LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11102-2017 proposto da:
D.A., C.M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO, 12/D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI, rappresentati e difesi dagli avvocati ARTURO MESSERE, FERDINANDO MASSARELLA giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Z.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MERULANA, 183, presso lo studio dell’avvocato AMANDA DE COSMO, rappresentata e difesa dall’avvocato FAUSTO PARENTE giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 41/2017 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 07/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza 12-9-2011 il Tribunale di Campobasso, previa riunione di tre giudizi, in accoglimento della domanda formulata – ex art. 2932 c.c. – da Z.C. (promittente acquirente) nei confronti dei coniugi (promittenti venditori) D.A. e C.M.G., dispose il trasferimento, in favore della Z., dell’immobile oggetto del preliminare stipulato tra le parti il *****, subordinandolo al pagamento della restante parte del prezzo (Euro 52.500,00) e rigettando le reciproche domande riconvenzionali.
Con sentenza del 1-7/2/2017 la Corte d’Appello di Campobasso ha rigettato il gravame proposto dai coniugi; in particolare la Corte, per quanto ancora rileva, ha dapprima precisato che nel preliminare in questione, avente ad oggetto una unità immobiliare in costruzione disposta su tre livelli, erano stati indicati analiticamente sia i lavori da eseguirsi a carico dei promittenti venditori sia il prezzo complessivo (Euro 155.000,00) da pagarsi da parte del promittente acquirente, sia la scadenza delle previste rate; nello stesso preliminare, inoltre, era previsto che le opere non elencate nel preliminare fossero a carico della promittente acquirente e che nulla sarebbe stato dovuto dai promittenti venditori oltre dette opere.
Ciò posto, condividendo sul punto quanto affermato dal primo Giudice, ha proceduto a comparare le dedotte reciproche inadempienze delle parti (e precisamente la richiesta, da parte dei promittenti venditori, di maggiori somme per la realizzazione di ulteriori opere non previste dal contratto, e la sospensione, da parte della promittente acquirente, del pagamento dell’ultimo saldo), ritenendo determinante la condotta dei promittenti venditori; quest’ultimi, infatti, avevano richiesto le dette maggiori somme (peraltro rilevanti) per lavori non contrattualmente previsti, eseguiti senza prova di alcun accordo tra le parti (e che, quindi, non potevano essere posti a carico della promittente acquirente), e non avevano dato alcun riscontro all’invito, rivolto con lett. racc. dalla promittente acquirente, di stipulare il rogito dinanzi al notaio dalla stessa indicato; non sussisteva, invece, l’inadempimento della Z., che aveva sospeso il pagamento dell’ultimo saldo (senza peraltro mai negare di doverlo pagare) solo a causa dell’inadempimento dell’altro contraente.
La Corte, inoltre, ha ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità della domanda ex art. 2932 c.c., sollevata per asserita diversità tra il bene oggetto della richiesta e quello promesso in vendita, rilevando, al riguardo, che, nonostante l’esecuzione di lavori ulteriori, non vi era detta diversità, non essendo mutata; nè la destinazione nè la sostanza del bene.
La Corte, ancora, ha ritenuto legittima, nonostante fosse estesa a tutto il terreno, la trascrizione della prima domanda giudiziale ad opera della Z., atteso che, al momento della proposizione della detta domanda, non era stato ancora eseguito il frazionamento necessario per dividere le varie zone dove erano state costruite le villette, sicchè nella trascrizione non poteva che essere compreso tutto il terreno; in ogni modo la correttezza del comportamento della Z. era stato dimostrato dalla circostanza che, nelle more del giudizio e dopo l’esecuzione del frazionamento, la stessa si era adoperata per far correggere la trascrizione; la legittimità del complessivo comportamento della Z. non poteva che comportare il rigetto di tutte le richieste risarcitorie avanzate dai promittenti venditori.
Avverso detta sentenza D.A. e C.M.G. propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Z.C. resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1453 e 2932 c.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, omessa pronunzia e sostanziale inesistenza della motivazione, lamentano che la Corte territoriale, ricalcando pedissequamente la motivazione della sentenza di primo grado, ed erroneamente interpretando il preliminare, abbia ritenuto che i lavori extracontrattuali eseguiti dai promittenti venditori non potessero essere posti a carico della promittente acquirente.
