Il potere attribuito al legittimario, in favore del quale il testatore abbia disposto un legato tacitativo, di conseguire la parte dei beni ereditari spettantegli ex lege, anziché conservare il legato, postula l’assolvimento dì un onere, consistente nella rinuncia al legato, che, integrando gli estremi di una condizione dell ‘azione, può essere assolto fino al momento della decisione.
Cassazione civile, sez. II, 4 agosto 2017, ord. n. 19646
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione notificato il 19/12/1990, P. E., premesso che: il coniuge V. F. era deceduto in data 31/12/1980; dal matrimonio non erano nati figli; con testamento olografo il V. aveva lasciato tutti i suoi beni ai nipoti ex fratre (V. P., A., P. e A.) e l’usufrutto, nonché il denaro ovunque depositato, ad essa istante; le disposizioni testamentarie in favore degli eredi erano illegittime, in quanto eccedenti la quota disponibile; vani erano stati i tentativi volti a reintegrare la sua quota di legittima; tanto premesso, citava in giudizio gli eredi testamentari per ottenere, previa riduzione delle disposizioni lesive, l’assegnazione dei beni relitti in proporzione della propria quota ereditaria.
Si costituivano in giudizio i convenuti per resistere alla domanda.
Con sentenza depositata il 29/5/2006 il Tribunale di Catanzaro rigettava la domanda attrice per mancanza di una formale rinuncia al legato in sostituzione di legittima. Avverso detta sentenza proponeva appello la P., cui subentrava in corso di causa il fratello P. V..
La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 21.2.2013, ha rigettato il gravame sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni: in tema di legato in sostituzione di legittima, il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell’art. 551 ce. un legato avente ad oggetto un bene immobile, qualora intenda conseguire la legittima, deve rinunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350, primo comma, n. 5, ce; la mancanza della rinunzia al legato in sostituzione di legittima, da parte del legittimario che agisce in riduzione ai sensi dell’ art. 564 ce, è rilevabile di ufficio, senza necessità di eccezione della controparte; tanto dalle missive inviate nelle date del 21/6/1983 e del 9/3/1989 agli eredi testamentari quanto dall’atto di citazione non emergeva, come invece ritenuto dall’appellante, la volontà della legataria di rinunciare al diritto di usufrutto su tutti i beni immobili lasciati in eredità ai nipoti e di ottenere, in luogo del legato, la quota di legittima spettante per legge; la rinuncia al legato sostitutivo della legittima non poteva desumersi dalla sola dichiarazione di rifiutare le disposizioni testamentarie in quanto lesive dei diritti del
legittimario, non potendosi negare a priori a siffatta dichiarazione il significato proprio di una riserva di chiedere soltanto l’integrazione della legittima, ferma restando l’attribuzione del legato; l’appellante non poteva dolersi del fatto che il giudice di prime cure avesse completamente omesso di considerare la formale dichiarazione di rinuncia al legato effettuata in corso di causa (precisamente, all’udienza di discussione della causa innanzi al collegio del 18/1/2006), posto che la rinuncia si appalesava tardiva; atteggiandosi la formale rinuncia al legato in sostituzione di legittima come un presupposto dell’azione di riduzione (dovendo avvenire previamente o, quanto meno, contestualmente alla domanda di riduzione; in forma scritta ad substantiam, in caso di legato di immobili, ed anche mediante dichiarazione informale o per facta concludentia, per tutti gli altri legati), bene aveva fatto il primo giudice a non riconoscere alcuna valenza alla rinuncia espressa in corso di causa.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P. V., sulla base di due motivi. V. P., V. A., V. P. e V. A. non hanno svolto difese.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 649, co. 3, e 551, co. 1, ce, in ordine alle modalità di dichiarazione della volontà di rinuncia al legato in sostituzione di legittima, e degli artt. 1324, 1350 e 1362 ce, in tema di interpretazione degli atti negoziali unilaterali (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c), per aver la corte territoriale escluso che l’originaria attrice avesse validamente esercitato, prima e durante il giudizio, la facoltà di rinuncia, nonostante non avesse chiesto agli onerati di farle conseguire il possesso dei beni in oggetto, non avesse trascritto l’accettazione del legato, non avesse esercitato l’usufrutto sui beni ereditari ed i convenuti non fossero comparsi per rendere l’interrogatorio formale finalizzato a provare la propria rinuncia all’usufrutto subito dopo la pubblicazione del testamento. 2.1. Il motivo è inammissibile.
