Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25324 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15773-2017 proposto da:

R.C., E.G., elettivamente domiciliati in ROMA, LARGO SOMALIA n.67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, rappresentati e difesi dall’avvocato STEFANO SARZI SARTORI;

– ricorrenti –

contro

UNICREDIT S.P.A., C.F./P.I. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI n. 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, rappresentata e difesa dall’avvocato DARIO FINARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 277/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 22/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/05/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 29 ottobre 2010, Unicredit S.p.A. adiva il Tribunale di Mantova per sentir accertare la simulazione o l’inefficacia ai sensi dell’art. 2901 c.c. dell’atto dell’11 febbraio 2009 con il quale R.C. e E.G. conferivano alla società Oban Line Limited con sede in ***** un compendio di beni immobili. Con la lettera dell’11 novembre 2009 la banca aveva comunicato al debitore principale R. Srl, e ai garanti odierni ricorrenti il recesso dagli affidamenti e dal conto corrente, rilevando che i debitori non avevano provveduto a rientrare dallo scoperto di conto corrente. Per tale motivo aveva ottenuto il decreto ingiuntivo, emesso il 1 marzo 2010 dal Tribunale di Verona con la concessione della provvisoria esecutività nei confronti dei tre debitori, non opposto;

nel giudizio di simulazione la società inglese restava contumace e gli altri convenuti si costituivano. Il Tribunale di Mantova, con sentenza del 5 aprile 2013 dichiarava inefficace nei confronti dell’istituto di credito l’atto di conferimento impugnato, condannando i convenuti R. ed E. al pagamento delle spese di lite;

con atto di citazione del 18 novembre 2013 i convenuti proponevano appello formulando tre motivi di gravame. Unicredit S.p.A. si costituiva contestando la fondatezza e la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 22 febbraio 2017 rigettava l’impugnazione, confermava la sentenza del Tribunale e condannava la parte appellante alla rifusione delle spese;

avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione R.C. e E.G. affidandosi a tre motivi. Resiste in giudizio con controricorso Unicredit S.p.A. che illustra con memoria ex art. 380 bis c.p.c.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo deducono la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2901 c.c. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto esistente il presupposto della natura pregiudizievole dell’atto revocato in relazione a quello oggetto di revocatoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Oggetto di censura è la contraddittorietà della motivazione riguardo al profilo del pregiudizio dell’atto di conferimento posto in essere dai ricorrenti che si fonderebbe, secondo la Corte territoriale, sulla circostanza secondo cui l’inserimento di bene immobile in società costituisce, comunque, un atto pregiudizievole poichè a rischio. Ciò sarebbe dedotto dalla circostanza che la società Oban Line era inattiva. Al contrario, tale profilo costituiva garanzia dell’assenza di rischio. Nello stesso modo appare incomprensibile il valore attribuito alla circostanza che si tratti di società estera. Sotto altro profilo la nozione di rischio risulta non dimostrata, poichè non vi è alcuna verifica in ordine al fatto che le quote societarie avessero un valore inferiore rispetto ai beni immobili conferiti. Al contrario, si tratta di un atto neutro per i terzi, sotto il profilo patrimoniale, comportando la semplice sostituzione del diritto di proprietà su beni immobili con il diritto di partecipazione ad una società;

con il secondo motivo lamentano le medesime violazioni con riferimento al presupposto della consapevolezza del pregiudizio in capo ai ricorrenti che sarebbe fondato sul dato della durata della partecipazione sociale dei ricorrenti in Obama Line, pari a 10 mesi. Nello stesso modo non appare comprensibile il valore attribuito all’assenza di attività sociale e alla circostanza che i ricorrenti fossero anche gli amministratori della società di Oban Line;

con il terzo motivo deducono la violazione delle medesime disposizioni con riferimento al presupposto della partecipatio fraudis in capo alla società Obakop Line. Tale elemento, viene dedotto dalla Corte d’Appello da una serie di elementi presuntivi (stato di inattività della società, la circostanza che i ricorrenti erano gli unici soci della stessa, la breve durata della partecipazione sociale dei ricorrenti pari a 10 mesi, la successiva alienazione delle partecipazioni sociali, da parte dei ricorrenti, in un trust, il fatto che la società fosse domiciliata presso R.C.) che appaiono, invece, poco convincenti;

