Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.12528 del 21/05/2018

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La notificazione della citazione introduttiva del giudizio di primo grado effettuata ad una persona già deceduta è giuridicamente inesistente, posto che la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita e si estingue con la morte; ne consegue l'insanabile nullità, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, delle sentenze pronunciate nel corso del processo nei confronti del soggetto deceduto prima dell'inizio dello stesso, estendendosi tali principi anche all'ipotesi in cui, in luogo di una persona fisica deceduta, sia stato evocato in giudizio un ente giuridico inesistente, come il collegio dei liquidatori del concordato preventivo, ben potendosi assimilare a tale ipotesi quella dell'evocazione in giudizio ovvero della proposizione della domanda da parte di un ente non più esistente. 

Lo scioglimento di associazione non riconosciuta che, al momento della relativa deliberazione, sia ancora titolare di rapporti giuridici pendenti, non comporta l'estinzione dell'associazione, che resta in vita finché detti rapporti non siano definiti, dovendo procedere alla definizione gli organi ordinari dell'associazione - i quali rimangono in carica a quel fine, eventualmente anche in regime di "prorogatio" , conservando il diritto di agire giudizialmente per la tutela dei diritti dell'associazione - attraverso una procedura che non è soggetta, neppure in via analogica, alla regolamentazione prevista dagli artt. da 11 a 21 delle disposizioni di attuazione del codice civile per la procedura di liquidazione delle associazioni riconosciute.

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Cassazione Civile Sez. II, Sentenza 21/05/2018 Num. 12528.

SENTENZA

RAGIONI IN FATTO

1. L'associazione riconosciuta XXX con citazione del 3/1/2006 conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la YYY S.r.l. affinché fosse condannata alla restituzione dell'azienda sita in Arona alla ZZZZ, costituita da locali adibiti a bar, ristorante, cucina, servizi, spogliatoio e magazzino, nonché da attrezzature esterne nautiche e per la balneazione, per effetto della risoluzione del contratto di cessione di azienda intervenuto tra le parti nel 1992, giusta sentenza del Tribunale di Verbania del 21/12/2001, confermata con sentenza della Corte d'Appello di Torino del 25/10/2004 passata in cosa giudicata. Si costituiva la convenuta che resisteva alla domanda ed in via riconvenzionale chiedeva il rimborso delle spese sostenute per il ripristino dell'azienda, per un importo di C 380.025,45. Nel corso del giudizio interveniva anche la KKKK S.r.l.

Il Tribunale con sentenza n. 15442/2009 accoglieva la domanda di restituzione dell'azienda, con esclusione di alcune limitate aree, nonché quella riconvenzionale, limitatamente all'importo di C 82.984,30, ordinando lo svincolo delle somme depositate presso il custode giudiziario che era stato nominato all'esito della procedura di sequestro giudiziario intentata ante causam, ed avente ad oggetto i beni aziendali.

A seguito di appello principale della società e di appello incidentale della associazione, la Corte d'Appello di Milano con la sentenza n. 643 del 17 febbraio 2014, rigettava entrambi i gravami.

In primo luogo esaminava la deduzione di parte appellante, la quale in sede di discussione orale aveva evidenziato che l'associazione riconosciuta XXXXX, si era estinta già a far data dal 15/12/1995, segnalando altresì che tra i componenti dell'associazione non risultava esservi colui che aveva sottoscritto il mandato alle liti, dichiarando di agire quale presidente dell'associazione stessa.

Sosteneva quindi che la costituzione in appello della controparte era inammissibile, e che pertanto il sottoscrittore della procura alle liti andava condannato in solido con l'associazione al rimborso delle somme spese.

Osservava la sentenza gravata che vi era in atti un verbale di assemblea dell'associazione del 24/9/2005 con la quale i componenti dell'associazione non riconosciuta avevano eletto il nuovo consiglio direttivo, nominando presidente proprio colui che aveva conferito il mandato per la proposizione del giudizio. Ad avviso dei giudici di appello, doveva reputarsi che per le associazioni non riconosciute, come è appunto quella appellata, vale il principio secondo cui le stesse sopravvivono fin quando siano pendenti rapporti giuridici dei quali le stesse siano titolari, con la conseguenza che nonostante la formale dichiarazione di scioglimento, ben potevano gli organi dell'associazione continuare ad agire al fine di assicurare la definizione dei rapporti pendenti.

