Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.25120 del 10/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21854-2014 proposto da:

P.F., P.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 32, presso lo studio dell’avvocato FABIO ACCARDO, rappresentati difesi dall’avvocato GIUSEPPE MUNNO;

– ricorrenti –

contro

P.S., P.S., P.T., PI.AN.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2381/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MUNNO Giuseppe, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria.

FATTI DI CAUSA

P.T. evocò in giudizio, avanti il Tribunale di Napoli, i germani F., A., An.Ma. e P.S., nonchè la madre Pi.Co., chiedendo di proceder alla divisione dell’asse relitto morendo dal padre e dalla zia P.M..

Resistette tempestivamente Pi.An.Ma., che aderì alla domanda di divisione e svolse domanda riconvenzionale di rendiconto teso alla corresponsione del corrispettivo in dipendenza del godimento, in via esclusiva, dei beni ereditari verso i germani S., A. e P.F..

Pi.Co. si costituì tardivamente ed aderì alla domanda di divisione, siccome pure i germani A., S. e P.F. si costituirono tardivamente e chiedendo di procedersi alla divisione.

In corso di causa decedeva Pi.Co. ed era instaurata separata causa di divisione anche dell’asse,relitto morendo dalla madre, che venne riunita alla presente controversia già in corso.

Ad esito della trattazione istruttoria della lite complessiva,il Tribunale partenopeo procedette alla divisione dei beni comuni, alla tassazione dei conguagli e delle somme dovute a titolo di corrispettivo per il godimento in via esclusiva di alcuni beni comuni.

Avverso la prima decisione interponevano appello A. e P.F.. Resistettero S., P.T. ed An.Ma., che proposero a loro volta separati appelli incidentali avverso la prima decisione.

Ad esito della trattazione, la Corte d’Appello napoletana accolse parzialmente l’appello principale ed il gravame incidentale mosso da P.S., mentre ebbe a rigettare le impugnazioni incidentali mosse da An.Ma. e P.T..

La Corte partenopea, per quanto ancora interessa, ebbe a rilevare come la domanda di rendiconto, svolta da Pi.An.Ma. nei confronti dei germani S., A. e P.F., era ammissibile poichè non generica e tempestiva, nonchè di natura personale sicchè non s’estendeva automaticamente anche agli altri soggetti parti del giudizio, sicchè nemmeno era dovuto il rendiconto da parte di detti soggetti;

come P.F. non aveva contestato tempestivamente il suo godimento, in via esclusiva, del locale ad uso commerciale di via Leopardi e tardivo risultava il deposito di documentazione a sostegno di tale tesi;

come le spese afferenti la divisione anche per il giudizio d’appello andavano addebitate alla massa.

Avverso la sentenza resa dalla Corte territoriale hanno proposto ricorso per cassazione F. ed P.A., articolando cinque motivi di doglianza. Nessuno degli altri soggetti,evocati ritualmente, ha resistito in questa sede ed in prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno anche depositata memoria difensiva. All’odierna udienza pubblica,sentiti la parte presente ed il P.G.,la Corte adottava decisione siccome illustrato in presente sentenza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dai germani F. ed P.A. appare fondato quanto ad alcuni aspetti del quarto motivo d’impugnazione, con assorbimento del quinto, mentre tutti gli altri motivi spiegati vanno rigettati.

Con il primo motivo di doglianza i ricorrenti denunziano violazione delle norme in artt. 112,166,167 e 163 c.p.c. in quanto la Corte partenopea ha erroneamente ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale di rendiconto esposta da Pi.An.Ma. verso di loro, benchè priva del necessario elemento del petitum.

Difatti, osservavano i ricorrenti, la convenuta Pi.An.Ma., costituendosi in prime cure, ebbe bensì ad argomentare diffusamente circa la causa petendi, posta alla base della sua domanda riconvenzionale di rendiconto, ma non espose anche il petitum chiesto.

La Corte partenopea, come riconosciuto dai ricorrenti, ebbe ad esaminare e statuire con riguardo a detta questione – da ciò l’insussistenza della violazione del disposto ex art. 112 c.p.c. – ritenendo chiara e precisata la domanda svolta sia sotto il profilo della causa petendi che del petitum, ossia i benefici tratti dai germani per l’uso a fini abitativi o di locazione dei beni comuni,in loro godimento esclusivo.

A fronte di un tanto gli impugnanti si limitano a contrapporre propria tesi che non risultava indicato il petitum, senza confrontarsi in effetti con il decisum della Corte territoriale, ossia l’indicazione dei frutti goduti dai germani in forza del loro godimento in modo esclusivo di beni comuni per abitarvi ovvero locarli a terzi. Con la seconda parte della prima ragione d’impugnazione i germani P. deducono violazione delle norme in artt. 112,113,166,167,183 e 184 c.p.c. ed art. 111 Cost., in quanto la Corte di prossimità non ha ritenuto tardiva la domanda riconvenzionale proposta dalla sorella An.Ma., benchè la sua comparsa depositata oltre il termine di venti giorni prima rispetto alla data di udienza fissata in citazione.

