Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25541 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1129-2014 proposto da:

FLEXIDER S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GRAMSCI 20, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO PERONE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO AUDISIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ELENA POLI e SAVINA BOMBOI, giusta delega in atti;

Avverso la sentenza n. 802/2013 della CORTE DI APPELLO DI TORINO, depositata il 05/07/2013, R.G.N. 1116/2012.

RILEVATO

1. che con sentenza n. 802/2013 la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata accolta la domanda di S.V. intesa, previo accertamento della illegittimità della sospensione connessa a due procedure di CIGS avviate dalla Flexider s.r.l., alla condanna della società datrice al pagamento delle differenze tra quanto percepito e quanto spettante ove non illegittimamente collocato in CIGS;

1.1. che, per quel che ancora rileva, il giudice di appello, disattesa la eccezione di carenza di interesse ad agire del lavoratore per essere questi addetto al reparto Automotive, reparto comunque destinatario di entrambe le procedure, ha ritenuto che la comunicazione L. 23 luglio 1991, n. 223, ex art. 1, comma 7, di apertura della procedura, comunicazione ravvisabile nel verbale di accordo con le organizzazioni sindacali del 14.12.2006, non soddisfaceva le esigenze di trasparenza e verificabilità della scelta dei lavoratori da sospendere; i criteri indicati, infatti, risultavano generici in quanto facevano riferimento alla “professionalità”, “fungibilità” “poliprofessionalità” senza indicare i parametri concreti ai quali ancorare la relativa verifica; inoltre, non risultava neppure rigorosamente predifinito l’ambito di applicazione della CIGS, in relazione alle professionalità coinvolte (“… principalmente riferita all’attività produttiva auto”) e al numero dei lavoratori interessati (“tale intervento riguarderà mediamente 105 lavoratori”); alcuna ulteriore specificazione era dato rinvenire negli atti successivi della procedura e cioè nel verbale di esame congiunto nella medesima data, nè in quello del 20.12.2007 relativo alla seconda procedura CIGS, nè nel verbale di accordo del 17.12.2008 ed in quello di esame congiunto del 22.5.2009 relativi alla proroga;

1.2. che analoga genericità si rinveniva con riguardo ai criteri per la rotazione posto che nel verbale di accordo e nel verbale di esame congiunto del 14.12.2006 si leggeva che per il primo quadrimestre essa avrebbe riguardato i lavoratori principalmente nell’ambito dei reparti auto *****, senza alcuna precisazione, in via preventiva, di quali altri lavoratori avrebbero potuto essere interessati in via residuale; si leggeva, inoltre, che una limitata e parziale rotazione avrebbe interessato lavoratori monoreddito con carichi di famiglia compatibilmente con le possibilità offerte dalle attività lavorative residue, senza indicare nè le ragioni di tale decisione, nè i parametri di riferimento per individuare i possibili destinatari, sia in termini numerici sia in termini di fungibilità rispetto alle attività lavorative residue;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Flexider s.r.l. sulla base di sette motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

3. che entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 1, 4 e 5 e della L. n. 164 del 1975, art. 5 in combinato disposto con l’art. 100 c.p.c. e con l’art. 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere affermato la sussistenza dell’interesse ad agire del lavoratore sulla base del solo rilievo del carattere imperativo delle norme che disciplinano la concessione della CIGS, senza richiedere anche la prospettazione di uno specifico fatto lesivo, prospettazione in concreto mancata;

2. che con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 e/o comma 8, cit. e della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5 per avere la sentenza impugnata ritenuto insufficiente il contenuto delle comunicazioni L. n. 223 del 1991 cit., ex art. 1, comma 7, anche alla luce degli artt. 1175 e 1375 c.c., in ogni caso in combinato disposto con gli artt. 2697 c.c. e degli artt. 115,116 e 416 c.p.c., nonchè degli artt. 2909 e 324 c.c. per non avere ritenuto provato ed incontestato in causa il sufficiente grado di precisione del contenuto di quelle comunicazioni. Si censura, in sintesi, la sentenza impugnata sul rilievo che il grado di precisione dei criteri di individuazione dei lavoratori da collocare in CIGS, così come di quelli relativi alle modalità della rotazione, doveva essere verificato non, come avvenuto, in astratto, bensì in concreto, sulla base di elementi oggettivi e verificabili, trovando, in ogni caso, un limite oggettivo nel perimetro delineato dalle deduzioni del lavoratore; in questa prospettiva ci si duole della mancata considerazione della non contestazione degli esiti della espletata istruttoria dalla quale era emerso che il lavoratore era stato correttamente posto in CIGS in quanto impiegato nel settore produttivo Automotive, reparto, ***** destinato alla soppressione, che la rotazione tra i lavoratori era stata effettiva e che non era emersa una situazione di discriminazione;

