Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.25147 del 11/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6110-2014 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ORIOLO ROMANO, 69, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO GARGALLO DI CASTEL LENTINI, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO CARBONI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE AUTONOMA SARDEGNA in persona del suo Presidente C.U., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO, 60, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA CAROLI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio R.E. in CAGLIARI il *****, rep. n. *****;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI, depositata il 17/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2018 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato FILIPPO GARGALLO DI CASTEL LENTINI FILIPPO;

udito l’Avvocato LETIZIA CAROLI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza pronunciata ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. in data 17 giugno 2013, la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da P.S. avverso la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania che, in data 26 settembre 2012, aveva rigettato la sua domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti ad un incidente verificatosi, mentre percorreva a bordo del proprio motociclo la Strada statale *****, a causa dell’impatto con un cinghiale.

Avverso tale decisione il P. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Ha resistito con controricorso la Regione Autonoma della Sardegna.

L’Ente ha successivamente depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ. con contestuale costituzione di nuovo difensore. Tale costituzione, tuttavia, non è stata ritenuta rituale, in quanto sottoscritta da un difensore munito di procura speciale rilasciata in calce alla memoria difensiva, cioè con una modalità non consentita dall’art. 83 c.p.c., comma 3, nella versione applicabile ratione temporis al presente giudizio, instaurato in data anteriore all’entrata in vigore delle modifiche apportate al citato art. dalla L. 18 giugno 2009, n. 69. La causa, chiamata alla pubblica udienza del 10 gennaio 2017, è stata quindi rinviata a nuovo ruolo.

In data 5 settembre 2017 la Regione Autonoma della Sardegna ha depositato una memoria di costituzione di nuovo difensore munito, questa volta, di procura speciale notarile. Ha poi ha depositato ulteriori note difensive.

All’udienza del 7 febbraio 2018, acquisita l’attestazione della cancelleria della Corte d’appello di Sassari relativa alla comunicazione dell’ordinanza ex art. 348-ter cod. proc. civ., le parti venivano invitate a interloquire sul punto e davano concordemente atto della circostanza che il provvedimento è stato comunicato a mezzo PEC in data 19 giugno 2013.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il presente giudizio è iniziato nel 2011. Allo stesso, pertanto, si applica il regime di decadenza dall’impugnazione previsto dall’art. 327 cod. proc. civ., così come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, l’impugnazione si propone contro la decisione di primo grado, ma il termine decorre dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza che ha dichiarato inammissibile l’appello. E l’applicazione di tale termine concerne sia l’impugnazione della sentenza di primo grado, sia – quanto è possibile – quella dell’ordinanza (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18827 del 23/09/2015, Rv. 636967) Ciò posto, l’ordinanza della corte d’appello è stata comunicata in data 19 giugno 2013. Il ricorso in esame è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notificazione il 1 febbraio 2014. Pertanto, pur considerando la sospensione feriale, il ricorso è stato proposto dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 348-ter cod. proc. civ..

Sebbene il superiore rilievo sia assorbente, è utile aggiungere che il ricorso sarebbe comunque infondato nel merito.

Tanto si osserva a prescindere dal problema che preliminarmente si sarebbe dovuto affrontare della congiunta impugnazione di entrambi i provvedimenti. Infatti, essendo stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello, ci si sarebbe dovuti interrogare se tale ordinanza fosse impugnabile alla luce dei limiti indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016, Rv. 638368).

I quattro motivi di ricorso, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Essi infatti riguardano la violazione o falsa applicazione: della legislazione nazionale e regionale che attribuisce alla Regione Sardegna la proprietà della fauna selvatica, con conseguente ricaduta in tema di legittimazione passiva alla domanda risarcitoria; dell’art. 2043 cod. civ. nella parte in cui è stato interpretato ed applicato, nonostante la disciplina sopra richiamata, nel senso di escludere la responsabilità della Regione per i danni provocati da animali selvatici; dell’art. 2697 cod. civ. in tema di riparto dell’onere della prova, e degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ., perchè il giudice di merito avrebbe omesso di considerare il contenuto delle produzioni documentali effettuate dalla controparte; degli artt. 2043 e 2697 cod. civ., nonchè degli artt. 16 e 42 Cost., consistita nell’aver escluso la sussistenza di un nesso causale fra il sinistro occorso al ricorrente e la mancata adozione di opportune cautele per evitare che si verificasse il sinistro.

