Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25149 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 818-2016 proposto da:

U.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO BEVIGNANI 12, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PALMA, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO LAROCCA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI LILIO 95, presso lo studio dell’avvocato TEODORO CARSILLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELO CARDARELLA giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 702/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 30/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/02/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 30/4/2015 la Corte d’Appello di Lecce ha respinto il gravame interposto dal sig. U.D. in relazione alla pronunzia, su riuniti giudizi, Trib. Brindisi n. 61 del 2013, di accoglimento della domanda proposta dal sig. G.V. di risoluzione per morosità del contratto di locazione ad uso diverso da abitazione, avente ad oggetto immobile sito in ***** e *****, dai medesimi stipulato in data *****.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’ U. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi.

Resiste con controricorso il G..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., art. 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 2 motivo denunzia violazione dell’art. 2719 c.c., art. 345 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 3, il 4, il 5 motivo denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c., “omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punti decisivi della controversia, “omessa considerazione del contratto di locazione del 15/11/89”, “improcedibilità ed inammissibilità degli sfratti per morosità”, violazione del “principio della soccombenza”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., a “diversi sfratti per morosità”, all’atto di appello, alla “visura catastale del *****, allegata al fascicolo di primo grado di parte resistente”, all'”accertamento della proprietà immobiliare urbana del ***** che si deposita in copia e da istanza a firma della sig.ra M. del ***** depositata presso il Comune di Ceglie Messapica”, al contratto di locazione “in data *****”, ad “altri contratti ad integrazione del primo ed in particolare una scrittura privata del *****… nonchè altro atto del 25/06/97”, al “contratto del *****”, alla “sentenza n. 221/11”, alla “postilla scritta a mano a pag. 2 dell’atto del *****”, alla “scrittura privata autenticata per Notar T.G…. di affitto di azienda con i sigg. S.A.M. e S.D.”, alla “copia di denuncia di contratto verbale di locazione del ***** presentata da G.V. presso l’Ufficio del Registro di Ostuni ed annotata al n. ***** serie 3^”, alla “raccomandata AR del *****, depositata in copia”, al “fax del ***** (depositato in copia)”, alla “raccomandata AR del 21/11/2007”, ad “altra raccomandata AR del *****”, ad “altra raccomandata AR del ***** e del *****”, ad “altra raccomandata AR del *****”, al “contratto del *****”, alla “missiva del Comune di Ceglie Messapica in data *****, che si deposita in copia”, alla “dichiarazione di conformità del ***** e relativi allegati”, al “vaglia postale (depositato)” dell'*****”, al “vaglia postale (depositato)” del *****”, a “n. 21 ricevute di pagamento di canoni di locazione”, alla prova testimoniale) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti (es., l’atto di appello, la “postilla scritta a mano a pag. 2 dell’atto del *****”), senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va al riguardo ulteriormente sottolineato che il requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non risulta invero soddisfatto allorquando come nella specie vengano nel ricorso pedissequamente riprodotti (in tutto o in parte) atti e documenti del giudizio di merito (nel caso, l’atto di appello), in contrasto con lo scopo della disposizione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), essendo necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità (cfr. Cass., 8/5/2012, n. 6909), con l’eliminazione del “troppo e del vano”, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 25/9/2012, n. 16254; Cass., 16/2/2012, n. 2223; Cass., 12/9/2011, n. 18646; Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), sicchè il ricorrente è al riguardo tenuto a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema (v. Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698) il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

La soluzione di fare rinvio per la sommaria esposizione del fatto al suindicato atto in ogni caso non esime il ricorrente dall’osservanza del requisito – richiesto a pena di inammissibilità – ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso – come detto – non osservato laddove viene operato il riferimento de relato ad atti o documenti del giudizio di merito.

Va ulteriormente posto in rilievo come il ricorrente altresì prospetti doglianze di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’illogicità, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione nonchè l’omesso e a fortiori l’erroneo esame di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Non può infine sottacersi, con particolare riferimento al 5 motivo, che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi il ricorrente limitato a muovere apodittica e non argomentata doglianza, sicchè quanto dedotto si risolve nella proposizione in realtà di “non motivo” (cfr. Cass., 8/3/2018, n. 5541; Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537); e, per altro verso, che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in tema di spese processuali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il sindacato della Corte Suprema di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi come nella specie di dedotta soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (v., da ultimo, Cass., 17/10/2017, n. 24502).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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