Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23768 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20263/2013 proposto da:

C.T.P. – COMPAGNIA TRASPORTI PUBBLICI S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO TERRACCIANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.M.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 578/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/03/2013 R.G.N. 8541/2009;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’appello di Napoli accogliendo il ricorso proposto da S.M.G. ha dichiarato il diritto del lavoratore a fruire di un giorno ulteriore di permesso retribuito annuo, alla stregua degli accordi interconfederali in materia, dichiarando illegittima l’unilaterale riduzione operata dall’azienda ed ha condannato la società datrice, CTP s.p.a. al pagamento in suo favore della somma di Euro 202,80 oltre svalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione del diritto al saldo.

2. La Corte territoriale disattesa l’eccezione di prescrizione a causa della sua genericità; ritenuto che la presupposizione si colloca sul piano dell’interpretazione del contratto e deve essere valutata al suo interno, ha ripercorso il quadro normativo che ha disciplinato la materia delle festività soppresse (L. n. 54 del 1977) e gli accordi interconfederali intervenuti successivamente – con i quali sono stati riconosciuti nel settore delle aziende municipalizzate due giorni di ferie e, complessivamente, cinque giorni di permesso retribuito (accordi del 27.7.1978, 14.11.1978 e 27.2.1979) – ed ha sottolineato che nella premessa del primo degli accordi, ripetuta in quello del 1979, si dava atto delle ragioni che avevano determinato il legislatore a sopprimere le festività civili e religiose infrasettimanali – connesse alla necessità di rimuovere le incidenze negative sulla produttività aziendale – e si sottolineava, però, che tali finalità non erano compatibili con l’esigenza di assicurare la più completa funzionalità dei servizi nei giorni già festivi. In sostanza, ha rilevato che le parti collettive avevano inteso ricercare una soluzione che nel tenere presente quanto disposto dalla L. n. 54 del 1977, consentisse di contenere i costi di esercizio nelle giornate già considerate festive. Tanto attraverso l’organizzazione dei servizi, la loro frequenza ed intensità, l’avvicendamento e l’utilizzazione del personale fino alla dispensa per l’intera giornata di servizio riconoscendo, così, due giorni di ferie e quattro giorni di permesso retribuito cui se ne aggiungeva un quinto in relazione a determinati gruppi di personale. Ad avviso del giudice di appello tale complessivo iter rivelava che i permessi ed i giorni di ferie erano stati riconosciuti non tanto, e soltanto, per effetto della intervenuta soppressione per legge di festività religiose e civili infrasettimanali, quanto, piuttosto, per conciliare le opposte esigenze di accordare degli ulteriori giorni di riposo con i costi dell’esercizio anche attraverso la delimitazione dei gruppi di personale ai quali accordare il beneficio. Tanto basta ad avviso del giudice di appello a far escludere l’accoglibilità della tesi datoriale fondata, se non sull’esistenza di una presupposizione, quanto meno sull’automatismo derivante dalla reviviscenza nel 2001 della festività del due giugno che avrebbe autorizzato il datore di lavoro a ridurre unilateralmente il numero di festività disciplinate dagli accordi. Sarebbe risultata dimostrata l’inapplicabilità della ratio e delle finalità della L. n. 54 del 1977, al settore dei trasporti. Quanto alla possibilità di modificare unilateralmente gli accordi conclusi tra le parti collettive la Corte di appello ha sottolineato in ogni caso che parti contraenti sono le associazioni sindacali e non i singoli lavoratori e datori di lavoro aderenti, destinatari delle disposizioni collettive di tal che nulla si può desumere dal comportamento da loro tenuto per interpretare la volontà delle parti stipulanti. Per l’effetto la Corte, pur tralasciando la genericità delle allegazioni svolte al riguardo, ha sottolineato che nessun elemento di valutazione è possibile trarre dall’ordine di servizio del 1986 di riduzione di un primo permesso in occasione del ripristino dell’Epifania potendolo considerare solo quale espressione di un inadempimento all’accordo stipulato. A ciò ha aggiunto che gli accordi pur disdettabili non sono mai stati di fatto disdettati neppure tacitamente. Inoltre la risoluzione non è intervenuta neppure per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione quale conseguenza del venir meno della presupposizione, eccezione mai tempestivamente sollevata.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre la CTP s.p.a. che articola due motivi. S.M.G. è rimasta intimata. Il procuratore Generale ha concluso per la reiezione del ricorso.

CONSIDERATO

Che:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e l’errata interpretazione, con grave vizio di motivazione, degli accordi interconfederali 27.7.1978 e 14.11.1978 del comparto ferroviario. In sostanza la società si duole dell’interpretazione data alle premesse dell’accordo interconfederale del 27 luglio 1978 che avrebbe portato la Corte territoriale all’errata conclusione che non esisterebbe una stretta correlazione tra le festività soppresse dalla L. n. 54 del 1977 e le giornate di ferie/permesso riconosciute con detto accordo.

5. Con il secondo motivo di ricorso poi è censurata la sentenza perchè, in violazione e falsa applicazione degli artt. 1325e 1418 c.c. e con omessa motivazione avrebbe omesso di esaminare l’eccezione, pur ritualmente formulata sin dalla memoria di costituzione in primo grado e reiterata in appello, relativa alla legittima riduzione unilaterale del giorno di permesso in relazione alla sopravvenuta reintroduzione della festività cui il permesso era causalmente connesso.

6. Le censure sono improcedibili a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

6.1. Come già accaduto in precedenti ricorsi decisi da questa Corte e relativi a controversie analoghe (cfr. tra le altre Cass. sez. 6-L 17/09/2014 n. 19514 e 04/01/2016 n. 13) nel ricorso per Cassazione non risultano depositati gli Accordi Interconfederali del Comparto autoferrotramviario del 27 agosto 1978 e del 14 novembre 1978, aventi natura privatistica, nè i contratti collettivi del 23 luglio del 1976 e del 12 marzo 1980 che si assumono depositati con il ricorso di primo grado. Nessuno di questi documenti è poi menzionato nell’elenco dei documenti prodotti, quale riportato in calce al ricorso. Non rileva che il CCNL possa trovarsi all’interno del fascicolo di parte dei giudizi di merito, se tale deposito non avvenga, con le necessarie specificazioni, nel termine previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 1 (Cass. n. 28547/2008).

6.2. L’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale.

6.3. Peraltro il ricorso si palesa altresì carente sotto il profilo della riproduzione del testo delle clausole contrattuali di cui si lamenta l’errata interpretazione non essendo lo stesso riprodotto nel ricorso nè essendo specificata esattamente la sede processuale nella quale tale contrattazione sarebbe stata depositata.

7. In conclusione, e per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile. La mancata costituzione della S., rimasta intimata esonera il Collegio dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

PQM

La Corte, dichiara improcedibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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