La censura appare genericamente formulata eppertanto risulta inammissibile. Difatti,come costantemente insegna questo Supremo Collegio – Cass. Sez. 2 n 8897/05, Cass. sez. 2 n 1507/11, Cass. sez. 3 n 3081/17 – in ipotesi d’applicazione del disposto ex art. 168 bis c.p.c., comma 5 da parte del Giudice, il termine per la tempestiva costituzione decorre dalla nuova data fissata in detto decreto per la prima udienza e, non già, da quella indicata in citazione.

Nella doglianza proposta gl’impugnanti si limitano a dedurre che non risulta rispettato il termine di venti giorni dalla data fissata in citazione senza anche precisare se il Giudice del Tribunale partenopeo s’avvalse o no della sua facoltà, ex art. 168 bis c.p.c., di differire la prima udienza,come visto circostanza fattuale decisiva al fine che interessa.

Con la seconda ragione d’impugnazione i consorti P. rilevano violazione della disposizioni in artt. 112,113 e 263 c.p.c. ed art. 723 c.c. in quanto la Corte di prossimità non ha rispettato il dettato di legge che obbliga tutti i condividenti a render il conto una volata introdotta la questione nel procedimento di divisione, siccome insegnano arresti di questo Supremo Collegio.

La doglianza appare priva di fondamento giuridico poichè, come sottolineato dalla Corte partenopea con richiamo a puntuale insegnamento al riguardo di questa Corte Suprema – Cass. sez. 2 n 1458/02 -, comunque per potersi procedere al rendiconto ex art. 723 c.p.c. è necessaria apposita istanza della parte, che pacificamente non venne avanzata dagli odierni impugnanti nei termini fissati.

Gli arresti di legittimità citati nel corpo dell’argomentazione critica sviluppata dai ricorrenti non contraddicono la conclusione adottata dai Giudici napoletani poichè hanno riguardo, in linea generale, alla natura giuridica del rendiconto non anche concernono il principio della domanda,che comunque lo deve reggere – Cass. sez. 2 n 8040/1993 -.

Con il terzo mezzo d’impugnazione i ricorrenti deducono nullità della sentenza per omessa pronuncia sul loro mezzo di gravame afferente la mancata concessione di apposita udienza per il rendimento del conto da parte dei condividenti, ex art. 263 c.c..

Tale doglianza non ha pregio posto che appare correlata alla precedente argomentazione critica circa l’obbligo di tutti i condividenti di rendere il conto una volta, ex art. 723 c.c., proceduto alla liquidazione dei beni comuni.

Difatti sconta il difetto della necessaria apposita istanza proposta dai ricorrenti nei confronti delle sorelle con l’indicazione delle necessarie ragioni fattuali fondanti l’obbligo del rendiconto – amministrazione di beni comuni od altrui -. Quanto al loro obbligo, ex art. 263 c.p.c., è insegnamento consolidato di questa Suprema Corte – Cass. sez. 2 n 868/1976, Cass. sez. 3 n 11139/1995 – che la procedura ex art. 263 c.p.c., non sia obbligatoria allo scopo ben potendosi procedere con altri strumenti istruttori.

Dunque la censura, siccome svolta, s’appalesa infondata non sussistendo il dedotto obbligo per il Giudice di seguire per poter statuire sulla domanda di rendiconto esclusivamente la procedura ex art. 263 c.p.c..

Con la quarta ragione di doglianza i ricorrenti deducono violazione delle norme in artt. 112,113 e 263 c.p.c. ed artt. 723,2041 e 2969 c.c. in quanto la Corte partenopea ha ritenuto provato mediante la non contestazione che il locale commerciale di via ***** fosse stato goduto, in via esclusiva, da P.F. dall’apertura della successione, mentre un tanto non corrispondeva al vero sino al 2000, come attestato dalla documentazione dimessa in causa, ma ritenuta non utilizzabile dal Tribunale in quanto depositata tardivamente.

Inoltre la Corte partenopea aveva violato anche il disposto afferente l’interpretazione dei contratti e la valutazione delle prove, poichè aveva trascurato il fatto che P.S. ebbe espressamente a riconoscere che il fratello godeva dei locale commerciale di via ***** dal 1990 e non anche prima, sicchè detto fatto era da ritenersi pacifico in causa.

La doglianza appare fondata circa la ritenuta tardività del deposito documentale operato da P.F. con riguardo al locale commerciale asseritamente da lui goduto in via esclusiva sin dall’apertura della successione.

La Corte territoriale rileva come l’impugnante non ebbe a contestare l’affermazione avversaria che era nel godimento del bene ereditario sin dall’apertura della successione e che i documenti, attestanti un minor periodo di godimento in modo esclusivo del locale ad uso commerciale, erano stati tardivamente depositati in quanto versati al consulente e, non già, entro i termini prescritti dall’art. 184 c.p.c..

Con riguardo alla prima affermazione dei Giudici di merito la doglianza mossa dai germani P. appare mera contrapposizione di propria valutazione circa la valenza di mancata contestazione delle difese svolte in comparsa di risposta rispetto alla motivata ricostruzione operata sul punto dal Tribunale, fatta propria dalla Corte d’Appello.

