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Gerusalemme non è la capitale di Israele! Rai condannata

Tribunale Roma, Sentenza del 20/11/2024

Il Tribunale di Roma, con la sentenza del 20 novembre 2024, ha stabilito che la Rai deve trasmettere una rettifica ufficiale per chiarire che Gerusalemme non è riconosciuta come capitale di Israele dal diritto internazionale.

La decisione è nata da una controversia legata a una puntata del quiz televisivo "L'Eredità", andata in onda il 21 maggio 2020, durante la quale il conduttore Flavio Insinna aveva corretto una concorrente che aveva risposto Tel Aviv alla domanda su quale fosse la capitale di Israele, indicandola come Gerusalemme.

Questa correzione aveva portato l'Associazione Palestinesi in Italia e l'Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese a intentare causa contro la Rai, sostenendo che l'informazione diffusa fosse falsa e contraria a quanto stabilito dal diritto internazionale. Secondo il nostro ordinamento e quello internazionale, Gerusalemme non è considerata la capitale di Israele, e la maggior parte delle ambasciate, compresa quella italiana, si trova a Tel Aviv.

Il conduttore, il 5 giugno 2020, aveva tentato di rettificare affermando che esistono "posizioni diverse" riguardo allo status di Gerusalemme, ma il Tribunale ha ritenuto insufficiente questa precisazione, poiché non rispecchia la posizione ufficiale dell'Italia e delle Nazioni Unite. La Rai è stata quindi condannata a trasmettere una rettifica esplicita, dichiarando che Gerusalemme non è la capitale di Israele e non è riconosciuta come tale dal diritto internazionale.

Il Tribunale ha, inoltre, rigettato la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali avanzata dalle associazioni attrici, poiché non erano stati forniti elementi sufficienti a dimostrare il pregiudizio subito. Le spese di lite sono state compensate parzialmente tra le parti.

Questa sentenza ribadisce l'importanza di fornire una corretta informazione in ambito pubblico, specialmente quando si tratta di questioni politiche e diplomatiche sensibili come quella dello status di Gerusalemme. Secondo il diritto internazionale e la posizione ufficiale dell'ONU, Gerusalemme ha uno status speciale e non è riconosciuta come capitale di Israele.

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Tribunale di Roma, sentenza 20 novembre 2024

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

Le Associazioni attrici hanno convenuto in giudizio la Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.a. per sentire accogliere le seguenti conclusioni: “Piaccia al Tribunale ill.mo, contrariis rejectis: 1) Accertare la scorrettezza delle informazioni date nelle edizioni del 21.05.20 e del 05.06.20, del programma L’Eredità in ordine allo status giuridico di Gerusalemme non essendo tale città riconosciuta dal nostro ordinamento e dal diritto internazionale quale capitale di Israele. 2) Condannare la convenuta a dare atto della non correttezza delle informazioni di cui sopra, nonché a dichiarare nel medesimo programma televisivo ovvero in altro programma con analoga tipologia di utenza ed analoga fascia oraria, che Gerusalemme non è la capitale di Israele e non è riconosciuta come tale dal diritto internazionale. 3) Condannare la convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali arrecati alle attrici dalla scorretta informazione RAI, nella misura equitativamente determinata dal Giudice ill.mo. 4) Con vittoria delle spese di lite.

Esponevano che nell’edizione del 21.05.2020 de “L’Eredità”, nel corso del gioco avente ad oggetto le capitali degli stati, il conduttore chiedeva alla concorrente

“Simona” quale fosse la capitale di Israele. La concorrente rispondeva “Tel

Aviv”, risposta che veniva corretta dal conduttore in “Gerusalemme”. La concorrente è stata costretta a rettificare la risposta ed ha proseguito con il gioco su altre capitali. Dal momento che ad ogni risposta sbagliata il quiz prevede che il concorrente ripeta tutte le risposte dall’inizio, la concorrente ha dovuto ripetere quattro volte che la capitale di Israele era Gerusalemme. 

