LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15617-2017 R.G. proposto da:
S.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Marcello CARRIERO, presso il cui studio legale sito in Roma, alla via Ottaviano, n. 66, è elettivamente domiciliato;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– contro ricorrente –
avverso la sentenza n. 8233/11/2016 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata il 12/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.
RILEVATO
che:
1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di maggiori redditi d’impresa relativi all’anno di imposta 2007, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello proposto dal contribuente, esercente l’attività di gestione di autorimessa, avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, ritenendo che gli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione finanziaria evidenziavano una gestione antieconomica dell’attività che rendevano inattendibili i ricavi dichiarati, la cui entità, così come determinata dall’Ufficio finanziario, era stata congruamente ridotta dai primi giudici con valutazione equitativa.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il contribuente con due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio. Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 cod. civ. nonchè D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, sostenendo gli elementi indiziari addotti dall’amministrazione finanziaria a fondamento della pretesa fiscale erano privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e nonostante l’espressa contestazione mossa al riguardo, i giudici di appello si erano limitati ad elencarli senza pronunciarsi sulla sussistenza dei predetti requisiti.
2. Il motivo è palesemente infondato.
2.1. Al riguardo deve preliminarmente ricordarsi che “In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (Cass. n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638203).
2.2. Orbene, nel caso di specie i giudici di appello hanno evidenziato nella sentenza impugnata gli elementi di non coerenza logica della gestione dell’attività commerciale, quali “la presenza di un solo dipendente con una retribuzione di poco inferiore al reddito dichiarato dal datore di lavoro, l’incoerenza di tale reddito rispetto alla situazione familiare e patrimoniale del contribuente che, fra l’altro, versava annualmente, per soli interessi per mutui bancari Euro 4.140,00, la scarsa plausibilità dei ricavi dichiarati rispetto all’ubicazione dell’autorimessa, posta in zona centrale ad alta commerciabilità ed a traffico sostenuto e gestita, in base alle dichiarazioni del contribuente, con una limitata utilizzabilità dei posti macchina (venti in meno), rispetto alle licenze in possesso”, e li hanno correttamente ritenuti idonei a presumere una maggiore redditività conseguita nell’esercizio di quell’attività. Trattasi, infatti, di elementi indiziari dotati dei requisiti di gravità – nel senso della loro attitudine a produrre un significativo grado di convincimento in ordine all’esistenza del fatto ignoto -, della precisione – perchè determinati nella loro realtà storica – e della concordanza – ossia fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto – (v. Cass. n. 14206 del 2013). Peraltro, è noto il principio giurisprudenziale in base al quale, “allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell'”id quod prelumque accidit”, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale” (Cass., n. 12002 del 16/05/2017, Rv. 644300).
3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame da parte dei giudici di appello di fatti decisivi ai fini della decisione, costituiti dalle “adduzioni” e dai “diversi fattori” evidenziati in giudizio, in grado di superare le presunzioni dell’amministrazione finanziaria, e la “carenza di motivazione sul punto”.
3.1. riguardo va ricordato che il motivo di ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione attualmente vigente, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 non disciplina più la “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” bensì l’insufficiente, contraddittorio ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, perchè “con la nuova formulazione, si deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass. n. 11462 del 2018, che richiama Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 17761 del 2016). Sulla scorta di tale principio il motivo di ricorso con cui il ricorrente lamenta l’omesso esame di deduzioni difensive e di carenza di motivazione sul punto è quindi manifestamente inammissibile. Ma il mezzo di cassazione in esame è inammissibile anche là dove il ricorrente lamenta l’omesso esame dei “diversi fattori in grado di superare le presunzioni dell’Agenzia delle Entrate”, per difetto di autosufficienza, avendo il ricorrente del tutto trascurato di indicarli nel ricorso, nè gli stessi sono ricavabili dal contenuto della sentenza impugnata.
4. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato ed il contribuente condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018