Le Sezioni Unite, ponendo fine ad un contrasto di orientamenti (Sez. 2, Sentenza n. 4287 del 15/05/1997; Sez. 2, Sentenza n. 5142 del 23/08/1986; Sez. 2, Sentenza n. 5893 del 13/11/1979), hanno statuito che, in tema di legato in sostituzione di legittima, il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell’art. 551 ce un legato avente ad oggetto un bene immobile, qualora intenda conseguire la legittima, deve rinunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350, primo comma, n. 5 ce, risolvendosi la rinuncia in un atto dismissivo della proprietà di beni già acquisiti al suo patrimonio; infatti, l’automaticità dell’acquisto non è esclusa dalla facoltà alternativa attribuita al legittimario di rinunciare al legato e chiedere la quota di legittima, tale possibilità dimostrando soltanto che l’acquisto del legato a tacitazione della legittima è sottoposto alla condizione risolutiva costituita dalla rinuncia del beneficiario, che, qualora riguardi immobili, è soggetta alla forma scritta, richiesta dalla esigenza fondamentale della certezza dei trasferimenti immobiliari (Sez. U, Sentenza n. 7098 del 29/03/2011).
Il legato in sostituzione di legittima, previsto dall’art. 551 ce, è, quindi, una disposizione a titolo particolare sottoposta a condizione risolutiva, nel senso che l’eventuale rinuncia determina il venir meno della sostituzione e consente al legittimario di reclamare la quota di riserva spettantegli per legge sui beni ereditari (Sez. 2, Sentenza n. 16252 del 27/06/2013).
Poiché il legato si acquista senza bisogno di accettazione, la semplice acquisizione, da parte del legittimario, dell’oggetto del legato in sostituzione della legittima non implica automatica manifestazione della sua preferenza per il legato, con conseguente perdita della facoltà di conseguire la legittima; allo stesso modo, la proposizione dell’azione di riduzione non costituisce manifestazione chiara ed inequivoca della volontà di rinunciare al legato, essendo ipotizzabile un residuo duplice intento di conservare il legato e di conseguire la legittima (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 26955 del 11/11/2008; Sez. 2, Sentenza n. 5779 del 15/03/2006).
La rinuncia al legato in sostituzione di legittima, che abbia per oggetto beni immobili, deve essere fatta, ripetesi, con atto scritto, sotto pena di nullità (Sez. 2, Sentenza n. 1261 del 02/02/1995).
In quest’ottica, non può trovare applicazione, nella fattispecie in esame, il principio invocato dal ricorrente (cfr. pag. 20 del ricorso), secondo cui, in tema di prova per presunzioni, è viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi (cfr., da ultimo, Sez. 6-5, Ordinanza n. 5374 del 02/03/2017).
Orbene, la corte d’appello, facendo corretta applicazione delle regole su riportate, ha ritenuto (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), con valutazione non sottoposta a censura, che dalle missive datate 21.6.1983 e 9 (recte,6) .3.1989 (inviate agli eredi testamentari) e dall’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio non si potesse desumere la volontà della legataria di rinunciare al legato in sostituzione di legittima.
Invero, il ricorrente non ha formulato doglianze sul piano motivazionale, non denunciando, tra l’altro, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (quali le ulteriori missive del 21.10.1981, del 20.11.1981, dell’1.4.1989 e di quella indirizzata ai due tecnici di parte – cfr. pag. 31 del ricorso -, l’interrogatorio libero reso dall’allora attrice P. Emilia e le dichiarazioni della medesima riportate nel verbale di udienza dell’8.2.2006 – cfr. pagg. 25-36 del ricorso -), essendosi limitato a sostenere che la corte territoriale sarebbe incorsa in violazione di norme di legge.
L’interpretazione del contratto (così come di un atto negoziale unilaterale; cfr. Sez. 3, Sentenza n. 27168 del 19/12/2006), traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c, per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c, nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012 (ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame), oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016).
Tuttavia, a ben vedere, fermo restando che il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé (con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati), che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015), l’odierno ricorrente non censura il mancato rispetto dei canoni legali di ermeneutica.