Inoltre, doveva ritenersi che l'associazione non si era sciolta e, come era legittimata a resistere al gravame della società, del pari era legittimata a promuovere appello incidentale. Sempre in limine litis riteneva che tra la domanda principale dell'associazione di restituzione del complesso aziendale, e quella di rimborso delle spese sostenute dalla società sussisteva un nesso di comunanza che giustificava l'applicazione dell'art. 36 c.p.c., con la possibilità del simultaneus processus.

Quanto all'appello principale, che investiva la quantificazione delle somme dovute a titolo di rimborso alla società, la sentenza rilevava la consulenza tecnica aveva permesso di accertare quali fossero state le somme effettivamente spese dall'appellante principale a seguito degli eventi atmosferici del 2000 e del 2004, e per le quali era stata effettivamente avanzata domanda, al fine di assicurare la restituzione dell'azienda in conformità della descrizione fattane nella scrittura privata dell'11/3/1992.

Correttamente il Tribunale attenendosi alle indicazioni del CTU, aveva escluso le somme relative ad interventi effettuati prima dei citati eventi atmosferici, nonché quelle non documentate da fatture quietanzate.

Quanto, invece alle somme oggetto delle fatture emesse nei confronti della ZZZZZZ, che l'associazione riteneva che fossero state erroneamente incluse tra quelle da corrispondere alla società, la decisione gravata rilevava che si trattava del rimborso di lavori effettuati dalla società interventrice, ma su espresso mandato della TMC, e quindi certamente non senza contropartita.

Infine disattendeva il motivo di appello concernente le spese di lite, ritenendo corretta la compensazione operata dal giudice di prime cure, atteso il reciproco accoglimento delle domande avanzate.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la TMC S.r.l. sulla base di tre motivi.

Il xxXXX ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

L'altra intimata non ha svolto difese in questa sede. La YYY ha resistito con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell'udienza.

RAGIONI IN DIRITTO

 

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 29 e 30 c.c., e degli artt. 11, 12, 13 e 20 disp. att. c.c. aisensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.

Rileva la ricorrente che la Corte d'Appello avrebbe erroneamente affermato che l'associazione riconosciuta Club Velico Basso Verbano, con la quale era stato in origine concluso il contratto di cessione di azienda, nonostante fosse stata cancellata dal registro delle persone giuridiche, avesse continuato ad esistere come associazione non riconosciuta.

Trattasi di assunto che contrasta con le norme indicate in rubrica, le quali denotano come per le associazioni riconosciute il legislatore abbia previsto un'apposita disciplina, che è ritenuta non estensibile alle associazioni non riconosciute, dovendosi quindi escludere che una volta intervenuta la cancellazione dell'associazione riconosciuta, la stessa possa rivivere, trasformarsi ovvero prorogare la sua esistenza nelle forme dell'associazione non riconosciuta.

In ogni caso, una volta intrapresa la procedura di liquidazione, la nomina dei soggetti abilitati ad agire per la persona giuridica compete al solo Tribunale ex art. 12 disp. att. c.c., con la conseguenza che non era possibile per l'assemblea provvedere alla nomina di un nuovo Presidente nella persona di colui che aveva poi sottoscritto il mandato alle liti.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. sull'interpretazione della domanda dell'appellante nonché in merito al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Si sottolinea che l'intento della TMC era quello di recuperare l'importo integrale di tutte le spese sostenute per lavori e forniture in favore del complesso aziendale, e non solo di quelle derivanti dagli eventi atmosferici del 2000 e del 2004 che avevano gravemente danneggiato l'azienda.

In tal senso nel presente giudizio la società aveva inteso richiedere anche il rimborso di quelle spese che non era stato possibile dedurre nel corso del giudizio di risoluzione della cessione d'azienda, sicchè aver limitato la condanna al solo rimborso delle spese sostenute a seguito degli eventi sopra indicati, è frutto di un'erronea interpretazione della domanda attorea ed in ogni caso determina una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1150 e 936 c.c. in ordine al diritto del possessore al rimborso per riparazioni straordinarie ed all'indennizzo per i miglioramenti e le addizioni, nonché degli artt. 2033, 2040 e 2041 c.c. e dell'art. 112 c.p.c., in ordine al potere-dovere del giudice di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire il nomen iuris al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

Si sostiene che la Corte d'Appello avendo confermato la quantificazione dei rimborsi spettanti alla convenuta come operata dal Tribunale ha negato il diritto al rimborso anche per l'acquisto di mobili e di suppellettili avvenuto prima degli eventi atmosferici, in tal modo contravvenendo all'ampiezza del diritto che l'art. 1150 c.c. riconosce al possessore.

