo della permanenza nelle strutture, la Parte italiana trasferisce immediatamente i migranti fuori dal territorio albanese» e «Le competenti autorità italiane adottano le misure necessarie al fine di assicurare la permanenza dei migranti all’interno delle Aree, impedendo la loro uscita non autorizzata nel territorio della Repubblica d’Albania, sia durante il perfezionamento delle procedure amministrative che al termine delle stesse, indipendentemente dall’esito finale», comportano che in caso di non convalida del trattenimento e di mancanza del titolo di permanenza nelle strutture albanesi, come nel presente caso, lo status libertatis può essere riacquisito soltanto per il tramite delle Autorità italiane e fuori del territorio dello Stato albanese, delineandosi di conseguenza, in assenza di alternative giuridicamente ammissibili, il diritto del richiedente protezione a riacquisire lo stato di libertà personale mediante conduzione in Italia.
P.Q.M.
non convalida il trattenimento.
Roma, 18/10/2024
Il giudice
Antonella Di Tullio