Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.23894 del 02/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7903/2014 proposto da:

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO GIAMMARIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.E., elettivamente domiciliato in ROMA, Viale delle Milizie 114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1030/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/03/2013, R.G.N. 8494/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento;

udito l’avvocato IOLANDA GENTILE, per delega verbale dell’avvocato FRANCESCO GIAMMARIA;

udito l’avvocato ANTONIO VALLEBONA.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 21 marzo 2013, ha confermato la pronuncia di primo grado che – per quanto qui ancora interessa – aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato il 20 luglio 2007 dalla Banca Nazionale del Lavoro Spa al dirigente D.E., condannando la società al pagamento dell’indennità supplementare prevista dalla disciplina collettiva in ragione di 15 mensilità.

La Corte territoriale, concordando con il primo giudice, ha rilevato che, con la lettera di licenziamento, la Banca si era limitata ad indicare come ragione “una profonda riorganizzazione e ristrutturazione che riguarda diversi settori e funzioni, compresa la struttura cui Ella appartiene e specificamente il Servizio cui Ella è addetto”; ha ritenuto che tali ragioni, anche considerando quelle comunicate successivamente alla lettera di licenziamento, fossero “del tutto generiche e prive di qualsiasi specifica indicazione, di talchè risulta del tutto impossibile accertarne la effettiva fondatezza”; richiamato la L. n. 604 del 1966, art. 3, nell’interpretazione giurisprudenziale secondo cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo impone al datore di lavoro di dimostrare “la concreta riferibilità del licenziamento individuale a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo” nonchè “l’impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale”, la Corte ha confermato la declaratoria di illegittimità del licenziamento “non avendo la B.N.L. provato (nè chiesto in maniera specifica di provare) alcunchè al riguardo”.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Banca Nazionale del Lavoro Spa con 4 motivi, cui ha resistito con controricorso D.E., eccependo preliminarmente l’improcedibilità e l’inammissibilità del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.

Con il primo mezzo si deduce “violazione a falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., e della L. n. 604 del 1966, artt. 1,2,3 e 10”, da parte della sentenza impugnata perchè, vertendosi pacificamente in tema di licenziamento del dirigente, al medesimo non poteva applicarsi la L. n. 604 del 1966, e, in particolare, si eccepisce che non vi è disposizione di legge che imponga di specificare, contestualmente o su richiesta del lavoratore, la motivazione del licenziamento del dirigente. Si argomenta poi che, “anche ove in base alla disciplina collettiva fosse imposto al datore di lavoro di specificare contestualmente le motivazioni del recesso del dirigente (e non è nemmeno questo il presente caso)”, la motivazione può essere integrata anche in sede giudiziaria ed il giudice deve valutare la sussistenza della giustificazione anche sulla base delle ulteriori allegazioni, cosa non accaduta nella specie, nonostante le richieste della B.N.L. sia in primo che in secondo grado.

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, lamentando che la Corte d’Appello non abbia esaminato le specifiche censure che in proposito erano state già mosse alla decisione di primo grado, così come le istanze istruttorie reiterate in grado d’appello.

Con il terzo motivo si denuncia “violazione a falsa applicazione degli artt. 2119 e 2697 c.c., della L. n. 604 del 1966, artt. 1,2, 3 e 10, e dell’art. 41 Cost.”.

Si censura la Corte territoriale per aver parametrato la valutazione della legittimità del licenziamento del dirigente D. ai criteri fissati per il diverso caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo dalla L. n. 604 del 1966, quando, ai sensi dell’art. 10 di detta legge, tale disciplina non è applicabile ai dirigenti; conseguentemente la Corte avrebbe errato ad esigere dalla Banca la prova sia della soppressione del posto di lavoro sia dell’impossibilità di repechage, non richiesta per il licenziamento del dirigente per il quale opera la diversa nozione di “giustificatezza” del recesso secondo la disciplina collettiva.