3. che con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991 cit., art. 1, comma 7 e/o comma 8, della L. n. 164 del 1975 cit., art. 5 per avere la sentenza impugnata ritenuto carente di specificità il contenuto delle comunicazioni L. n. 223 del 1991, ex art. 1, comma 7 con riguardo alle modalità di applicazione del meccanismo della rotazione, in ogni caso in combinato disposto con l’art. 27697 c.c. e degli artt. 115,116 e 416 c.p.c. nonchè degli artt. 2909 e 324 c.c. per non avere il giudice di appello ritenuto provato ed incontestato in causa il sufficiente grado di precisione di quelle comunicazioni con riguardo alle modalità applicative del meccanismo della rotazione; si assume che la sentenza omette di considerare che la mancata esplicitazione delle ragioni di addivenire alla rotazione non rileva ai fini della specificità dei criteri della rotazione stessa e che tali criteri erano ricavabili dalla comunicazione che, nell’indicare i lavoratori monoreddito con carichi di famiglia come quelli che sarebbero stati assoggettati ad una parziale e limitata rotazione, implicava la decisione di assoggettare tutti gli altri alla rotazione; si evidenzia, inoltre, che le risultanze istruttorie avevano confermato la omogenea applicazione del meccanismo della rotazione e si richiamano le allegazioni della memoria difensiva di essa società non espressamente contestate da controparte e valutabili ai sensi dell’art. 115 c.p.c..

4. che con il quarto motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con riguardo alle risultanze istruttorie ed evidenze documentali che dimostravano la precisione dei criteri identificativi e la loro corretta applicazione nonchè l’effettiva applicazione del meccanismo della rotazione;

5. che con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione del L. n. 223 del 1991 cit., art. 1, comma 7 e/o comma 8, in combinato disposto con gli artt. 2697 e 2909 c.c., con l’art. 324 c.p.c. e con gli artt. 115,116 e 416 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto assolto l’onere della prova gravante sul lavoratore, circa i profili di presunta illegittimità delle comunicazioni in oggetto sia con riguardo ai criteri identificativi dei lavoratori da porre in cassa integrazione sia con riguardo all’indicazione delle modalità applicative della rotazione; si richiama la istruttoria espletata la quale aveva dimostrato l’osservanza dei precetti normativi da parte della società nonchè il fatto che la rotazione era stata applicata con regolarità tra tutti i dipendenti impiegati nel settore produttivo Automotive; il lavoratore, al contrario, non aveva fornito evidenza nè della violazione dei canoni di correttezza e buona fede, nè di presunti motivi illeciti, nè della circostanza per cui criteri diversi da quelli utilizzati avrebbero fatto cadere la scelta su un altro lavoratore, nè, infine, del ricorrere delle condizioni di fungibilità e intercambiabilità delle mansioni per cui egli avrebbe potuto essere preferito ad altri nella rotazione;

6. che con il sesto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione di nome di diritto con riferimento alla L. n. 223 del 1991 cit., art. 1, comma 7 e/o comma 8, in combinato disposto con la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 5, e con l’art. 1362 c.c., per avere la sentenza impugnata trascurato che l’avviamento della procedura di CIGS rispondeva ad un’espressa richiesta delle parti sociali, già convocate ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4 cit. e che, pertanto, essa si inseriva nella già avviata procedura di licenziamento collettivo; si assume l’errore del giudice di appello il quale, pur dando atto della circostanza, aveva ritenuto che essa non poteva comportare la pretermissione o il superamento, anche parziale, degli obblighi di comunicazione che costituiscono il cardine della legittimità della procedura; si sostiene che l’applicazione congiunta ed interdipendente degli istituti portati dalla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 1 non necessitava affatto di una disciplina ad hoc che illustrava la possibilità o meno di derogare ai canoni di legittimità espressi da quelle norme e che la lettura coordinata tra le norme citate avrebbe dovuto implicare la valorizzazione del consenso raggiunto tra le parti e della sottoscrizione dei verbali da parte delle organizzazioni sindacali;

7. che con il settimo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione di nome di diritto con riferimento alla L. n. 223 del 1991 cit., art. 1, comma 7 e/o comma 8, alla L. n. 164 del 1975, art. 5 e all’art. 1362 c.c.; si censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto che l’intervenuto accordo tra la Società e il Sindacato fosse idoneo a superare eventuali anomalie formali attinenti alle modalità di consultazione di cui alla L. n. 223 del 1991 cit., art. 1, comma 7, e alla L. n. 164 del 1975 cit., art. 5 atteso che, comunque, era stata raggiunta la finalità perseguita dalle norme richiamate;

8. che il primo motivo di ricorso è infondato;

8.1. che secondo la giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi a partire da Cass. Sez. Un. 11/5/2000 n. 302, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale implicante una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5. (per tutte: Cass. 23/4/2004, n. 7720; Cass. 4/5/2009, n. 10236; Cass. 1/7/2009, n. 15393; Cass. 2/9/2011, n. 19235).

