Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.24172 del 04/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 25959/2015 proposto da:

M.V., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ELISABETTA VINATTIERI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FINEGIL EDITORIALE SPA in persona del legale rappresentante pro tempore Dott.ssa M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO ANGELETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE ANGELLA giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1571/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 01/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2018 dal Consigliere Dr. OLIVIERI STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.

CORRADO MISTRI, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ALBERTO ANGELETTI;

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Livorno, adito da M.V. con azione di risarcimento danni nei confronti di FINEGIL Editoriale s.p.a. cui veniva imputata la pubblicazione sul quotidiano di ***** ***** di articoli diffamatori corredati da foto che ritraevano la persona dell’attore ed utilizzate senza il suo previo consenso, con sentenza non definitiva in data 3.5.2005, nei confronti della quale il M. proponeva riserva di appello ex art. 340 c.p.c, rigettava la domanda in relazione alle altre ipotesi diffamatorie denunciate dall’attore, disponendo la prosecuzione del giudizio in relazione ai soli articoli di stampa comparsi sul predetto quotidiano in data 6.1.1997 e 8.4.1998.

Con sentenza definitiva, in data 20.3,2007 n. 408, il Tribunale rigettava la domanda del M. anche in relazione a tali fatti.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza in data 1.10.2014 n. 1571, confermava la decisione di prime cure e rigettava la domanda risarcitoria, ritenendo sussistere il legittimo esercizio del diritto di cronaca, tanto in relazione alla pertinenza all’interesse pubblico informativo, quanto alla verità oggettiva delle informazioni pubblicate negli articoli di stampa, che trovavano riscontro in dichiarazioni dello stesso M. o in atti e verbali di polizia amministrativa, in verbali di sedute del consiglio comunale, ed in atti di autorità di PG e provvedimenti giudiziari, ed essendo stato osservato il limite della continenza espressiva non potendo ritenersi gratuitamente lesivi della integrità morale i contenuti degli articoli, considerati nell’intero contesto della pubblicazione.

Il Giudice territoriale affermava, inoltre, la liceità della pubblicazione della immagine fotografica del M., ricorrendo i presupposti legali di cui all’art. 137 Codice di Protezione dei dati personali, mentre riteneva infondata la domanda relativa al diritto di rettifica, non avendo il M. fornito prova di avere esercitato tale diritto e comunque difettando il presupposto del limite dimensionale previsto dall’art. 8 della legge sulla Stampa.

Avverso la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione il M. deducendo tre motivi, ai quali resiste con controricorso FINEGIL Editoriale s.p.a.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che la memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., depositata dalla parte ricorrente M., è stata trasmessa a mezzo servizio postale ed è pervenuta alla Cancelleria di questa Corte soltanto in data 9.4.2018, oltre il termine perentorio stabilito dalla medesima norma processuale, non potendo il Collegio, quindi, tenerne conto.

Primo motivo : violazione artt. 2,3 e 21 Cost.; della L. 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1 e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, Il motivo è inammissibile, in quanto non attinge la “ratio decidendi”.

La censura è rivolta, infatti, ad introdurre un parametro di verifica della legittimità dell’attività di giudizio della Corte d’appello non corrispondente alla nozione di “interesse pubblico” alla conoscenza del fatto (cosiddetta: pertinenza), come elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte, ed alla esistenza del quale è condizionata la applicazione della scriminante (art. 51 c.p.) del “diritto di cronaca”, in quanto avente ad oggetto informazioni di contenuto lesivo della integrità personale: la esclusione della antigiuridicità della condotta divulgativa di fatti oggettivi disdicevoli per la persona si correla, infatti, alla stessa rilevanza costituzionale della funzione di “utilità sociale” (cfr. Corte cass, Sez. 1, Sentenza n. 5259 del 18/10/1984) svolta attraverso l’esercizio della libertà contemplata dall’art. 21 Cost., (declinata sui corrispondenti versanti della libertà di comunicare e di essere informati) che è appunto quella di contribuire a formare l’ opinione critica del pubblico su fatti ed avvenimenti rilevanti delta vita sociale.

La nozione di “interesse generale alla informazione” ha una estensione, peraltro, variabile in relazione al contesto storico, sociale e geografico in cui deve essere collocata la notizia, sicchè non necessariamente rispondono a tale requisito soltanto quelle notizie che abbiano prodotto una risonanza a livello nazionale od abbiano notevolmente scosso l’opinione pubblica (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1968 del 13/03/1985), ben potendo la notizia assumere tale rilievo di pubblico interesse anche in ambito meramente locale, laddove l’avvenimento narrato, per le sue specifiche modalità o per gli interessi coinvolti o per come considerato dall’ordinamento o da costume sociale, venga comunque a giustificare una conoscenza diffusa da parte di un pubblico indeterminato di soggetti.