A seguito di una lettera inviata alla Rai dall’ambasciata dello Stato di Palestina in Italia, il conduttore del programma, in apertura dell’edizione del 05.06.2020, tornava sull’argomento pronunciando le seguenti parole: “Prima di cominciare la puntata, a nome della Rai e a nome di tutti noi del programma, desidero fare una precisazione: con migliaia di domande che prepariamo per ogni edizione de L’Eredità, ci si può ritrovare involontariamente al centro di una controversia che chiama in causa vicende sulle quali non spetta certo ad un gioco come il nostro intervenire. È successo il 21 maggio scorso, il quiz prevedeva la seguente domanda: qual è la capitale di Israele, il concorrente ha risposto Tel Aviv, la nostra schermata con le risposte, Gerusalemme. Sulla questione però esistono posizioni diverse. Alla luce di ciò riteniamo di non dover entrare, noi che non ne abbiamo titolo, in una disputa così delicata, e ci scusiamo per averla involontariamente evocata. E per questo, ai fini del gioco, consideriamo nulla questa domanda. Grazie. Ci tenevamo davvero a fare questa precisazione

In data 10.06.2020 l’Associazione palestinesi in Italia (API) inviava alla Rai formale richiesta di rettifica, con ampi richiami al diritto internazionale. Con successiva PEC del 23.06.2020, veniva inoltrata ulteriore diffida dall’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (ABSPP) e da API, nella quale, si estendeva la richiesta di rettifica anche a quanto dichiarato dal conduttore in apertura della trasmissione del 05.06.2020. In assenza di riscontro, le associazioni promuovevano ricorso ex art. 700 c.p.c., nel quale chiedevano al Giudice di accertare la scorrettezza di quanto dichiarato nelle citate trasmissioni televisive, ordinando al programma di rettificare quanto dichiarato. Gli attori sostenevano che la questione “Gerusalemme capitale” non poteva ritenersi controversa, in quanto soggetta ad uno status giuridico speciale, e che fosse illegalmente occupata da Israele. Si costituiva nel giudizio cautelare la Rai e con ordinanza del 05.08.2020 il Tribunale di Roma accoglieva il ricorso promosso dalle odierne attrici. L’ordinanza veniva reclamata dalla Rai. Le associazioni attrici resistevano al reclamo e con ordinanza del 25.09.2020 il Tribunale di Roma accoglieva il reclamo.

Si costituiva in giudizio la Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.a., chiedendo il rigetto delle domande attoree e, in via immediata nel rito, di disporre il differimento della data della prima udienza di comparizione al fine di consentire la chiamata in giudizio della terza Banijay Italia S.p.A., nonché nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande formulate dalle attrici, dichiarare Banijay Italia S.p.A. tenuta a manlevare e tenere integralmente indenne Rai di tutte le somme che quest’ultima dovesse essere costretta a pagare alle attrici in virtù di sentenza di condanna e, per l'effetto, condannare Banijay Italia

S.p.A. al pagamento di tutte dette somme, oltre interessi e spese sostenute e da sostenere, ivi comprese le spese, i compensi del presente giudizio. Nel merito la convenuta sosteneva la piena liceità della sua condotta e che l’azione avversaria fosse volta ad ottenere da Rai la rettifica di una notizia vera, ossia che la questione dello status di Gerusalemme è oggetto di una delicata disputa internazionale. Assumeva che la richiesta avversaria si collocava al di fuori del perimetro legislativo entro il quale è possibile richiedere ed ottenere la rettifica di notizie contrarie a verità nel settore dei servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici ai sensi dell’art. 35, comma 2, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi, secondo cui presupposto per l’esercizio del diritto di rettifica rispetto a quanto trasmesso da una trasmissione televisiva è che i contenuti diffusi siano contrari alla verità e che la rettifica indirizzata ai fornitori di servizi di media audiovisivi è volta all’accertamento della oggettiva difformità dell’informazione diffusa dall’emittente rispetto alla verità oggettiva.  