D’altra parte, quando in sede di legittimità venga denunziata la violazione delle regole interpretative, è necessaria la specifica dimostrazione del modo in cui il ragionamento seguito dal giudice di merito abbia deviato dalle regole stabilite nell’art. 1362 ce. (con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato), essendo insufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole (Sez. 3, Sentenza n. 12936 del 04/06/2007), come, invece, avvenuto nel caso di specie.
In quest’ottica, si sarebbero potute sollevare solo sul piano della eventuale violazione del n. 5) dell’art. 360 (e non già del n. 3) le censure mosse a due passaggi logici dell’ iter argomentativo posto alla base della decisione impugnata, secondo cui:
a) tanto dalle missive inviate nelle date del 21/6/1983 e del 9/3/1989 agli eredi testamentari quanto dall’atto di citazione non sarebbe emersa, come invece ritenuto dall’appellante, la volontà della legataria di rinunciare al diritto di usufrutto su tutti i beni immobili lasciati in eredità ai nipoti e di ottenere, in luogo del legato, la quota di legittima spettante per legge;
b) la rinuncia al legato 5 sostitutivo della legittima non si sarebbe potuta desumere dalla sola dichiarazione di rifiutare le disposizioni testamentarie in quanto lesive dei diritti del legittimario, non potendosi negare a priori a siffatta dichiarazione il significato proprio di una riserva di chiedere soltanto l’integrazione della legittima, ferma restando l’attribuzione del legato.
Da ultimo, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione, come nel caso di specie, di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 551, co. 1, 649, 650, 2938 e 2969 ce. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) e la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c), per aver la corte territoriale considerato tardiva la rinuncia al legato operata all’udienza / collegiale del 18.1.2006, nonostante si fosse in presenza di una condizione di decidibilità della causa nel merito, come tale da valutarsi con riguardo al momento della sentenza che/ l’accerta.
2.1. Il motivo è, per quanto di ragione, fondato.
Sono affette da violazione di legge le affermazioni contenute nella sentenza impugnata a tenore delle quali: l’appellante non poteva dolersi del fatto che il giudice di prime cure avesse completamente omesso di considerare la formale dichiarazione di rinuncia al legato effettuata in corso di causa (precisamente all’udienza di discussione della causa innanzi al collegio del 18/1/2006), posto che la rinuncia si appalesava tardiva; atteggiandosi la formale rinuncia al legato in sostituzione di legittima come un presupposto dell’azione di riduzione (dovendo avvenire previamente o, quanto meno, contestualmente alla domanda di riduzione; in forma scritta ad substantiam, in caso di legato di immobili ed anche mediante dichiarazione informale o per facta concludentia, per tutti gli altri legati), bene aveva fatto il primo giudice a non riconoscere alcuna valenza alla rinuncia espressa in corso di causa. Apparentemente, avuto riguardo alla questione del dies ad quem per l’esercizio della facoltà di rinunciare al legato in sostituzione di legittima, vi sono due orientamenti. Secondo il primo, il potere attribuito al legittimario, in favore del quale il testatore abbia disposto un legato tacitativo, di conseguire la parte dei beni ereditari spettantegli ex lege anziché conservare il legato – potere configurabile non come diritto autonomo, ma come facoltà compresa nel diritto di agire per ottenere la legittima attraverso l’azione di riduzione spettante al soggetto incluso nella categoria dei legittimari ex art. 536 ce. – postula l’assolvimento di un onere, consistente nella rinuncia al legato, che si rende necessario in ragione del fatto che il legato si acquista ipso iure e che, nel legato di specie, l’effetto traslativo dal testatore al beneficiario si verifica al momento stesso della morte del primo, onde, essendo i due benefici ex lege alternativi ed essendo l’oggetto del legato già entrato nel patrimonio del beneficiario, questi, per conseguire la legittima, deve, previamente o quanto meno contestualmente alla domanda di riduzione, dismettere il legato (Sez. 2, Sentenza n. 13785 del 22/07/2004).
Di questo stesso avviso sembrerebbero altre due pronunce della Suprema Corte (Sez. 2, Sentenza n. 9262 del 10/06/2003; conf. Sez. 2, Sentenza n. 10605 del 07/05/2013), a mente delle quali, in tema di rinunzia al legato di beni immobili, per il quale è prevista ai sensi dell’art. 1350 ce la forma scritta ad substantiam, la volontà di dismettere il diritto, che ha natura meramente abdicativa, può essere dichiarata anche con l’atto di citazione – per sua natura di atto ricettizio con effetti anche sostanziali – che, provenendo dalla parte che con il rilascio della procura a margine o in calce ne ha fatto proprio il contenuto, soddisfa anche il requisito della sottoscrizione, sicché l’atto risponde al requisito di forma di cui all’art. 1350 ce, in relazione al quale non assume alcun rilievo la trascrizione dell’atto, che ha soltanto la funzione di rendere l’atto opponibile ai terzi.