Difatti parte impugnante si limita ad evocare il minor rigore della disciplina processuale, all’epoca vigente, nell’individuare la situazione di non contestazione in relazione alle difese svolte nelle scritture iniziali della lite,ma non afferma d’aver positivamente contestato le affermazioni della sorella A.M., richiedente il rendiconto, circa il suo godimento in via esclusiva del locale commerciale di via *****.

Dunque l’articolata motivazione sul punto svolta dai Giudici del merito rimane insuperata, in quanto legittima espressione della loro potestà valutativa degli elementi probatori acquisiti in causa.

Ha fondamento invece la critica portata avverso la mancata applicazione della procedura per rendere il conto una volta ritenuto sussistente detto obbligo.

Difatti una volta fondatamente prospettato che P.F. era tenuto al rendiconto per aver gestito in via esclusiva bene in comunione incidentale, era suo diritto essere posto nelle condizioni di rendere il conto, siccome previsto dall’apposita norma processuale citata.

Come insegnato da questo Supremo Collegio – Cass. sez. 2 n 8040/93 – il conto può essere reso, non solo mediante la tipica procedura stabilita in art. 263 c.p.c., ma anche nel corso dello svolgimento della consulenza tecnica disposta per la valutazione dei beni costituenti l’asse ereditario.

E nella specie proprio in tale ambito – posto che il Giudice non aveva stabilito apposito termine a sensi dell’art. 263 c.p.c.siccome sua facoltà – P.F. ebbe a depositare documentazione propriamente afferente al rendiconto poichè diretta, non già, a contestare la sussistenza di detto obbligo ma a delimitarne il perimetro temporale.

Difatti la documentazione versata era tesa a comprovare che,dall’apertura della successione e sino al 1990, il bene era in locazione a terzi e che tutti i coeredi ebbero a percepire il relativo canone di locazione.

Al riguardo va anche richiamata la valenza – sottolineata dai ricorrenti ma trascurata dal Collegio d’appello – del riconoscimento da parte di P.S., nello svolgere motivo d’impugnazione incidentale, che la detenzione del bene comune, da parte del germano, datava dal 1990, ossia esattamente il momento finale della locazione a terzi in base ai documenti dimessi.

Detta documentazione non poteva esser considerata siccome tardivamente versata in atti, proprio perchè afferente alla modalità di rendimento del conto e non tesa a negare in radice l’obbligo di rendere lo stesso,come visto fondato sulla valutazione della condotta difensiva dell’obbligato, sotto il profilo della mancata contestazione puntuale.

Quindi in presenza di domanda di rendiconto – non specificatamente contestata – doveva anche essere consentito all’onerato – anche senza la fissazione di apposito termine nell’ambito della speciale procedura – di renderlo unitamente al deposito della relativa documentazione a giustificazione.

Pertanto la documentazione, dimessa all’impugnante al consulente e relativa alla gestione del locale commerciale di via *****, doveva essere esaminata dal Giudice di merito poichè, in difetto della concessione dell’apposito termine ex art. 263 c.p.c., la stessa non poteva esser considerata tardivamente depositata quando consegnata al tecnico d’ufficio durante le sue operazioni di consulenza tese proprio all’individuazione ed alla divisione dei beni comuni.

Con il quinto ed ultimo motivo d’impugnazione i ricorrenti consorti P. denunziano violazione della disciplina in tema di attribuzione delle spese del procedimento di divisione, poichè la Corte di prossimità aveva ritenuto il motivo di gravame esposto al riguardo assorbito a seguito della circostanza che, stante la parziale riforma della prima sentenza, doveva comunque procedersi a nuova liquidazione anche delle spese della lite di primo grado.

In particolare i ricorrenti lamentano come la Corte di prossimità abbia posto a carico della massa anche le spese di lite del giudizio d’appello, benchè rigettati i gravami esposti dalle germane An.Ma. e S. e come la Corte di merito abbia omesso di rispondere allo specifico motivo di gravame afferente le spese di consulenza relative al secondo incarico, rivelatosi inutile,ed espletato esclusivamente ad istanza delle germane, che dunque se ne dovevano far carico. La questione proposta dai ricorrenti rimane assorbita dalla cassazione parziale della sentenza impugnata, posto che il Giudice del rinvio dovrà provvedere a riliquidare le spese dell’intera lite – compreso questo giudizio di legittimità – valutandone l’esito complessivo.

La sentenza impugnata va cassata limitatamente alla mancata valutazione, ai fini del rendiconto, della documentazione versata in causa da P.F. nel corso delle operazioni di consulenza tecnica, mentre il motivo d’impugnazione afferente la disciplina delle spese di lite e di consulenza rimane assorbito, e di conseguenza la causa va rimessa alla Corte d’Appello di Napoli altra sezione per detto limitato nuovo esame.

P.Q.M.

Accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione il ricorso,cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, altra sezione, che provvederà a disciplinare anche le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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