Autorizzata la chiamata in causa di terzo con ordinanza del 12.04.2022, si costituiva in giudizio Banijay Italia S.p.A. che chiedeva il rigetto delle domande attoree, insistendo sulla circostanza che la richiesta delle attrici contrastava con la normativa in tema di rettifica in ambito radio-televisivo. Sulla domanda subordinata formulata da Rai, volta a far valere la manleva prevista nel contratto concluso dalla stessa con la Rai, evidenziava di aver adempiuto alle proprie obbligazioni derivanti dal suddetto contratto in maniera puntuale e precisa, ciò anche con riferimento alla fase di predisposizione delle domande per la quale asseriva di aver utilizzato fonti bibliografiche di primaria importanza. Sosteneva, altresì, di essersi offerta di curare in modo proattivo e celere la questione, predisponendo il testo di comunicazione all’ambasciatrice palestinese e che la Rai, tuttavia, riteneva di gestire detto adempimento, così come quello relativo alla precisazione da fornire “in onda”, in via autonoma scegliendo la strada di considerare la risposta data nel programma “nulla” e non, come invece richiesto dalle associazioni attrici, “errata” nel qual caso Rai avrebbe evitato il contenzioso, pur dovendo provvedere ad effettuare una rettifica e che, alla luce di tutto ciò, appariva evidente come Banijay non potesse essere ritenuta in alcun modo inadempiente ai propri obblighi contrattuali e, pertanto, responsabile di alcun danno.

***

Le associazioni attrici,  in base ai rispettivi atti costitutivi e statuti depositati in giudizio, hanno tra i loro scopi quello di diffondere una corretta informazione dell’opinione pubblica italiana sulla natura della questione palestinese. Infatti, le stesse perseguono in modo diretto ed esplicito interessi fondamentali riferibili ad una determinata e identificabile collettività, non indistinta, e perciò sono legittimate ad agire per la tutela di detti interessi. 

Nel caso di specie trova applicazione l’art. 32 quinquies, comma 2, del d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, in quanto i fatti e la domanda attorea sono anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 208 che ha oggi sostituito il suddetto decreto. Tale norma stabilisce che “Chiunque si ritenga leso nei suoi interessi morali, quali in particolare l'onore e la reputazione, o materiali da trasmissioni contrarie a verità ha diritto di chiedere al fornitore di servizi di media audiovisivi lineari, incluse la concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, all'emittente radiofonica ovvero alle persone da loro delegate al controllo della trasmissione, che sia trasmessa apposita rettifica, purché' questa ultima non abbia contenuto che possa dar luogo a responsabilità penali”.

Come correttamente ricordato dalla convenuta Rai, la normativa applicabile al caso in esame presenta margini assai meno ampi rispetto all’istituto corrispondente previsto dall’art. 8 della Legge n. 47 del 1948, riguardante la rettifica di notizie diffuse con la stampa o strumenti ad essa equiparati. Infatti, per chiedere la rettifica ai sensi dell’art. 8 della L. n. 47 del 1948 è sufficiente che i fatti attribuiti agli interessati siano dagli stessi “ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità”, mentre per la rettifica indirizzata ai fornitori di servizi di media audiovisivi la normativa pone la contrarietà al vero della notizia come requisito non alternativo, bensì necessario per il sorgere del diritto. Dunque, l’istanza di rettifica deve sostanziarsi in una richiesta di correzione di una notizia inesatta che l’istante ritiene lesiva dei propri interessi. 

Ciò è altresì confermato anche dalle delibere dell’AGCOM, secondo cui “presupposto per l’esercizio del diritto di rettifica rispetto a quanto trasmesso su qualunque servizio di media audiovisivo è la falsità della notizia da rettificare, ossia la mancata corrispondenza nell’esposizione dei fatti tra il narrato e il realmente accaduto” (v. Delibera n. 172/20/CONS).

Nel settore dei servizi audiovisivi, la rettifica è comunicata direttamente dall’emittente, la quale, rivolgendosi ai propri telespettatori, corregge una falsa informazione; è evidente che si può pretendere dall’emittente il riconoscimento di un errore in quanto sia possibile accertare, oggettivamente, che una effettiva deviazione dalla verità sia occorsa.

I fatti sono pacifici tra le parti: nel corso della puntata del quiz televisivo

“L’Eredità” del 21.05.2020, alla domanda sulla capitale di Israele la risposta “Tel Aviv” veniva corretta dal conduttore, il quale affermava che la risposta esatta fosse “Gerusalemme”; in questa occasione veniva data per certa l’informazione che Gerusalemme fosse la capitale di Israele e la concorrente, in virtù delle regole del gioco, veniva costretta a ripetere quattro volte che la capitale di Israele fosse Gerusalemme. Nella puntata del 05.06.2020 il conduttore ritornava su quanto accaduto nella puntata del 21 maggio, affermando che sulla questione relativa alla capitale di Israele “esistonoposizioni diverse” e che alla luce di ciò “abbiamo ritenuto di non entrare noi che non abbiamo titolo, in una disputa così delicata, e ci scusiamo per averla involontariamente evocata, e per questo ai fini del gioco consideriamo nulla questa domanda”. 

