LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso 25335/2015 proposto da:
T.P., elettivamente domiciliato in Roma Via Crescenzio n. 62, presso lo studio dell’avv. Francesco Grisani, rappresentato e difeso dall’avv. Cinzia Tomasoni, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
G.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Arenula n. 16 presso lo studio dell’avv. Francesca Dionisi, rappresentato e difeso dall’avv. Giampiero Pani giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 100/2015 della Corte di Appello di Trento, depositata il 19/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblia udienza del 10/04/2018 dal Consigliere Dr. Olivieri Stefano;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.
Mistri Corrado, che ha concluso per il rigetto;
udito l’avv. Marco Paolo Ferrari per delega;
udito l’avv. Giampiero Pani.
FATTI DI CAUSA
T.P., giornalista del periodico *****, conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Rovereto G.M., direttore del periodico *****, chiedendone la condanna al risarcimento del danno. Sosteneva il T. che, nell’articolo ***** pubblicato on line nell’aprile del 2008, erano si era ecceduto dai limiti della critica polemizzando, con un gratuito attacco alla propria reputazione, sull’inchiesta giornalistica condotta dal primo e pubblicata sul periodico ***** nell’articolo ***** nella quale si dava conto dell’indagine svolta dalla Procura della Repubblica di Taranto relativa alla produzione di vino adulterato.
Il Tribunale di Rovereto, con sentenza del 10.12.2013 n. 511, accoglieva la domanda risarcitoria liquidando il danno in Euro 5.000,00.
La Corte d’appello ci Trento, con sentenza 19.3.2015 n. 100, riformava la decisione impugnata e rigettava la domanda risarcitoria, ritenendo che la pure accesa polemica su una questione di pubblico interesse quale la sofisticazione del vino e l’impiego di sostanze chimiche impiegate nella produzione del vino, non era trasmodata in un gratuito attacco alla persona del giornalista del *****.
Impugna la sentenza di appello, con ricorso per cassazione, il T. con due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso il G..
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata.
Primo Motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 21 Cost., e dell’art. 595 c.p..
Il motivo è inammissibile in quanto formula una critica alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata di tipo meramente oppositivo, reiterando i medesimi argomenti già svolti dalla decisione di prime cure e non condivisi nel merito dal Giudice di appello a seguito di puntuale esame e discussione dei singoli passaggi motivazionali della sentenza.
Il vizio di legittimità, nella specie per “error in judicando”, deducibile avanti la Corte di legittimità, non può infatti risolversi in un rinnovo dell’accertamento compiuto dal Giudice di merito in ordine alla elevazione delle circostanze di fatto ritenute rilevanti ai fini della ricostruzione della fattispecie concreta, ed all’apprezzamento delle stesse in termini di idoneità offensiva all’onere ed alla reputazione altrui. Nè può risolversi nella mera deduzione di un enunciato assiomatico, limitato a contrapporre un personale contrario giudizio di valore (del tipo oppositivo-escludente: vero-falso; positivo-negativo), avente ad oggetto il medesimo fatto così come diversamente apprezzato dalla Corte d’appello.
L’incipit della esposizione del motivo di ricorso è sotto tale aspetto sintomatico: “la decisione della Corte d’appello è censurabile in quanto è evidente dalla semplice lettura dell’articolo…che ques’ultimo (ndr G.) ha chiaramente travalicato i limiti sia del diritto di cronaca, sia del diritto di critica “. Orbene la mera reiterazione di singoli brani dell’articolo pubblicato on line dal G., accompagnati dal proprio soggettivo apprezzamento di “evidenza” della natura ritenuta offensiva delle espressioni utilizzate, non risponde ai criteri del sindacato di legittimità, da un lato, non assolvendo alla indicazione di specifici “fatti storici” omessi dal Giudice di merito (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), idonei ad evidenziare un eventuale “errore di fatto”; dall’altro, non sviluppando alcuna critica inerente ad una errata comprensione od applicazione, alla fattispecie concreta, degli elementi costitutivi della fattispecie normativa asseritamente violata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Vale osservare in proposito che, in tema di risarcimento del danno a causa di diffamazione a mezzo stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, la considerazione di circostanze oggetto di altri provvedimenti giudiziali (anche non costituenti cosa giudicata), l’apprezzamento, in concreto, delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, l’esclusione dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica costituiscono accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da adeguata motivazione, esente da vizi logici e da errori di diritto (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15510 del 07/07/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 08/08/2007).
La Corte Suprema non è chiamata, pertanto, ad accertare se sia stato o meno leso il diritto sostanziale al bene della dignità personale, declinato secondo la considerazione che ciascuno ha di sè (autostima) ovvero in relazione al riconoscimento delle proprie capacità ed alla stima goduta nel più vasto ambito sociale di riferimento in cui il soggetto esercita la propria attività lavorativa e relaziorale, trattandosi questo di accertamento in fatto che implicando la attività di selezione e valutazione comparativa delle risultanze istruttorie- è riservato in via esclusiva al Giudice di merito e che trasformerebbe il sindacato di legittimità in una sorta di terzo grado di giudizio non consentito attesa la tassatività dei vizi deducibili con il ricorso per cassazione, che le parti sono tenute a denunziare in modo espresso e specifico, con puntuale riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nelle forme e con i contenuti prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso prospettante una sequela di censure non aventi ad oggetto uno dei suindicati vizi e non specificamente argomentate con riferimento ai medesimi, bensì volte esclusivamente ad acriticamente contrapporre, senza sviluppare alcuna argomentazione in diritto, soluzioni diverse da quelle desumibili dalla sentenza impugnata (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1317 del 26/01/2004).
