Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23769 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19947/2016 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO, 32, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ALLIEGRO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO DINOI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A.;

– intimata –

nonchè da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO CASULLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ORONZO MAZZOTTA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO, 32, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ALLIEGRO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO DINOI, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 612/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 29/06/2016 R.G.N. 218/2016;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

rilevato che:

la Corte d’appello di Firenze respingeva i reclami proposti (sia dal lavoratore che dal datore di lavoro) avverso la sentenza del locale Tribunale che, pronunciando in merito al licenziamento intimato da BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A. a B.S., ritenuto il recesso ingiustificato, in applicazione della tutela L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 5, dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la Banca al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata in 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

per la cassazione della sentenza B.S. ha proposto ricorso, affidato ai seguenti motivi:

con il primo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 2119 c.c., anche in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); la sentenza è censurata nella parte in cui ha ritenuto rispettato il principio di immediatezza della contestazione del 20.2.2012, pur trattandosi di condotte asseritamente commesse tra il 2004 ed il 2009; la sentenza avrebbe erroneamente fissato il momento di conoscenza al 2011;

con il secondo motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4); assume la nullità della sentenza per carenza di motivazione, avendo la Corte, da un lato, nel dispositivo, “integralmente” confermato la statuizione di primo grado e, dall’altro, nella motivazione, ritenuto errata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato la tardività della sanzione espulsiva;

con il terzo motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); assume che, in caso di mancato accoglimento del secondo motivo, dovendo ritenersi confermata la statuizione di primo grado in ogni sua parte e, dunque, anche in punto di affermata tardività della contestazione, andrebbe riconosciuta la tutela di cui della L. n. 300 del 1970, comma 4 (in luogo di quella del comma 6 ritenuta dalla decisione di primo grado astrattamente applicabile ma assorbita nella miglior tutela in concreto riconosciuta offerta dal comma 5 del medesimo articolo), trattandosi di “atipica perdita del potere di licenziare dovuta al trascorrere del tempo”;

con il quarto motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 2119 c.c., anche in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); censura la sentenza per aver ritenuto rispettato il principio di immediatezza in relazione al licenziamento irrogato ad agosto 2012 a fronte di una contestazione del febbraio 2012; deduce, altresì, l’omessa pronuncia sul motivo di reclamo che aveva ad oggetto anche la questione della tardività dell’irrogazione del licenziamento, in ragione del lasso intercorso tra la contestazione ed il recesso (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5);

con il quinto motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, ante riforma L. n. 92 del 2012 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), in relazione alla tardività della contestazione e del licenziamento; censura la sentenza nella parte in cui ha negato la tutela della L. n. 300 del 1970, art. 18, nella formulazione antecedente la novella del 2012; i giudici di merito, infatti, non avrebbero considerato la peculiarità della fattispecie (a cavallo tra le due discipline) per essere la contestazione del febbraio 2012, le giustificazioni del 2.3.2012 ed il licenziamento del 9.8.2012;

con il sesto motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); è censurata la sentenza per aver applicato la tutela di cui della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, nonostante la quasi totalità delle condotte contestate al lavoratore fossero state accertate come insussistenti;

ha resistito, con controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria, la Banca Monte dei Paschi di Siena;

con unico motivo, Banca Monte dei Raschi di Siena ha dedotto violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 cod.civ. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); ha censurato la statuizione di illegittimità del licenziamento e lamentato che la Corte di appello non avrebbe considerato tutte le circostanze emerse dalla escussione di ben 16 testimoni;

ha depositato controricorso il ricorrente principale.