Orbene il ricorrente assume che la “utilità sociale della notizia”, per assumere valenza scriminatoria, non potrebbe prescindere dalla esposizione, nella narrazione del fatto, anche delle soggettive opinioni (ovvero della versione dei fatti) della persona interessata.

Tale assunto difensivo è da ritenere del tutto destituito di fondamento e privo di qualsiasi riscontro normativo, in quanto, da un lato, si verrebbe a sottoporre l’esercizio del “diritto di cronaca” (inteso come comunicazione di un fatto) ad una sorta di -inesistente e non previsto dalla legge- obbligo preventivo di intervista del protagonista del fatto narrato; dall’altro si verrebbe a negare lo stesso requisito essenziale della “verità oggettiva” della notizia, inteso come corrispondenza tra la realtà oggettiva ed il fatto come narrato, introducendo un elemento del tutto spurio quale è la “soggettiva” rappresentazione ed interpretazione dell’evento fornita dal soggetto interessato e volta quindi ad alterare proprio la oggettività del fatto narrato per come storicamente accaduto.

Nella specie la Corte d’appello ha evidenziato, da un lato, come fosse stato lo stesso M. ad interessare della sua vicenda giudiziaria i giornalisti del quotidiano ***** affinchè venisse portata a conoscenza del pubblico; dall’altro ha posto in risalto le modalità del comportamento di protesta del M., ostentatamente tenuto in pubblico avanti agli Uffici del Tribunale di Prato, in tal modo avendo il Giudice di merito correttamente apprezzato il requisito dell’interesse generale alla divulgazione della notizia, avuto riguardo altresì al clamore della protesta nell’ambito cittadino determinato anche da interventi in loco della Polizia municipale e dalla rilevanza penale della condotte tenute dall’interessato oggetto di diversi procedimento penali instaurati a suo carico.

Tale “ratio decidendi” non è stata idoneamente censurata dal ricorrente che lamenta una ipotetica ed errata equivalenza tra la sua “omessa intervista” e pubblicazione delle proprie ragioni ed il requisito della verità inerente la descrizione oggettiva dei fatti narrati.

Per il resto il motivo di ricorso non si rivolge alla verifica del parametro del sindacato di legittimità indicato nella rubrica, ma -senza peraltro specificare a quale tra i diversi articoli di stampa deve riferirsi la contestazione- viene a ripercorrere la vicenda giudiziaria del M., ribadendo quali fossero le ragioni poste a fondamento della protesta, risolvendosi in tal modo la censura in un personale giudizio soggettivo (secondo cui i manifesti contenenti gli slogans sequestrati dalla Polizia municipale contenevano “una critica ed una protesta contro la magistratura e mai potevano costituire oltraggio al corpo giudiziario”) del tutto irrilevante ai fini dell’accertamento del contenuto diffamatorio ascritto agli articoli pubblicati sul quotidiano di *****. Appaiono, inoltre, del tutto non conducenti le altre critiche rivolte all’operato dei Giudici, in relazione a talune inesattezze riscontrate nella descrizione dei fatti storici (gli slogans non erano innalzati su sostegno ma collocati sulla autovettura del M.), in quanto afferenti ad elementi del tutto marginali e privi di alcuna incidenza sul nucleo essenziale della notizia (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 23468 del 19/11/2010; id. Sez. 3, Ordinanza n. 11233 del 09/05/2017). Ed ancora appaiono completamente prive di rilevanza, ai fini della verifica di legittimità demandata a questa Corte in ordine al carattere diffamatorio degli articoli di stampa, le altre circostanze allegate dal ricorrente -in violazione peraltro dell’art. 366 c.p.c, comma 1, n. 6, non essendo neppure indicati se e dove siano stati prodotti i documenti di riferimento- ed inerenti le vicende giudiziarie successive alla pubblicazione degli articoli di stampa (cfr. Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11233 del 09/05/2017; id. Sez. 3, Ordinanza n. 12013 del 16/05/2017), od ancora inerenti alle altre diverse condotte, di rilevanza penale, ascritte a terzi (il sindaco del Comune di *****) e commesse in suo danno, che esulano dalla fattispecie diffamatoria oggetto della presente controversia.

