Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23718 del 01/10/2018

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IntestazioneLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14859/2012 R.G. proposto da:

Il Girasole srl, in persona dell’A.U. sig.ra B.A., con l’avv. Michele Costa e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, alla via Bassano del Grappa, n. 24;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il Veneto, Sezione staccata di Verona, – Sez. 15 n. 124/15/11 depositata in data 24/10/2011 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17 luglio 2018 dal Cons. Dott. Marcello M. Fracanzani.

RILEVATO

che la contribuente impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Ufficio ne aveva rideterminato il reddito per l’anno 2003, lamentandone l’illegittimità per essere basato sul processo verbale della G.d.F. redatto a seguito di rinvenimento nella privata dimora della socia-legale rappresentante di una contabilità parallela, consistente in ricevute di pagamento quota asilo d’infanzia non riportate poi sulla contabilità generale;

che, nel particolare, la contribuente contestava la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, per aver proceduto i militari ad ispezionare la privata dimora della socia-legale rappresentante in assenza della prescritta autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, da rendersi sulla base di gravi indizi di violazione delle norme tributarie;

che resistevà l’Ufficio, evidenziando come l’abitazione della socia e legale rappresentante – sig.ra B.A. – coincidesse con la sede legale della soc. Il Girasole srl e luogo di esercizio dell’attività di asilo di infanzia (in *****), deducendo quindi la legittimità dell’accesso, peraltro svolto previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica;

che la CTP accoglieva la domanda della contribuente, annullava gli atti impositivi, ritenendo illegittima l’autorizzazione all’accesso sui luoghi, perchè sfornita delle puntuali motivazioni in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di violazione delle norme tributarie che debbono sostenere tali provvedimenti quando riguardano non solo i luoghi dove l’impresa si svolge, ma anche l’abitazione del contribuente;

che appellava l’Ufficio, insistendo per la legittimità dell’ispezione, in ragione della coincidenza tra abitazione e luogo di impresa, cui segue la legittimità dell’accertamento fondato sulla documentazione acquisita, rammendo come non ci sia nel processo tributario una disposizione analoga a quanto previsto per il processo penale, che vieta l’importazione di prove irritualmente acquisite, vigendo il contrario principio per cui l’Amministrazione finanziaria può porre a base dell’accertamento i dati e le notizie “comunque raccolti o portati a sua conoscenza”;

che la CTR accoglieva le ragioni dell’Ufficio sulla validità dell’ispezione e, quindi, dell’accertamento, rivedendo unicamente alcuni profili quantitativi della ripresa a tassazione, in ragione del concreto periodo di attività della contribuente;

che insorge la contribuente, affidandosi a due motivi di gravame;

che replica con puntuale controricorso l’Avvocatura dello Stato;

che viene segnalata la pendenza avanti questa Corte di giudizio relativo ad analoga sentenza – ma di segno opposto – resa inter partes, avente ad oggetto il medesimo accertamento e relativa solo a diverso periodo di imposta;

che tale giudizio è allibrato al r.g. n. 4040/2014 e che può essere riunito al presente giudizio in ragione della connessione soggettiva e, parzialmente, oggettiva, soprattutto per quanto riguarda l’unica attività di ispezione, verifica e accertamento, che costituisce il profilo per cui è causa nei due giudizi;

che in prossimità dell’udienza parte contribuente ha depositato memoria, contestando la ritualità della notifica del controricorso, indirizzato ad altro legale, pur nel corretto domicilio.

CONSIDERATO

che con il primo motivo si contesta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o insufficiente motivazione;

che, nello specifico, il motivo contesta la legittimità dell’autorizzazione ad accedere nei luoghi di impresa e nell’abitazione della titolare, sul falso presupposto della loro coincidenza, censurando la motivazione della gravata sentenza per non aver spiegato come e perchè ha ritenuto la coincidenza tra sede legale dell’impresa e appartamento della legale rappresentante;

che il motivo è infondato e va disatteso;

che a pag. 3 della sentenza in esame, il giudice di merito ricava il proprio convincimento dall’interrogazione dell’anagrafe tributaria e ritiene non dirimente la documentazione prodotta dalla contribuente nel secondo grado del giudizio, tesa a dimostrare mediante la perizia di un architetto – la netta separazione fra abitazione della sig.ra B. e la sede della srl;

che tale motivazione, nella sua concisione, non dimostra quelle mancanze che consentono l’intervento del giudice di legittimità;