La Corte e, invece, tenuta a verificare se il Giudice di appello si sia attenuto, nell’accertamento della fattispecie illecita ex art. 2043 c.c., ed ex artt. 594 e 595 c.p., ai criteri individuatori della responsabilità civile, come elaborati dalla giurisprudenza di legittimità nella specifica materia, diretti ad attribuire rilevanza a determinati elementi sintomatici della condotta ed idonei a definire il discrimine tra i valori, entrambi aventi fondamento costituzionale, della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e del rispetto della dignità e della personalità del singolo (art. 2 Cost.).
Ne segue che la critica per vizio inerente “errore di diritto” sottoponibile la Giudice di legittimità deve essere formulata in relazione alla omessa, incompleta od errata applicazione degli indici sintomatici predetti, non assolvendo a tale requisito il mero richiamo a massime giurisprudenziali consolidate, alla trascrizione di parti dell’articolo di stampa o pubblicato in formato elettronico, ed alla anapodittica affermazione della lesione dell’onore o della reputazione (cfr. ricorso, pag. 17: dott. G. nel formulare la sua critica ha chiaramente oltrepassato i limiti che, nel corso degli anni, la giurisprudenza ha individuato ed ha errato quindi la Corte d’appello nella parte in cui ritiene che le frasi come sopra riportate rivelino piuttosto l’uso di un tono ironico”).
Inammissibile è dunque il motivo di ricorso in esame laddove censura la sentenza impugnata semplicemente per non avere valutato diversamente, come illeciti, quegli stessi fatti, pur compiutamente rilevati ed esaminati dal Giudice di merito; od ancora per “aver messo in discussione la bontà dell’inchiesta pubblicata sul, ***** (ossia per aver esternato il proprio dissenso sulla metodologia e sui contenuti di detta inchiesta, nel che consiste per l’appunto l’esercizio del diritto di critica); ovvero ancora per “non aver tenuto conto” dei diritti fondamentali della personalità tutelati dall’art. 2 Cost., e protetti dalla legge penale, trascurando tuttavia il ricorrente di specificare le ragioni per le quali le argomentazioni puntualmente svolte dal Giudice di seconde cure -con la disamina e del contesto polemico in cui veniva ad inserirsi l’articolo pubblicato in rete, e del senso riferibile alle proposizioni grammaticali ed ancora del significato attribuito anche a singoli lessemi- dovessero ritenersi inficiate da una omessa rilevazione o considerazione degli indici sintomatici da porre a base dei criteri di accertamento della responsabilità civile.
Secondo motivo: violazione art. 595, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Il motivo è inammissibile.
Lo svolgimento della esposizione degli argomenti a supporto dell’unico motivo di ricorso, non consente di disgiungere gli argomenti a fondamento della censura di “error in jdicando” e quelli diretti, invece, a sostegno della censura di “error fatti”, con conseguente incertezza del parametro di legittimità denunciato dalla ricorrente ed inammissibilità del motivo, non essendo alla Corte demandato il compito di ricercare quale sia la effettiva critica mossa dalla parte alla sentenza impugnata, e non potendo ritenersi ricompreso nel compito di nomofilachia assegnato al Giudice di legittimità anche la individuazione del vizio in base al quale poi verificare la legittimità della sentenza impugnata, come emerge dal combinato disposto degli artt. 360 e 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che riservano in via esclusiva tale compito alla parte interessata (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 dei 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012).
Il motivo, peraltro, non si discosta dal precedente, essendo interamente rivolto a ripercorrere le vicende della inchiesta giudiziaria svolta dalla Procura della Repubblica di Taranto, venendo a richiamare atti della indagine penale che avrebbero giustificato le notizie divulgate dal T. in ordine alla sofisticazione di prodotti destinati alla lavorazione del vino, sui quali peraltro non vi contestazione alcuna, risultando poi del tutto irrilevanti ai fini della verifica demandata a questa Corte sul contenuto degli articoli, i successivi ed ulteriori sviluppi del procedimento penale, nonchè le altre vicende penali che avevano interessato lo stesso T. ed altri giornalisti del periodico “*****”, non venendo in questione se l’ipotesi di allarme per la salute umana -formulata nell’articolo redatto dal ricorrente- rispondesse a meno al canone della verità putativa, non essendo questo l’oggetto della controversia, quanto piuttosto se la critica svolta dal G. alle opinioni espresse dal T. e fondate su attività di indagine penale che -come correttamente rilevato dalla Corte territoriale- era ancora orientata su mere ipotesi di reato, debba o meno ritenersi eccedente dai limiti dell’esimente ex art. 51 c.p..
Manifestamente irrilevante è quindi la critica mossa alla sentenza di appello per non avere esaminato documenti, peraltro concernenti fatti posteriori alla pubblicazione dei due articoli, inerenti il corretto esercizio del diritto di cronaca-critica da parte del T.: mentre del tutto inconferente è l’affermazione secondo cui il ricorrente era stato assolto dalla imputazione di procurato falso allarme sociale, atteso che tale vicenda non determina perciò stesso alcuna prova della illiceità della condotta del G., il quale nel suo articolo contestava, manifestando l’opinione contraria, che non si profilasse alcun timore di danno alla salute per l’uso di prodotti chimici non attestati come cancerogeni, in quanto di normale utilizzo anche in altri settori della produzione agricola.
In conclusione il ricorso deve esser dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. l, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018
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