Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25517 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24554-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: *****), nei cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Dueffe s.r.l. in liquidazione;

Investimenti s.r.l. in liquidazione;

– intimati –

avverso la sentenza n. 47/2011 emessa dalla CTR di Firenze in data 02/05/2011 e notificata il 24/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/06/2018 dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

RITENUTO IN FATTO

L’Ufficio finanziario, con avviso di rettifica e liquidazione n. ***** del 28/11/2008 e notificato il 03/12/2008, accertava una maggiore imposta di registro per l’anno ***** pari a Euro 487.502,79, oltre interessi per Euro 20.109,49 e sanzioni per Euro 486.146,00.

Oggetto della rettifica era la cessione di un complesso aziendale da parte della I.M.M. s.p.a. (poi Nuovi Investimenti s.r.l. in liquidazione) alla I.M.M. International s.r.l. (poi DUEFFE s.r.l. in liquidazione) avente ad oggetto la produzione e il commercio al minuto di maglieria, prodotti tessili dell’abbigliamento e di arredamento in genere, corrente in *****.

L’avviso di rettifica e liquidazione scaturiva da un p.v.c. della G.d.F. a conclusione di una verifica fiscale eseguita a carico della società I.M.M. s.p.a. che aveva constatato l’infedele dichiarazione del valore dell’attivo e, precisamente, delle voci “partecipazioni” e “avviamento”. L’Ufficio rettificava la voce “partecipazioni” relative alle tre società straniere controllate da Euro 15.465.491,00 a Euro 22.579.112,19 e la voce “avviamento” da Euro 1.000.000,00 dichiarato a Euro 10.091.249,24.

La Nuovi Investimenti s.r.l. e la DUEFFE s.r.l. impugnavano l’avviso di rettifica e liquidazione con il quale il valore dichiarato era stato elevato di Euro 16.204.869,80 adottando il metodo “R.O.E.” e di Euro 5.783.833,63 applicando il metodo di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 4.

La C.T.P. di Pistoia, espletata una c.t.u., riteneva corretta l’applicazione dei criteri desumibili dal D.P.R. n. 460 del 1996 (art. 2, comma 4), non considerando, invece, applicabile il metodo R.O.E..

Pertanto, con sentenza n. 222/02/09 depositata in data 09/11/2009, in parziale accoglimento dei ricorsi, determinava il valore dell’azienda ceduta in Euto 160.000,00.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la detta sentenza, insistendo sulla correttezza del proprio operato (per essere il metodo utilizzato nella valutazione aziendale più corretto e veritiero) e chiedendo in via principale l’applicazione del valore estremo superiore (Euro. 4.630.158,48) e, in subordine, un valore non al di sotto dell’estremo inferiore (Euro. 1.351.091,96).

Le controparti DUEFFE s.r.l. in liquidazione e NUOVI INVESTIMENTI s.r.l. si costituivano in giudizio, proponendo, a loro volta, appello incidentale. Con sentenza del 2.5.2011, la C.T.R. di Firenze rigettava l’appello e dichiarava inammissibile il gravame incidentale, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) l’appello incidentale del contribuente era inammissibile in quanto tardivo, essendo stato proposto oltre il termine di 60 giorni dalla notifica dell’appello principale;

2) nel merito, premesso che il D.P.R. n. 460 del 1996 costituiva la normativa di riferimento fiscale per determinare l’avviamento in tema di imposta di registro, i metodi utilizzati dalla G.d.F. e fatti propri dall’Ufficio non erano utilizzabili materia tributaria.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di un unico motivo. La DUEFFE s.r.l. in liquidazione e la NUOVI INVESTIMENTI s.r.l. non svolgevano difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1, 36 e 60 e artt. 132 e 161 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essere stata la sentenza impugnata sottoscritta dal giudice estensore-relatore, ma dal solo Presidente non estensore.

2.1. Il motivo è, per quanto di ragione, fondato.

In base al D.Lgs. n. 546 del 1992, comma 2, art. 36, “La sentenza… è sottoscritta dal presidente e dall’estensore”.