E’ pacifico che l’informazione diffusa nella prima occasione del 21.05.2020, secondo cui Gerusalemme sarebbe la capitale di Israele sia oggettivamente falsa. La vicenda dello status giuridico speciale di Gerusalemme, infatti, è nota, come è altrettanto noto che il nostro ordinamento giuridico e l’ordinamento internazionale non hanno mai riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele. Per il nostro ordinamento ciò è espressamente dichiarato sul sito del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, che delinea con precisione i contorni della vicenda, ove, infatti, si legge che “Lo Stato di Israele ha stabilito che Gerusalemme è la propria capitale. La decisione non è riconosciuta dall'Italia che, come la maggior parte dei Paesi, ha la propria Ambasciata in Tel Aviv”. Al di là delle posizioni che possono essere assunte da governanti di altri paesi, è lo Stato italiano a non riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, come dimostra la circostanza che l’ambasciata italiana si trovi a Tel Aviv, così come le ambasciate della quasi totalità degli stati del mondo.

Sul piano dell’ordinamento internazionale, l’Assemblea Generale Onu, il Consiglio di Sicurezza Onu e la Corte Internazionale di Giustizia hanno ripetutamente escluso la sovranità di Israele sulla città di Gerusalemme e condannato ogni tentativo da parte dello Stato di Israele di modificare lo status giuridico di Gerusalemme. Numerosissime sono le Risoluzioni Onu al riguardo, a partire dalla Risoluzione n. 181 del 1947 che, ripartendo la Palestina in una parte ebraica e in una araba, attribuiva alla città di Gerusalemme uno status speciale di diritto internazionale, ancora oggi riconosciuto (exmultis, a titolo esemplificativo, le Risoluzioni nn. 242/67, 252/1968, 267/1969, 476/1980, 478/1980, ES-10/15 del

2004, 67/19 del 4.12.2012 e 2334 2016, alcune delle quali adottate all’unanimità dagli stati). È fatto notorio che il 21 dicembre 2017 l’Italia abbia votato a favore, insieme ad altri 127 stati, della Risoluzione 72/40 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che rifiutava la decisione degli Usa di riconoscere Gerusalemme come capitale d'Israele. 

In ordine al valore giuridico delle Risoluzioni dell’Onu, si rammenta che l’adesione all’Onu impone degli obblighi giuridici a tutti i suoi stati membri, inclusa l’Italia che vi fa parte avendo aderito dal 1955 alla Carta istitutiva dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e ratificato la sua adesione con la Legge 17 agosto 1957, n. 848. 

Il valore vincolante per tutti gli stati membri delle Risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza è esplicitamente affermato dall’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, il cui testo è il seguente: “I Membri delle Nazioni Unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità del presente Statuto”. Peraltro, le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, oltre che ai diretti destinatari, si impongono a tutti gli Stati membri dell’Organizzazione che sono obbligati a non riconoscere le situazioni di fatto che nascono dalla violazione degli obblighi internazionali.

Anche le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in quanto espressione, come nei casi in esame, di un’ampia maggioranza degli Stati membri della comunità internazionale, assumono valore giuridico venendo a costituire elementi di consuetudini internazionali, data in particolare la loro attitudine a fornire il punto di vista soggettivo (opinio juris ac necessitatis) espresso da tale ampia maggioranza. Al contrario, secondo il diritto internazionale, la violazione delle prescrizioni dell’Onu, anche se reiterata, non può portare alla formazione di un diritto consuetudinario di segno contrario. 

Pertanto, le Risoluzioni Onu, tanto più ove espresse con il voto favorevole dello Stato italiano, costituiscono diritto internazionale convenzionale direttamente applicabile, in forza della legge di ratifica, all’interno del nostro ordinamento, in virtù degli artt. 11 e 117, co. 1, della Costituzione, oltre che essere considerate più in generale vere e proprie fonti del diritto internazionale consuetudinario, parimenti applicabili in modo diretto nel nostro ordinamento, in virtù dell’art. 10, co. 1, della Costituzione, il c.d. “trasformatore permanente”. 

