Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25377 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8829-2016 proposto da:

3B IMMOBILIARE DI B.L. & C SNC, in persona del legale rappresentante pro tempore sig.ra S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, V.CRESCENZIO 2, presso lo studio dell’avvocato EZIO BONANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICA SANTINON giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIO CACCINI 1, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO DODARO, rappresentato e difeso da quest’ultimo nonchè dall’avvocato GUIDO SARTORATO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

LLOYD ADRIATICO SPA, FALLIMENTO Tr.RE.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 2237/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 28/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/03/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CORRADO MISTRI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 1 luglio 2005, 3B Immobiliare conveniva in giudizio l’ingegnere T.V., progettista e direttore dei lavori di ristrutturazione eseguiti presso l’immobile di proprietà dell’attrice e l’impresa edile Tr.Re., appaltatrice delle opere edili, per sentirli condannare al pagamento delle opere necessarie per la eliminazione dei vizi manifestatisi sull’immobile e consistenti in infiltrazioni di umidità risalente per capillarità; si costituiva in giudizio il direttore dei lavori chiedendo il rigetto delle domande e, in via subordinata, l’accertamento del grado di responsabilità dei convenuti, evidenziando che i problemi di umidità erano dipesi dalla circostanza, nota alla committenza, che il proprietario dell’immobile confinante non aveva espresso il consenso al risanamento del muro comune; Chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l’assicuratore, Lloyd Adriatico S.p.A.; l’impresa Tr. si costituiva chiedendo il rigetto delle domande e la compagnia di assicurazione rilevava l’infondatezza della pretesa e, in via subordinata, chiedeva il rigetto della domanda di manleva;

il Tribunale di Venezia, Sezione distaccata di Dolo, con sentenza n. 165 del 2008 individuava la causa dei vizi lamentati, in pari misura, nella difettosa esecuzione dell’opera da parte dell’appaltatrice e nella mancata vigilanza da parte del direttore lavori, condannando i convenuti in solido al risarcimento dei danni;

avverso tale decisione proponevano separati atti di appello, sia l’impresa edile, che l’Ing. T.; i procedimenti venivano riuniti e la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 28 settembre 2015, riteneva di poter definire l’appello introdotto dal professionista, mentre quello anteriore, introdotto dall’impresa edile necessitava di supplemento istruttorio per tale motivo disponeva con contestuale ordinanza la separazione dei “giudizi; Rilevava che la causa principale delle infiltrazioni era stata attribuita dal T., nella relazione del 9.9.2002, all’umidità ascendente per capillarità a causa del diretto contatto con il massetto e che la committenza aveva scelto le soluzioni individuate dal professionista senza pretendere l’esecuzione di interventi definitivi e accettandole senza riserve; sulla base di tali ed altri rilievi (v.p. 14 e segg. della sentenza impugnata) escludeva la responsabilità dell’ingegnere T. con conseguente rigetto delle domande proposte da 3B Immobiliare; pertanto, disposta la separazione dei giudizi in accoglimento dell’appello rigettava le pretese nei confronti del professionista;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la SNC 3B Immobiliare di L.B. & C. affidandosi a due motivi; Resiste in giudizio T.V. con controricorso Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c.; il Procuratore generale conclude per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità del procedimento e della sentenza ai sensi dell’art. 43, comma 3, L. Fall., rilevando che il difensore dell’impresa edile Tr., con dichiarazione del 20 gennaio 2016, successiva al deposito della sentenza di appello aveva chiesto l’interruzione del processo a seguito del fallimento di Tr.Re., dichiarato con sentenza del Tribunale di Venezia del 19 febbraio 2010; pertanto, entrambi i procedimenti di appello avrebbero dovuto essere dichiarati interrotti, con conseguente nullità della sentenza;

con il secondo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 poichè la Corte territoriale non avrebbe esaminato adeguatamente le risultanze della consulenza di ufficio espletata in primo grado fondando la propria decisione su circostanze marginali e destituite di fondamento;