Sez. U, Sentenza n. 11021 del 20/05/2014, ha in qualche modo rivisto quello che sembrava ormai essere un orientamento consolidato in seno a questa Corte, secondo cui, qualora la sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale sia sottoscritta solo dal presidente, che però non risulti cumulare in sè anche la qualità di estensore, tale mancanza rende la predetta sentenza viziata da nullità insanabile ex art. 161 c.p.c., comma 2, che può essere fatta valere anche in sede di giudizio di cassazione e, ove non allegata dalla parte, rilevata anche d’ufficio dalla Corte, con annullamento del provvedimento impugnato e remissione della causa al medesimo organo giudicante che ha adottato la decisione priva di sottoscrizione (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22705 del 08/11/2010).

Le Sezioni Unite hanno ritenuto, invece, che la soluzione della quaestio furis andasse trovata, valorizzando la distinzione tra “mancanza” e “insufficienza” della sottoscrizione del giudice.

Mentre la mancanza di sottoscrizione impedisce la riconducibilità dell’atto al giudice collegiale, l’insufficiente sottoscrizione da parte del giudice collegiale non impedisce che (tramite la firma presente) la sentenza sia direttamente ascrivibile al giudice che l’ha pronunciata.

Le considerazioni sulle quali si basa la statuizione sono due:

a) secondo un criterio di normalità, la mancanza di una delle firme di una sentenza collegiale è normalmente (cioè nella quasi totalità dei casi) dovuta a semplice dimenticanza;

b) è irrazionale far derivare da un mero, banalissimo errore conseguenze così catastrofiche per la parte vittoriosa e conseguenze così clamorosamente favorevoli per la parte soccombente.

Questi rilievi, che possono condensarsi nel principio di razionalità, sono, a loro volta, rafforzati dal principio di ragionevole durata del processo e della sua diretta implicazione operativa: cioè il criterio di efficienza processuale. In base a questo principio, poichè le nullità insanabili hanno un effetto devastante sul processo, un tale effetto si giustifica solo se il costo del ritardo è bilanciato (e dunque giustificato) dal risultato di accrescere sensibilmente la giustizia del processo. Pertanto, il principio di ragionevole durata trova un limite insormontabile nel principio del giusto processo.

In quest’ottica, un’interpretazione che sancisse la nullità assoluta della sentenza priva di una delle due sottoscrizioni rappresenterebbe un vulnus alla ragionevole durata del processo, ma – al tempo stesso – sarebbe una ferita aperta allo stesso principio del giusto processo, perchè si annullerebbe una sentenza conforme al giusto processo.

La distinzione, invece, tra mancanza e insufficienza della sottoscrizione schiva tutti questi inconvenienti e ripristina la razionalità del sistema: non si può rispondere a quello che è – secondo criteri di normalità – un banale errore di dimenticanza con una reazione così spropositata come la nullità assoluta. Occorre una rispondenza logica – cioè una proporzione – tra azione e reazione: all’errore per dimenticanza si reagisce col meccanismo della nullità sanabile, cioè dell’art. 161 c.p.c., comma 1. La nullità c’è perchè la fattispecie processuale concreta non è conforme al tipo normativo, in quanto un elemento strutturale di essa – pur essendoci – è difettoso.

Tuttavia, si tratta di un vizio emendabile, nel senso che la mancata proposizione del motivo di impugnazione dà luogo ad una fattispecie processuale alternativa – normativamente prevista dall’art. 161 c.p.c., comma 1 – equipollente a quella tipica ed idonea al raggiungimento dello scopo (Sez. 5, Sentenza n. 9440 del 12/04/2017). 1.2. Ciò debitamente premesso, nel caso di specie, premesso che risulta ex actis che la sentenza della CTR è stata sottoscritta dal solo presidente del collegio (che non coincideva con la persona del giudice estensore), per quanto non si sia al cospetto di una nullità assoluta ed insanabile, l’Agenzia delle Entrate ha tempestivamente impugnato la sentenza affetta dalla detta nullità (sollevando lo specifico motivo), la quale, a sua volta, non risulta sanata medio tempore da altra pronuncia sottoscritta anche dal giudice estensore. 2. In definitiva, il ricorso merita di essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, anche ai fini del governo delle spese relative alla presente fase di giudizio, alla CTR di Firenze in differente composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche ai fini delle spese della presente fase di giudizio, alla CTR di Firenze in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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