Con il quarto mezzo di gravame si denuncia ancora violazione dell’art. 112 c.p.c., ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perchè, nonostante nell’atto di appello la società avesse impugnato espressamente la sentenza di primo grado per aver fatto confusione “tra il giustificato motivo di licenziamento e la giustificatezza del licenziamento del dirigente”, la Corte di Appello non si è pronunciata sul punto.

2. Preliminarmente vanno respinte le eccezioni formulate dal controricorrente di improcedibilità e di inammissibilità del ricorso per cassazione.

Infatti i motivi di ricorso non sono fondati sulla interpretazione di una norma di un contratto collettivo nazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per cui non si pone una questione di deposito integrale del medesimo, nè tanto meno invocano una rivalutazione del merito della vicenda giudiziale, denunciando invece errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale.

3. Ciò posto, il primo ed il terzo motivo di ricorso sono fondati.

Invero, a mente della L. n. 604 del 1966, art. 10, “le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell’art. 2095 c.c..

Pertanto, per espressa esclusione normativa, l’art. 2, comma 2 (concernente la specificazione dei motivi del licenziamento) e l’art. 3 (concernente i presupposti di giustificazione soggettivi ed oggettivi del licenziamento) di detta legge non si applicano alla categoria dirigenziale.

La giurisprudenza di questa Corte, sulla scorta di Cass. SS.UU. n. 7880 del 2007, ha poi specificato che: “la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle L. n. 604 del 1966, e L. n. 300 del 1970, non è applicabile, ai sensi dell’art. 10, della prima delle leggi citate, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente” (Cass. n. 25145 del 2010).

Poichè il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui alla L. n. 604 del 1966, la nozione di “giustificatezza” posta dalla contrattazione collettiva al fine della legittimità del licenziamento non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dall’art. 3, della stessa legge. Ne consegue che, ai fini dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la suddetta “giustificatezza” non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe realmente negata ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa (in termini, Cass. n. 27197 del 2006).

Si è altresì statuito che “in caso di licenziamento del dirigente d’azienda per esigenze di ristrutturazione aziendali è esclusa la possibilità del repechage in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro” (Cass. n. 3175 del 2013).

Con la medesima sentenza ora citata si è altresì chiarito che, anche laddove la contrattazione collettiva applicabile al rapporto dirigenziale preveda la necessità di contestuale motivazione del recesso, ove la stessa non sia stata resa con il licenziamento (ovvero, risulti insufficiente o generica), il datore di lavoro può esplicitarla (od integrarla) nell’ambito del giudizio arbitrale, e, nell’ipotesi in cui il dirigente abbia scelto, in conformità al principio di alternatività delle tutele nelle controversie del lavoro, di adire direttamente il giudice ordinario, analoghe facoltà vanno riconosciute alla parte datoriale nell’ambito del processo, atteso che, diversamente, la posizione del datore di lavoro verrebbe ad essere compromessa per effetto di una autonoma ed insindacabile determinazione della controparte (cfr. Cass. n. 3175/13 cit.).

Pertanto ha errato in diritto la Corte territoriale la quale, pur dando per presupposta l’appartenenza del D. alla categoria dirigenziale (neanche contestata dal controricorrente), ha giudicato l’illegittimità del licenziamento sulla base di una disciplina legislativa non applicabile sia avuto riguardo alla motivazione del recesso che ai suoi presupposti giustificativi; l’errata individuazione del parametro normativo astratto nell’ambito del quale sussumere la fattispecie concreta rende conseguentemente viziato l’apprezzamento di fatto condotto dalla Corte di Appello in ordine alla giustificazione del recesso, influendo sul segno della decisione che non è conforme al diritto e non è perciò recuperabile con una mera correzione della motivazione, così come richiesto dal controricorrente a (Ndr: testo originale non comprensibile) dell’art. 384 c.p.c., u.c..

3. Conclusivamente il primo e terzo motivo di ricorso devono essere accolti, con assorbimento degli altri logicamente successivi, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ad essi e rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, regolando poi le spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ad essi e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2018

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