Ma anche laddove si fosse ritenuta inapplicabile la disciplina in materia di possesso, il diritto della ricorrente troverebbe il fondamento nelle norme in tema di arricchimento senza causa e di ripetizione dell'indebito, ben potendosi quindi far rientrare la pretesa azionata in tale diverso ambito disciplinare.

1.2 Con un primo motivo di ricorso incidentale l'associazione deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 c.p.c. e 1152 c.c. laddove i giudici di appello hanno ritenuto sussistere i presupposti per la proposizione della domanda riconvenzionale, pur in assenza del requisito di dipendenza di tale domanda da quella principale.

Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1150 c.c. in quanto la domanda di rimborso non era consentita dalla norma de qua ciò sia perché la società, avendo proposto domanda di risoluzione della cessione di azienda non aveva più la qualità di possessore di buona fede, sia perché, ancor più a monte, non era più possessore del bene, quantomeno a far data dalla pronuncia di risoluzione in primo grado, adottata dal Tribunale di Verbania in data 21/12/2001.

Il terzo motivo enuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2710 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in quanto la domanda riconvenzionale andava comunque disattesa per assenza di prova, non essendo a tal fine sufficiente la produzione delle fatture, ed avendo lo stesso CTU dato atto che non era in grado di poter riscontrare quali fossero i danni effettivamente subiti dal complesso aziendale a seguito dei più volte richiamati eventi atmosferici.

Il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 c.p.c. e 2697 c.c., quanto all'accoglimento della domanda di rimborso delle somme oggetto delle fatture emesse in favore della Immobiliare Groane, mancando qualsiasi prova in merito al fatto che le somme siano state poi effettivamente rimborsate da TMC all'intestataria delle fatture.

2. Ritiene il Collegio che rivesta portata assolutamente pregiudiziale ed assorbente la disamina del primo motivo del ricorso principale.

La Corte d'appello, a fronte della deduzione della società appellante secondo cui l'associazione riconosciuta con la quale era stato concluso l'originario contratto di cessione di azienda, successivamente risolto, si era estinta, a seguito di formale provvedimento di estinzione e successiva cancellazione dal registro delle persone giuridiche avvenuta in data 15/12/1995, ha affermato che l'attrice in realtà non si era estinta e non poteva estinguersi perlomeno fin quando fossero rimasti pendenti dei rapporti giuridici imputabili all'associazione, risultando quindi legittimata ad agire ovvero a resistere in giudizio per la tutela delle situazioni giuridiche non ancora oggetto di definizione.

A tal fine occorreva altresì rilevare che in data 24/9/2005 l'assemblea dell'associazione aveva nominato come presidente pro tempore Conelli Carlo Alberto, che era proprio colui che aveva poi rilasciato il mandato alle liti per la proposizione della domanda di sequestro giudiziario che aveva preceduto il presente giudizio. Ad avviso del Collegio il ragionamento dei giudici di merito non è condivisibile, in quanto è evidentemente minato dall'erronea considerazione della possibilità di ritenere che un'associazione riconosciuta, sebbene cancellata dal registro delle persone giuridiche, possa comunque sopravvivere nella diversa veste di associazione non riconosciuta, e ciò fin quando non risultino definiti tutti i rapporti giuridici pendenti.

Deve a tal fine richiamarsi la costante opinione di questa Corte, la quale ha affermato che (cfr. Cass. n. 9656/1992) lo scioglimento di associazione non riconosciuta che, al momento della relativa deliberazione, sia ancora titolare di rapporti giuridici pendenti, non comporta l'estinzione dell'associazione, che resta in vita finché detti rapporti non siano definiti, dovendo procedere alla definizione gli organi ordinari dell'associazione - i quali rimangono in carica a quel fine, eventualmente anche in regime di "prorogatio" , conservando il diritto di agire giudizialmente per la tutela dei diritti dell'associazione - attraverso una procedura che non è soggetta, neppure in via analogica, alla regolamentazione prevista dagli artt. da 11 a 21 delle disposizioni di attuazione del codice civile per la procedura di liquidazione delle associazioni riconosciute ( conf. Cass. n. 5925/1987).