Un altro indirizzo ritiene, invece, che, qualora l’azione di riduzione sia stata esercitata dal legatario entro il termine decennale di prescrizione, decorrente dalla data di apertura dalla successione, la rinuncia attuativa del potere di scelta possa essere sempre esercitata dal legatario stesso ove non sia intervenuta decadenza e l’assolvimento dell’onere della rinunzia al legato, costituente condizione dell’azione di riduzione (e non presupposto processuale), deve essere accertato con riguardo al momento della decisione e non a quello della proposizione della domanda (Sez. 2, Sentenza n. 459 del 26/01/1990).
Tuttavia, a ben vedere, non si è al cospetto di un contrasto di orientamenti. In particolare, non può invocarsi in senso contrario Sez. 2, Sentenza n. 13785 del 22/07/2004, citata, perché, se è vero che tale pronuncia, in un passaggio incidentale, ha sostenuto che il beneficiario, per conseguire la legittima, deve, previamente “o quanto meno contestualmente alla domanda di riduzione”, dismettere il legato, è altrettanto vero che la stessa ha, con ancora più vigore, affermato che “l’esercizio della scelta imposto dall’art. 551 ce. e la tempestiva opzione per la successione legittima si pongono come condizioni per l’esperimento dell’azione di reclamo della legittima”.
A sua volta, Sez. 2, Sentenza n. 9262 del 10/06/2003, dopo aver considerato principio indiscutibile che la rinunzia al legato in sostituzione di legittima, che abbia per oggetto beni immobili, debba essere fatta con atto scritto, sotto pena di nullità, si è limitata ad affermare che “non si ravvisano ragioni convincenti per escludere tale idoneità ad un atto di citazione sottoscritto da coloro che intendevano compiere la rinuncia”, senza escludere la possibilità che quest’ultima venga formalizzata anche nel corso del giudizio.
Non è revocabile in dubbio che nel caso di specie si sia al cospetto di una condizione dell’azione e non di un presupposto processuale, nella quale ultima categoria vanno, invece, inquadrati l’interesse ad agire e la legitimatio ad causam (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 23/11/2007, n. 24434, Cassazione civile, sez. lav., 12/04/1985, n. 2435), Rappresenta un principio consolidato quello per cui la condizione dell’azione – quale deve ritenersi la rinuncia al legato in sostituzione di legittima – può intervenire, in quanto requisito di fondatezza della domanda, fino al momento della decisione (cfr., fra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 4703 del 03/03/2006, Sez. 3, Sentenza n. 17064 del 02/12/2002 e Sez. 1, Sentenza n. 8388 del 20/06/2000). In particolare, costituisce “condizione dell’azione” l’evento – fattuale o giuridico – che, quand’anche insussistente al momento della proposizione della domanda, consente al giudice di esaminare il merito della controversia se, al tempo della decisione, risulta essersi verificato.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, la corte locale avrebbe dovuto prendere in considerazione, al fine di valutare se la P. avesse rinunciato al legato in sostituzione di legittima, anche gli atti scritti posti in essere nel corso del giudizio e, in particolare, la rinuncia operata, a mezzo del suo procuratore speciale, all’udienza collegiale del 18.1.2006.
Ai sensi del primo comma dell’art. 384 c.p.c, va enunciato il seguente principio di diritto: «Il potere attribuito al legittimario, in favore del quale il testatore abbia disposto un legato tacitativo, di conseguire la parte dei beni ereditari spettantegli ex lege, anziché conservare il legato, postula l’assolvimento dì un onere, consistente nella rinuncia al legato, che, integrando gli estremi di una condizione dell ‘azione, può essere assolto fino al momento della decisione».
3. In definitiva, il ricorso è meritevole, per quanto di ragione, di accoglimento.
La sentenza va, pertanto, cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro, la quale si pronuncerà anche sulle spese del presente grado di giudizio.
P. Q. M.
La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 21 giugno 2017.
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