che, questa Corte è intervenuta sul punto di autorizzazione del P.M. ad accedere sui luoghi, ritenendo non necessaria l’allegazione dei gravi indizi di violazione di legge tributaria, quando l’abitazione sia promiscua al luogo d’impresa e precisando che deve intendersi promiscua anche l’abitazione dove sia agevolmente possibile trasferire la documentazione contabile (cfr. Cass. n. 2868/2013, n. 7723/2018);

che tale principio ha ben governato la sentenza gravata e che la censura non ha fondamento;

che, con il secondo motivo di doglianza, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,comma 1, lett. d) e comma 2 e dell’art. 2729 c.c., sempre in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

che, nella sostanza, si contesta l’utilizzabilità dei documenti rinvenuti in ispezione e la loro mancata sufficienza per concretare un accertamento;

che il motivo è infondato e va disatteso, ove non si consideri un’inammissibile richiesta di rivalutazione del merito;

che, infatti, la sentenza gravata motiva sul tenore dell’art. 39 citato in ordine all’utilizzo di documenti “comunque” rinvenuti, con riferimento anche alla giurisprudenza di questa Corte, e sul profilo della durata e volume dell’attività imprenditoriale svolge puntuale argomentazione nel terzultimo paragrafo della motivazione, che rimane dell’alveo sottratto al sindacato di questa Corte;

che, pertanto, il ricorso è infondato e la sentenza impugnata va confermata in tutti i suoi capi, sia quello relativo alla legittimità dell’accertamento, sia quello relativo alla quantificazione del volume d’affari;

che la medesima unicità di ispezione e verifica ha dato scaturigine ad altro contenzioso, per i medesimi tributi, ma relativo agli anni 2004 e 2005;

che, in tale circostanza, la CTR con sentenza n. 145/15/2012 ha accolto i motivi della contribuente;

che ha spiccato ricorso per Cassazione l’Amministrazione erariale, affidandosi a tre motivi di ricorso;

che appare assorbente il secondo motivo di ricorso, ove si lamenta carenza di motivazione in parametro all’art. 360, comma 1, n. 5, per aver attribuito rilevanza decisiva alla certificazione dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Lazise, rilasciata in data 2 novembre 2012, depositata in atti del processo e riprodotta -ai fini dell’autosufficienza del motivo – nel ricorso per cassazione, ove l’Amministrazione comunale attesta che nel corso del 2011 sono state assegnate all’abitazione della sig.ra B. il civico ***** e all’immobile dove insiste l’asilo n. ***** della stessa via, ma che nulla attesta sullo stato dei luoghi precedenti, specie al momento dell’accesso della Polizia Tributaria, avvenuto cinque anni prima della predetta ristrutturazione;

che nel relativo PVC, parimenti riprodotto ai fini di assolvere l’onere di autosufficienza del motivo, l’abitazione della legale rappresentante – in allora allibrata allo stesso numero civico – era indicata dai militari come “adiacente” all’asilo;

che trattasi della questione controversa dell’intera vicenda e punto essenziale al fine del decidere, anche ai fini di valutare l’applicabilità – da parte del giudice di merito – degli insegnamenti di codesta Corte in ordine alla non necessità della preventiva, specificamente motivata, autorizzazione del P.M. quando vi sia promiscuità o contiguità fra locali di impresa ed abitazione privata, da misurarsi sull’attitudine all’agevole trasferimento di documenti (cfr. Cass. n. 2868/2013, n. 7723/2018);

che il motivo è quindi fondato e merita accoglimento;

che può ritenersi assorbito il primo motivo, attinente alla violazione di legge delle norme procedimentali dell’accertamento sintetico induttivo;

che può essere assorbito anche il terzo motivo, riproduttivo del secondo, ma in parametro al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1;

che in ragione della motivazione attinta dal secondo motivo di ricorso è superata l’eccezione di rito sollevata dalla contribuente in sede di memoria circa l’asserito deposito di documenti non presenti nei precedenti gradi di giudizio;

che, in definitiva, il ricorso r.g. n. 4040/2014 merita accoglimento nei limiti del motivo accolto, la sentenza dev’essere cassata e, non essendovi ulteriori accertamenti residui, il giudizio può essere definito nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente;

che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

Riunisce la causa sub rg. N. 4040/2014 al presente giudizio; rigetta il ricorso della contribuente, accoglie il ricorso dell’agenzia delle entrate; cassa la sentenza n. 145/15/12 e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

Condanna la contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro cinquemila oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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