Tutte le censure sono infondate e il ricorso deve essere rigettato.

Anzitutto, va rilevato che, diversamente da quanto sembrerebbe emergere dalla lettura del ricorso, il Tribunale di Tempio Pausania non ha affatto dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Regione Sardegna, piuttosto osservando che – giacchè il tratto di strada nel quale si è verificato il sinistro è in gestione dell’ANAS – la Regione non aveva alcuna competenza in ordine all’apposizione di segnaletica stradale di avvertimento del pericolo di attraversamento animali, nè all’imposizione di più restrittivi limiti di velocità, nè – infine – alla recinzione della sede stradale o dei campi confinanti. Sulla base di tale premessa, osservando che la responsabilità per danni da fauna selvatica non è soggetta alla presunzione stabilita dall’art. 2052 cod. civ., ma deve essere accertata alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043 cod. civ., ha concluso che l’attore non aveva ottemperato all’onere di fornire la prova nè di una condotta colposa, anche omissiva, addebitabile alla Regione, nè tantomeno di un nesso causale fra tale condotta è l’evento dannoso.

Ciò posto, è evidente che la totalità delle censure esposte in ricorso non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il rigetto della domanda del P. è dipeso dalla mancata individuazione, nella domanda attorea, tanto di un fatto illecito attribuibile alla Regione, quanto dall’impossibilità di individuare alcun nesso causale fra una non meglio precisata condotta omissiva dell’Ente e l’evento dannoso. Il ricorrente si è sottratto a tali oneri sia nel corso del giudizio di primo grado, sia con l’atto d’appello, riproponendo in sede di legittimità la tesi secondo cui la responsabilità della Regione Sardegna discenderebbe automaticamente dalla proprietà della fauna selvatica, a prescindere dalla circostanza che l’ente convenuto non aveva alcuna competenza nè potere in tema di segnaletica e di protezione di quella sede stradale dall’accesso di animali selvatici.

Invero, il P. riconosce espressamente che la proprietà della strada in cui si è verificato l’evento è dall’ANAS, nonchè l’esattezza dell’affermazione in punto di diritto per la quale la responsabilità dei danni cagionati da animali selvatici va ascritta allo schema generale di cui all’art. 2043 cod. civ., anzichè all’ipotesi specifica prevista dall’art. 2052 cod. civ. (Sez. 1, Sentenza n. 9276 del 24/04/2014, Rv. 631131). Nondimeno, il ricorrente articola la propria difesa in modo del tutto contraddittorio rispetto a tali premesse, sostenendo – in estrema sintesi – che la responsabilità del sinistro possa addebitarsi alla Regione sol perchè questa non poteva ignorare che vi erano stati già altri incidenti analoghi e, ciò nonostante, non aveva adottato non meglio precisate cautele.

Pertanto, l’unica questione di diritto davvero controversa riguarda la qualificazione giuridica della responsabilità da fauna selvatica.

Sul punto soccorre la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la responsabilità extracontrattuale per danni provocati alla circolazione stradale da animali selvatici va imputata alla Provincia a cui appartiene la strada ove si è verificato il sinistro, in quanto ente cui sono stati concretamente affidati poteri di amministrazione e funzioni di cura e protezione degli animali selvatici nell’ambito di un determinato territorio, e non già alla Regione, cui invece spetta, ai sensi della L. 11 febbraio 1992, n. 157, salve eventuali disposizioni regionali di segno opposto, solo il potere normativo per la gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 12808 del 19/06/2015, Rv. 635775; v. pure Sez. 3, Sentenza n. 16642 del 09/08/2016, Rv. 641488). Dunque la decisione impugnata e corretta e si sottrae a censure di legittimità.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perchè tardivamente proposto. Qualora non fosse venuta in rilievo tale causa di inammissibilità del ricorso, lo stesso sarebbe stato comunque rigettato.

Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono inoltre i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472