La censura, per come svolta nel motivo in esame, si palesa altresì inammissibile in quanto prescinde del tutto da una critica puntuale all’esame della fattispecie condotto dalla Corte d’appello che ha ritenuto corrispondenti al requisito di verità oggettiva gli articoli di stampa, in quanto le notizie riferite trovavano riscontro nei fatti accertati -anche in base a documenti di pubbliche autorità- e comunque non contestati dallo stesso M., di seguito individuati:

– fu il M. stesso a richiedere alla società editrice di interessarsi e rendere pubblica la sua vicenda che lo vedeva coinvolto in procedimenti giudiziari a suo dire caratterizzati da una “serie di abusi, corruzioni ed atti illeciti….culminati…con il sequestro della azienda e dei beni”;

– il M. non aveva mai contestato il contenuto degli slogans -riprodotti nell’articolo pubblicato in data 8.4.1997- dallo stesso rivolti contro la “malagiustizia in generale”, in occasione dell’intervento di sgombero effettuato il 7.4.1997 dalla Polizia municipale

– sempre il M. non aveva contestato di aver scritto le frasi riportate su striscioni di cellophane appesi alla sua auto parcheggiata avanti il Tribunale, ritenute oltraggiose per il corpo giudiziario dell’ufficio di *****, e che avevano dato luogo a trasmissione di notizia di reato da parte della DIGOS della Questura di *****

– pacifica era, inoltre, la circostanza che nei confronti del M. per fatti commessi dall’11.4.1997 fino 18.9.1997 fossero pendenti diversi procedimenti penali con imputazione di reato per inosservanza dei provvedimenti emessi da pubblica autorità, oltraggio a corpo giudiziario, getto pericolo di cose;

– in data 8.4.1997 la Polizia municipale di ***** aveva rimosso pannelli in legno con posters plastificati, ed una seri di croci in legno apposte avanti i Tribunale dal M. il Sindaco del Comune di *****, ove risiedeva il M., si era opposto nel corso della seduta de consiglio del 27.3.1998, per non creare un precedente, all’invito del M. ad una successiva seduta per illustrare le sue ragioni.

In assenza di alcuna specifica censura rivolta alla contestazione del requisito della verità oggettiva della notizia, come accertato nella sentenza impugnata, il motivo di ricorso si palesa pertanto, anche sotto tale aspetto, inammissibile.

Secondo motivo: falsa interpretazione dell’artt. 10 c.c., L. 22 aprile 1941, n. 633, artt. 96 e 97, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere lecita la pubblicazione delle foto del M., sebbene l’interessato non avesse mai prestato alcun consenso.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la “ratio decidendi”.

La censura si svolge interamente sul piano della enunciazione dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza e della reiterazione del contenuto dispositivo delle norme di legge indicate in rubrica.

La Corte territoriale ha esaminato puntualmente la questione, rilevando come nella specie il ritratto fotografico fosse consentito, sia dall’interesse pubblico del fatto (L. n. 633 del 1941, art. 97, comma 1, secondo cui non occorre il consenso della persona ritratta “quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”), sia dal comportamento tacitamente assenziente dello stesso M. (D.Lgs n. 196 del 2003, art. 137, comma 3,: “Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”) e tali statuizioni non risultano investite da censura.

Terzo motivo: omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente censura la sentenza di appello che ha rigettato la domanda relativa al diritto di rettifica della L. n. n. 47 del 1948, ex art. 8, come modificata dalla L. n. 416 del 1981, in quanto la Corte territoriale avrebbe “male interpretato” le dichiarazioni rese dal teste R..

Il motivo è inammissibile in quanto deduce un vizio di illogicità della sentenza impugnata non rispondente al paradigma normativo del vizio di legittimità per “error facti” denunciabile avanti questa Corte.

La nuova formulazione del testo normativo, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, il n. 5, (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012, D.L. n. 83 del 2012 cit., art. 54, comma 3), ha, infatti, limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado, per vizio di motivazione, alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, escludendo il sindacato sulla inadeguatezza del percorso logico posto a fondamento della decisione e condotto alla stregua di elementi extratestuali, limitandolo alla verifica del requisito essenziale di validità ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, inteso come “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, secondo la interpretazione fornita da questa Corte: l’ambito in cui opera il vizio motivazionale deve individuarsi, pertanto, esclusivamente nella omessa rilevazione e considerazione da parte del Giudice di merito di un “fatto storico”, principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio e di carattere “decisivo” in quanto idoneo ad immutare l’esito della decisione (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 dei 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Pertanto, avendo la Corte d’appello esaminato esplicitamente le risultanze probatorie, tra le quali anche le dichiarazioni rese dal teste R., ritenendo imprecisi e generici i fatti riferiti, come tali inidonei a fornire la prova che il M. avesse richiesto -ed in quali termini- alla società editrice di rettificare lo specifico contenuto di uno o più articoli pubblicati sul suo conto, in difetto della indicazione di un fatto storico, dimostrato in giudizio, ma omesso nella valutazione compiuta dal Giudice di appello, non può essere chiesto in sede di legittimità il riesame ed una nuova valutazione delle risultanze istruttorie al fine di pervenire ad un convincimento diverso da quello raggiunto dal Giudice di merito.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis..

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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