Censurano, inoltre, l’impugnata sentenza nella parte in cui la Corte, pur in presenza di specifiche censure, non aveva in alcun modo analizzato (o, comunque, aveva esaminato ripetendo però pedissequamente le motivazioni della sentenza di primo grado) le sollevate questioni concernenti l’inadempimento delle parti nonchè la rilevanza – ex art. 1453 c.c. – delle reciproche condotte dei contraenti; in ogni modo, in mancanza di collegamento sinallagmatico o logico-giuridico tra le due obbligazioni, il mancato pagamento dell’ultima rata da parte della promissaria acquirente non poteva ritenersi giustificato dalla richiesta dei promittenti venditori di pagamento di un’ulteriore somma per lavori extracontrattuali.
Sostengono, infine, che la domanda ex art. 2932 c.c. non poteva comunque essere accolta, in quanto chi l’aveva proposta non aveva eseguito la sua prestazione o non ne aveva fatto offerta nei modi di legge.
Il motivo, in ordine alla denunciata violazione delle regole di interpretazione, è inammissibile.
Come ripetutamente precisato da questa S.C. invero, “in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali” (Cass. 27136/2017).
Nel caso di specie, invece, sebbene siano state indicate in rubrica le norme violate, non è stato in alcun modo precisato in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali.
Il motivo è inammissibile anche ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che “in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso” (Cass. 5478/2018); al riguardo, nel caso in esame, non è stato riportato in modo completo il resoconto del preliminare, non potendo ritenersi sufficiente al detto fine nè l’operato richiamo al preliminare “in atti” nè lo stralcio dello stesso come riportato in ricorso.
Non sussiste, inoltre, la dedotta violazione dell’art. 2932 c.c..
La Z., invero, secondo quanto accertato dalla Corte (che ha accolto la domanda previo versamento del saldo), non si è resa inadempiente alla sua prestazione i ma ha solo sospeso il pagamento dell’ultima rata in conseguenza dell’inadempimento della controparte e, presentando domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., ha implicitamente offerto la sua controprestazione (conf. Cass. 24339/2017, secondo cui “in tema di contratto preliminare di compravendita, ove le parti abbiano previsto il pagamento del prezzo o (come nella specie) del relativo saldo contestualmente alla stipulazione del contratto definitivo, l’offerta della prestazione, richiesta dall’art. 2932 c.c., comma 2, può ritenersi implicita nella domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto, considerato che la verificazione degli effetti traslativi della sentenza di accoglimento, sostitutiva del non concluso contratto definitivo, deve essere necessariamente condizionata dal giudice all’adempimento della controprestazione”).
La censura è infondata anche in ordine al denunziato vizio motivazionale.
La Corte, in primo luogo, come in sostanza riferito dai ricorrenti, non ha omesso l’esame delle censure, ma ha espressamente analizzato gli inadempimenti delle parti contraenti, procedendo alla comparazione tra le rispettive condotte.
Nè può ritenersi, così come invece sostenuto in ricorso, che si sia limitata a ripetere in modo meramente pedissequo le argomentazioni della statuizione di primo grado, atteso che, invece, ne ha ripercorso le ragioni, spiegando anche i motivi della condivisione; tanto in linea con l’affermato principio di questa S.C., secondo cui nel processo civile, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un altro provvedimento giudiziario, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, come nel caso di specie, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (conf. Cass. sez. unite 642/2015).
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronunzia, error in procedendo, completa assenza di motivazione, vizio logico-giuridico”, lamentano che la Corte non abbia per nulla provveduto sulla richiesta (ribadita in appello) di condanna della controparte al pagamento, a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., delle somme pari al valore delle realizzate opere migliorative.
Il motivo è infondato.
La Corte, invero, sia pur non menzionando espressamente la richiesta di indebito arricchimento, si è tuttavia pronunciata sulla stessa, ritenendone non sussistenti i presupposti, in quanto i lavori in questione, non previsti dal contratto, non erano stati concordati tra le parti (non vi era prova al riguardo), e non potevano quindi essere posti a carico della promittente acquirente.
Con il terzo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, – “violazione e falsa applicazione dell’art. 2652 c.c., error in procedendo, violazione e falsa applicazione sotto ulteriore profilo dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., travisamento della prova, omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti”, lamentano che la Corte, nel decidere sull’illegittimità della trascrizione, non abbia considerato che la trascrizione della domanda relativa all’esecuzione in forma specifica del preliminare era stata effettuata ben tre anni prima della relativa domanda”.
Il motivo è inammissibile.
Anche a prescindere dal difetto di interesse, non essendo stati indicati specifici danni, siffatta ragione di illegittimità della trascrizione è nuova, non risultando essere stata dedotta in precedenza, e non può, pertanto, essere esaminata per la prima volta in sede di legittimità.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della resistente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018