considerato che:

in relazione al ricorso principale, per ragioni di ordine logico va anteposto lo scrutinio del secondo, quinto e terzo motivo; il secondo motivo è infondato;

non si pone, nella fattispecie, alcuna questione di violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

la sentenza è soggetta al regime stabilito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con L. n. 134 del 2012, per cui viene in rilievo solo l’anomalia motivazionale che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. sez. un. nr. 8053 del 2014);

nella specie, non è riscontrabile alcuna delle situazioni indicate e, neppure, la denunciata contraddizione: la statuizione di integrale conferma della decisione di primo grado è chiaramente riferita alla pronuncia conclusiva del giudizio di primo grado (di insussistenza della giusta causa di recesso, con applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 e condanna dell’istituto di credito al pagamento di 18 mensilità della retribuzione globale di fatto) condivisa dalla Corte di appello, sia pure all’esito di un percorso motivazionale parzialmente differente;

il quinto motivo è infondato;

al fine di individuare la legge regolatrice del rapporto quanto al sistema sanzionatorio, va fatto riferimento non al fatto generatore del suddetto rapporto nè alla contestazione degli addebiti, ma alla fattispecie negoziale del licenziamento (Cass. nr. 16265 del 2015);

nella specie, trova dunque applicazione ratione temporis della L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, avuto riguardo all’epoca di intimazione del licenziamento (9.8.2012);

di conseguenza, anche il terzo motivo è infondato; nel regime del nuovo art. 18 “(il) ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base del provvedimento di recesso” (id est il ritardo del licenziamento rispetto alla contestazione dell’addebito) comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità prevista dal comma 5 dello stesso art. 18, secondo l’interpretazione, qui condivisa, espressa dalle sezioni unite di questa Corte, con la pronuncia nr. 30985 del 2017;

dal rigetto dei motivi che precedono discende l’inammissibilità del primo e quarto motivo per difetto di interesse: dal loro accoglimento (tardività della contestazione e/o del licenziamento) non potrebbe conseguire, alla parte ricorrente, alcuna pratica utilità, avendo la sentenza impugnata già riconosciuto la tutela del comma 5;

in ogni caso, la Corte di appello, ai fini della valutazione della tardività o meno della contestazione e del licenziamento, ha fatto corretta applicazione del principio per cui la tempestività, la cui “ratio” riflette l’esigenza di osservanza della regola di buona fede e correttezza nell’attuazione dei rapporto di lavoro, deve essere intesa in senso relativo, potendo essere compatibile, in relazione al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, con un intervallo di tempo necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti contestati, così come per la valutazione delle giustificazioni fornite dal dipendente (ex plurimis, Cass. nr. 20121 del 2015; nr. 9903 del 2015; nr. 1247 del 2015; nr. 20823 del 2013; nr. 20719 del 2013); nella fattispecie, la conoscenza dei fatti conseguiva all’indagine ispettiva “aperta” nel 2011, sicchè “il tempo trascorso tra la contestazione disciplinare (febbraio 2012), le susseguenti giustificazioni del lavoratore (marzo 2012) e l’irrogazione della sanzione (agosto 2012) non (era) configurabile come indice di rinuncia all’esercizio del potere disciplinare, in considerazione tanto della complessità della struttura aziendale, quanto dell’esigenza di valutazione (ponderata) di una pluralità di addebiti”;

il sesto motivo è infondato;

come già chiarito da questa Corte, l’ipotesi normativa della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, comprende i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità ovvero le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia alcun rilievo disciplinare (ex plurimis, Cass. nr. 10019 del 2016);

nel caso che occupa, invece, la Corte di appello ha ritenuto sussistenti, nella loro materialità, alcuni dei fatti contestati e giudicato gli stessi rilevanti, in via astratta, sul piano disciplinare, in quanto condotte integranti violazioni di disposizioni aziendali;

tuttavia, in concreto, ha escluso l’idoneità dell’inadempimento a configurare giusta causa o giustificato motivo soggettivo e, dunque, ha escluso la proporzionalità tra licenziamento e condotta così come effettivamente realizzata (Cass. nr. 21017 del 2015); correttamente ha perciò applicato il sistema sanzionatorio della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, piuttosto che quello reintegratorio stabilito dal precedente comma 4;

è inammissibile il ricorso incidentale;

al di là della rubricazione formale, il motivo del ricorso incidentale si traduce nella richiesta di riesame dell’intero materiale probatorio e configura vizio di motivazione; tuttavia, seppure riqualificato, lo stesso non indica, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo del predetto art. 360 c.p.c., n. 5, il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053);

quanto alle spese, si giustifica, per la reciproca soccombenza, la compensazione delle stesse.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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