Alla luce di ciò, deve ritenersi che anche la notizia diffusa dall’emittente nella puntata del 05.06.2020 realizzi un’informazione oggettivamente falsa. Dire, infatti, che sulla questione relativa alla capitale di Israele “esistono posizioni diverse” o che sussiste “una disputa così delicata” significa fornire nuovamente al pubblico un’informazione contraria a quanto stabilito dal nostro ordinamento giuridico e dall’ordinamento internazionale. Infatti, sia per il nostro ordinamento interno che per quello internazionale la questione non è affatto controversa, bensì è pacifico che la capitale di Israele non sia Gerusalemme. Pertanto, la presentazione della questione come oggetto di pura e semplice “disputa”, senza tener conto della posizione assunta dallo Stato italiano e dall’ONU non integra un’efficace rettifica da parte dell’emittente, poiché non restituisce l’informazione corretta al pubblico. Dire che quello che è stato stabilito dal diritto internazionale e dal nostro ordinamento sia controverso è oggettivamente falso. 

La questione della qualificazione di Gerusalemme è una questione identitaria molto forte che coinvolge direttamente le parti attrici, in quanto la vicenda dello status di Gerusalemme rappresenta un nodo importantissimo, cruciale e dolente nella storia del popolo palestinese e in ciò si sostanzia la necessità di diffondere una corretta informazione sulla questione, in quanto connaturale all’identità del soggetto collettivo che le associazioni attrici rappresentano. 

La domanda di rettifica proposta dalle parti attrici deve, pertanto, essere accolta. La domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali non può, invece, essere accolta in quanto formulata e svolta in termini estremamente generici. Infatti, in punto di danno patrimoniale le parti attrici si sono limitate a dedurre ripercussioni negative assolutamente generiche, nulla producendo però a sostegno di quanto affermato. Parimenti nulla hanno dedotto in relazione al danno non patrimoniale, rispetto al quale si rammenta che “Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza” (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato dal danneggiato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento". La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita dalla Corte di cassazione con le sentenze gemelle n. 8827 e n. 8828 del 2003.

Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato deve tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto, allegazione che nel caso di specie è completamente mancata. Infatti, per quanto attiene alla prova del danno, le SS.UU.  (v. Cass SSUU n.26972 del 2008 cit. e SSUU n. 3677 del 2009) hanno ammesso che essa possa fornirsi anche per presunzioni semplici, fermo restando però l'onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto da cui desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio, anche in caso si chieda il risarcimento del danno morale. Elementi che nel caso di specie non sono stati in alcun modo forniti.

Non si dispone, quindi, di alcun criterio offerto dalle attrici, come sarebbe stato loro preciso onere, per procedere ad una liquidazione, seppur equitativa, dei danni lamentati.

Considerato l’accoglimento parziale delle domande attoree, le spese di lite sono compensate nella misura della metà nei confronti della Rai e liquidate come da dispositivo.

Le spese di lite devono essere integralmente compensate con la terza chiamata.

P.Q.M.

Il Tribunale:

  • condanna la RAI radiotelevisione italiana a trasmettere nel corso della prossima puntata del programma “L’Eredità”ovvero in altro programma con analoga tipologia di utenza ed analoga fascia oraria una rettifica, espressamente riferita a quanto accaduto nel corso delle puntate del 21 maggio 2020 e del 5 giugno 2020, dando atto della scorrettezza delle informazioni ivi fornite e contenente la dichiarazione che “Gerusalemme non è la capitale di Israele e non è riconosciuta come tale dal diritto internazionale”;
  • rigetta la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nei confronti della convenuta e della terza chiamata; 
  • compensa nella misura della metà le spese di lite tra le parti attrici e la convenuta  RAI - RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. e condanna la convenuta RAI al pagamento del residuo in favore delle parti attrici che liquida in € 5.000,00 per compensi (a compensazione già avvenuta) ed € 264,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A.;
  • dichiara le spese di lite integralmente compensate con la terza chiamata.

 Così deciso in Roma, il 20 novembre 2024            

La giudice
Silvia Albano

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