Ad avviso della giurisprudenza risulta quindi netta, sulla scorta delle stesse scelte del legislatore, la differenza di disciplina che opera per l'estinzione delle associazioni riconosciute rispetto a quelle che non lo sono, atteso che per le prime il legislatore ha dettato un apposito procedimento liquidatorio che ha inizio, secondo la disciplina applicabile ratione temporis (la cancellazione sarebbe stata pronunciata in data 15/12/1995 e quindi prima delle modifiche apportate dal DPR n. 361/2000) con la dichiarazione di estinzione della persona giuridica da parte dell'autorità governativa (art. 27 c.c.) cui segue la materiale procedura di liquidazione (art. 30 c.c.) da condurre secondo le previsioni di cui agli artt. 11 e ss. disp. att. c.c.

Intervenuta la nomina di uno o più commissari liquidatori (art. 11 disp. att.) a cura del Presidente del Tribunale competente per territorio, e procedutosi agli adempimenti liquidativi di cui agli artt. da 12 a 19 delle disp. att. c.c., l'art. 20 delle stesse disposizioni di attuazione prevede che alla chiusura della liquidazione, il Presidente del Tribunale ordini la cancellazione dal registro delle persone giuridiche, con provvedimento annotato d'ufficio a cura della cancelleria.

La sentenza gravata, pur dando per pacifica l'avvenuta cancellazione dal registro delle persone giuridiche (che appunto presuppone l'esaurimento delle formalità di liquidazione del patrimonio e dei rapporti facenti capo all'associazione), ha ritenuto che l'associazione cancellata potesse sopravvivere nelle diverse forme dell'associazione non riconosciuta, sol perché sussistevano dei rapporti giuridici pendenti, in tal modo applicando di fatto alle associazioni riconosciute i principi che invece sono stati ritenuti propri delle associazioni prive di personalità giuridica, ed in evidente contrasto con quanto affermato da questa Corte circa la non estensibilità della disciplina prevista per le prime alle seconde e viceversa, ma soprattutto trascurando il dato emergente dalla stessa volontà del legislatore di determinare il venir meno della persona giuridica con l'adozione del provvedimento di cancellazione Ad avviso della Corte, per le associazioni riconosciute deve ritenersi che l'estinzione sia ricollegata all'avvenuta adozione del provvedimento di cancellazione ed alla sua annotazione nell'apposito registro, analogamente a quanto disposto dal legislatore per le società in relazione al provvedimento di cancellazione dal registro delle imprese (rispondendo quindi entrambe le soluzioni legislative alla volontà di ancorare la certezza del venir meno delle vicende dell'associazione e della società alla formale adozione di un provvedimento sottoposto a pubblicità, da ritenersi avere efficacia costitutiva).

Non ignora la Corte che secondo parte della dottrina dovrebbe estendersi anche alle associazioni riconosciute il principio della sopravvivenza in attesa della definizione dei rapporti pendenti, ma appare maggiormente condivisibile la prevalente opinione contraria, che, oltre ad assicurare un'omogeneità di disciplina tra le società e le associazioni in questione, in presenza per entrambe della previsione di un formale provvedimento di cancellazione, trova conforto anche nella lettera della legge, laddove l'art. 31 u.c. c.c. prevede che i creditori che non hanno fatto valere il loro credito durante la liquidazione possono chiedere il pagamento a coloro ai quali i beni sono stati devoluti, entro un anno dalla chiusura della liquidazione, ed in proporzione e nei limiti di ciò che hanno ricevuto.

La norma, che riproduce un fenomeno lato sensu successorio, del tutto assimilabile a quello che è stato delineato per l'ipotesi di estinzione della società (cfr. Cass. S.U. n. 6070/2013) risulta evidentemente incompatibile con la diversa tesi della sopravvivenza della associazione in attesa della definizione dei rapporti pendenti, posto che a ragionare a favore della sopravvivenza, ove residuassero delle ragioni di credito, i creditori dovrebbero continuare ad indirizzare le loro richieste nei confronti dell'associazione.

Ne deriva che se l'associazione originaria contraente è stata cancellata dal registro delle persone giuridiche, come non contestato da parte della stessa controricorrente (cfr. le difese spese dinanzi alla Corte d'Appello, nelle quali affermava che, seppur cancellata aveva continuato ad esistere come associazione non riconosciuta), è erronea l'affermazione secondo cui la stessa potrebbe continuare ad operare nella diversa veste di associazione non riconosciuta, essendo a tal fine necessario dare vita ad una nuova associazione, attesa l'evidente differenza giuridica che esiste tra le due fattispecie ovvero, dimostrare la preesistenza di un'omonima associazione non riconosciuta che abbia incorporato quella riconosciuta.