i motivi possono essere trattati congiuntamente poichè strettamente connessi. In primo luogo, per tutte le doglianze, è irritualmente citato il disposto dell’art. 112 c.p.c. con riferimento dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e non n. 4 come correttamente avrebbe dovuto essere formulato. Nello stesso modo, oggetto di censura sono apparentemente la contraddittorietà e l’incomprensibilità della motivazione, mentre le argomentazioni della Corte territoriale sono assolutamente ragionevoli e fondate su consolidati principi giurisprudenziali. Pertanto, le doglianze si collocano al di fuori del perimetro del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che riguarda esclusivamente l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo. Le censure, invece, riguardano sostanzialmente la congruità della motivazione, l’incisività e la valenza probatoria degli elementi adottati dalla Corte per ritenere provati i presupposti dell’azione revocatoria, prospettando una ricostruzione alternativa e richiedendo alla Corte di legittimità delle valutazioni in fatto, riferite a tutti gli elementi probatori più volte menzionati dalla Corte territoriale;

in particolare, quanto al primo motivo la Corte territoriale ha richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza secondo il quale il conferimento di un bene in società, comportando la sostituzione dello stesso con una partecipazione societaria costituisce atto pregiudizievole per i creditori (Cass. 12 febbraio 2000, n. 1904); tale considerazione viene corroborata dalla Corte territoriale dalla circostanza che si tratta pacificamente di una società estera, che presenta elementi di opacità che aggravano il profilo di rischio e questo certamente è sufficiente ove si consideri che il pregiudizio richiesto ai sensi dell’art. 2901 c.c. non deve consistere in un danno effettivo, ma nel pericolo di danno connesso ad ogni aggravamento della posizione debitoria (Cass. 13 giugno 2017 n. 14696). Oltre a tali valutazioni, in diritto, la Corte territoriale ha evidenziato una serie di forti elementi sintomatici, riportati anche dai ricorrenti, a sostegno del presupposto del pregiudizio e che non possono essere oggetto di differente valutazione in questa sede (stato di inattività della società, la circostanza che i ricorrenti erano gli unici soci della stessa, la breve durata della partecipazione sociale dei ricorrenti pari a 10 mesi, la successiva alienazione delle partecipazioni sociali, da parte dei ricorrenti, in un trust, il fatto che la società fosse domiciliata presso R.C.);

quanto al secondo motivo, il profilo della consapevolezza da parte del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore costituisce elemento sufficiente ai fini che qui rilevano (Cass. n. 5618 del 2016); tali elementi sono stati corroborati dalla documentazione relativa agli estratti conto, che attestavano una consistente perdita di esercizio alla data del conferimento, che la Corte d’Appello, con valutazione, in fatto, non sindacabile in questa sede, ha ritenuto idonei a dimostrare la scientia damni;

quanto al terzo motivo vanno ribadite le medesime considerazioni in ordine all’insindacabilità degli elementi probatori utilizzati, che hanno consentito alla Corte d’Appello, con una motivazione puntuale e rispettosa dei principi giuridici, di prendere atto della convergenza unitaria e sintetica di dati che consentono di ritenere provato, sulla base di presunzioni, che i debitori abbiano assunto le partecipazioni nella società al solo fine di conferire in essa il proprio patrimonio immobiliare. La società, d’altra parte, era stata utilizzata come veicolo per la sottrazione dei beni alle azioni esecutive, come un contenitore necessario allo scopo e la stessa era partecipe della consapevolezza richiesta dall’art. 2901 c.c. in considerazione del fatto che gli appellanti (odierni ricorrenti) detenevano quasi l’intero capitale sociale. Tale accertamento in fatto, adeguatamente argomentato sotto il profilo giuridico, non è sindacabile in sede di legittimità;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

La sorte del ricorso elide la possibile rilevanza dell’interrogazione sul rispetto della integrità del contraddittorio.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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