il primo motivo è infondato poichè nell’ipotesi di cause connesse e scindibili l’evento interruttivo relativo ad una delle parti opera solo in relazione al procedimento che la riguarda (Cass. Sezioni Unite, 22 aprile 2013, n. 9686);

nel caso di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili, che comporta un litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti confluiti in un unico processo, l’evento interruttivo relativo ad una delle parti di una o più delle cause connesse, opera di regola solo in riferimento al procedimento (o ai procedimenti) di cui è parte il soggetto colpito dall’evento; in tal caso non è necessaria o automatica la contestuale separazione del processo interrotto dagli altri riuniti o trattati unitariamente, salvo sempre il potere attribuito al giudice dall’art. 103 c.p.c., comma 2, per cui difettando una tempestiva riassunzione ovvero se questa o la ripresa del procedimento interrotto siano avvenute nei termini dell’art. 305 cod. proc. civ., ma vi sia stata, nelle more della quiescenza da interruzione, attività istruttoria rilevante per la causa interrotta, il giudice potrà, esercitando tale potere, disporre la separazione dagli altri procedimenti di quello colpito da evento interruttivo per il quale – se necessario – potranno eventualmente rinnovarsi tutti gli atti istruttori assunti senza la partecipazione della parte colpita dalla perdita di capacità processuale (Cass. Sez. U, n. 15142 del 05/07/2007, Rv. 598541 – 01);

nel caso di specie tra le cause introdotte con separati atti di appello, rispettivamente dall’impresa edile Tr. e dall’ingegnere T., non ricorre ipotesi riconducibile al litisconsorzio necessario, trattandosi di controverse scindibili e successivamente separate con ordinanza emessa contestualmente alla sentenza di appello oggetto di gravame; Ne discende che nell’ipotesi di cause proposte in un unico processo nei confronti di più soggetti, come nella fattispecie concreta, la mera sussistenza della solidarietà passiva tra i convenuti non è sufficiente a fare ritenere la inscindibilità delle cause atteso che, alla luce delle posizioni processuali assunte dagli originari convenuti, le responsabilità ascritte non sono configurate in modo tale che quella dell’uno presupponga ovvero escluda quella dell’altro;

inoltre, l’effetto interruttivo costituito dalla sentenza di fallimento è stato reso noto solo in data 20 gennaio 2016, dopo la decisione di secondo grado e dopo il provvedimento di separazione dei due contesti di impugnazione originariamente riuniti;

il secondo motivo è viziato da difetto di autosufficienza riguardo al contenuto della consulenza tecnica d’ufficio ed è, altresì, inammissibile poichè attiene a valutazioni di merito in relazione alla rilevanza ed alla concludenza delle diverse prove emerse in corso di giudizio; profili non sindacabili in sede di legittimità poichè di esclusiva competenza del giudice di merito come emerge chiaramente dal contenuto della sentenza di appello non ricorre l’ipotesi di omessa valutazione dei fatti emersi dalle indagini effettuata dal consulente di ufficio, poichè tali profili sono espressamente presi in considerazione dalla Corte territoriale, unitamente agli altri elementi di prova emersi e il giudice di appello è pervenuto ad una decisione diversa rispetto alle conclusioni del consulente d’ufficio sulla base di un percorso argomentativo motivato e coerente;

il motivo di censura, si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito; parte ricorrente, difatti invoca una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente sostenibili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva; le considerazioni che precedono superano le deduzioni da ultimo contenute nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. della ricorrente secondo cui il motivo erroneamente era stato impostato quale violazione di legge, mentre avrebbe dovuto correttamente riferirsi all’ipotesi cui all’art. 360 c.p.c., n. 5; fattispecie questa che, nell’attuale formulazione, consente un ambito di sindacato ancora più esiguo;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, òda parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 15 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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