In tal senso si veda quanto affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 19114/2014) secondo cui anche nel caso in cui avvenga l'incorporazione di un'associazione o comitato non riconosciuti in un'associazione o comitato riconosciuti si determina la successione dell'incorporante nei rapporti giuridici dell'incorporato, che si estingue (conf. Cass. n. 6985/2003, che affermando che le associazioni non riconosciute, pur non essendo persone giuridiche, sono autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, l'eventuale l'incorporazione di un comitato non riconosciuto in un comitato riconosciuto non crea una situazione di liquidazione del primo ma una ipotesi di successione a questi del nuovo comitato, con la conseguenza che nei rapporti giuridici del comitato incorporato subentra il comitato incorporante, mentre il comitato inglobato si estingue).

Ne deriva quindi che risalendo l'estinzione dell'associazione riconosciuta al 1995, anche laddove si voglia ritenere, ma di ciò non è stata fornita prova alcuna in atti, che sia stata creata un'associazione non riconosciuta avente la stessa denominazione, ovvero che la prima sia stata incorporata nella seconda, tenuto conto della data di introduzione del presente giudizio, la domanda andava proposta dal soggetto successore e non già da quello ormai estinto, e lo stesso è a dirsi quanto alla domanda riconvenzionale che non poteva evidentemente essere indirizzata nei confronti di un soggetto giuridico non più esistente.

Dalla conclusione secondo cui alla data di introduzione del giudizio l'associazione che aveva concluso il contratto non era più esistente, derivano poi ulteriori conseguenze.

In primo luogo va ricordato che secondo i precedenti di questa Corte, e proprio con specifico riferimento alle associazioni (cfr.

Cass. n. 20252/2015) la proposizione della domanda da parte di un'associazione, in quel caso, non riconosciuta già estinta, è improponibile, poiché l'inesistenza del ricorrente è rilevabile anche d'ufficio e nel giudizio legittimità la sentenza di merito impugnata (nella specie, di rigetto dell'appello del contribuente) va cassata senza rinvio ai sensi dell'art. 382, comma 3, secondo periodo, c.p.c.

Infatti, si è più volte ribadito che (cfr. Cass. n. 14360/2013) la notificazione della citazione introduttiva del giudizio di primo grado effettuata ad una persona già deceduta ( ovvero da una persona del pari già deceduta) è giuridicamente inesistente, posto che la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita e si estingue con la morte; ne consegue l'insanabile nullità, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, delle sentenze pronunciate nel corso del processo nei confronti del soggetto deceduto prima dell'inizio dello stesso (conf. Cass. n. 11688/2001), estendendosi tali principi anche all'ipotesi in cui, in luogo di una persona fisica deceduta, sia stato evocato in giudizio (cfr. Cass. n. 17060/2007) un ente giuridico inesistente, come il collegio dei liquidatori del concordato preventivo, ben potendosi assimilare a tale ipotesi quella dell'evocazione in giudizio ovvero della proposizione della domanda da parte di un ente non più esistente.

In tal caso, come già sopra ricordato, l'accertamento in sede di legittimità della nullità scaturente dalla introduzione della lite da e nei confronti di un soggetto inesistente, comporta la cassazione della sentenza senza rinvio, attesa la radicale inidoneità dell'atto all'instaurazione del giudizio e l'inapplicabilità del principio della conversione della nullità della sentenza in motivo di gravame ( conf. Cass. n. 8344/2004, per cui l'accertamento, in sede di legittimità, della nullità della citazione in primo grado, per errata identificazione del soggetto passivo della "vocatio in ius", comporta la Cassazione senza rinvio della sentenza d'appello, ai sensi dell'art. 382, comma terzo, cod. proc. civ., atteso che detta nullità realizza un'ipotesi di processo che non poteva essere proseguito).

La giuridica inesistenza della citazione introduttiva del giudizio si estende per le medesime ragioni anche alla domanda riconvenzionale proposta da parte della società in quanto indirizzata a sua volta nei confronti di un'associazione ormai non esistente, dovendosi per l'effetto disporre la cassazione della sentenza senza rinvio, in quanto entrambe le domande non potevano essere proposte.

Atteso il tenore della decisione conseguente all'accoglimento del primo motivo del ricorso principale, gli altri motivi del ricorso principale ed incidentale sono evidentemente assorbiti.

3. Atteso l'esito del giudizio, sussistono i presupposti per disporre l'integrale compensazione delle spese dell'intero giudizio.

PQM

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, ed assorbiti i restanti motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata senza rinvio perché la causa non poteva essere proposta;

Compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio del 5 aprile 2018.
 

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