8.2. che, sul presupposto che la comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 1, comma 7 cit. è stata prevista per assolvere ad una duplice funzione, essendo diretta, per un verso, a porre le organizzazioni sindacali in grado di concordare la scelta dei lavoratori da sospendere e per un altro verso, ad assicurare la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell’impresa (così Cass. Sez. Un. n. 302/2000 cit. in motivazione) è stato puntualizzato, che in tema di procedimento per la concessione della CIGS la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati dalla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, (Cass. n. 13240 e n. 15393 del 2009; conf. Cass. n. 19618 del 2011, n.7459 del 2012);

8.3. che tale ultima violazione non può ritenersi sanata dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (Cass. n. 13240 e n. 15393 del 2009). Rispetto alla suindicata giurisprudenza non si pongono in contraddizione – come chiarito da Cass. 28/11/2008, n. 28464. – le sentenze nelle quali è stato precisato che gli accordi sindacali possono porre rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazioni previsti all’inizio della procedura di messa in cassa integrazione. In tali sentenze, infatti, l’indicata affermazione è sempre stata effettuata sull’esplicito presupposto secondo cui diversamente da quanto si è verificato nella fattispecie in esame detti accordi, per il loro contenuto, facciano ritenere raggiunti i fini sottesi alle iniziali comunicazioni sia per quanto attiene la specificazione dei criteri di scelta da adottare sia per le modalità della loro concreta applicazione (vedi, in tal senso: Cass. 2/8/2004 n. 14721; Cass. 5/5/2004 n. 8353; Cass. 21/8/2003, n. 12307; Cass. 29/5/2006, n. 12719; Cass. 28/10/2008, n. 25892; Cass. 21/12/ n. 25851);

8.4. che tale ultima ipotesi non ricorre nel caso di specie avendo il giudice di merito espressamente accertato la genericità dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere con riferimento al contenuto dei verbali di esame congiunto riferiti sia alla prima che alla seconda procedura di CIGS e del verbale di accordo e di esame congiunti relativi alla proroga di quest’ ultima (v. sentenza, pag. 18 e sgg.);

8.5. che la rilevata inidoneità dei criteri indicati nella comunicazione di apertura a consentire la individuazione dei dipendenti interessati dalla sospensione, determinando la illegittimità della procedura di CIGS è sufficiente a radicare l’interesse ad agire del lavoratore che sulla base di tale illegittima procedura sia stato sospeso;

8.6. che, infatti, la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori proprio in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19/8/2003, n. 12137; Cass. 18/5/2006, n. 11660);

8.7. che la messa in cassa integrazione ed il connesso ridotto trattamento economico del lavoratore originario ricorrente evidenziano la concretezza ed attualità dell’interesse ad agire per far valere la illegittimità della procedura;

8.8. che, in ogni caso, la generica indicazione dei criteri dei lavoratori da sospendere, impedendo ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offre alcun parametro comparativo rispetto alla posizione di altri lavoratori, idoneo ad evidenziare la esistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli, come, invece, sostenuto dalla società nel prospettare la necessità di un’indagine prognostica per la verifica della sussistenza in concreto dell’interesse ad agire;

9. che il secondo motivo di ricorso è infondato;

9.1. che, la verifica della adeguatezza della comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 1, comma 7 sotto il profilo della specificità dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e delle modalità della rotazione costituisce valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, ove sia assistita, come nel caso di specie, da motivazione sufficiente e priva di vizi logici (v. tra le altre, Cass. 9/6/2015 n. 11957, in motivazione; Cass. 10/5/2010 n. 11254, in motivazione). Il giudice di appello con motivazione senz’altro congrua ha ritenuto la genericità ed inadeguatezza del alla “professionalità”, “fungibilità” “poliprofessionalità” in assenza di parametri concreti ai quali ancorare la relativa verifica. Tale valutazione di genericità non è inficiata dalle deduzioni della odierna ricorrente secondo la quale, la quale il grado di precisione dei criteri di individuazione dei lavoratori da collocare in CIGS, così come di quelli relativi alle modalità della rotazione, doveva essere verificato non, come avvenuto, in astratto, bensì in concreto, sulla base di elementi oggettivi e verificabili, e, nello specifico sulla base esiti della espletata istruttoria. La tesi è priva di fondamento normativo ponendosi in insanabile contrasto con la garanzia, di natura essenzialmente procedimentale, riconosciuta alla disciplina dettata dalla L. n. 223 del 1991 cit. in tema di CIGS, garanzia destinata ad operare, come ricordato, su un duplice piano di tutela – delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali assolvendo alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato alla sospensione, la previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro (Cass. 26/09/2011 n. 19618; Cass. 03/07/2009 n. 15964);

9.2. che in coerenza con la disciplina e le finalità della L. n. 223 del 1991 la verifica del rispetto degli obblighi procedurali non può che collocarsi logicamente e cronologicamente in un momento antecedente a quello della concreta selezione dei lavoratori da sospendere e della applicazione della rotazione e quanto ora osservato assorbe ogni rilievo formulato dalla società in punto di necessità di verifica “in concreto”, necessariamente successiva, del grado di precisione dei criteri di individuazione dei lavoratori da collocare in CIGS, così come di quelli relativi alle modalità della rotazione;

10. che il terzo motivo di ricorso, il quale censura la sentenza impugnata sul rilievo che la verifica di specificità della comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 1, comma 7, con riguardo all’applicazione del meccanismo della rotazione, doveva essere effettuata sulla base della prova orale la quale aveva attestato la piena applicazione di tale meccanismo, deve essere respinto per le ragioni già evidenziate nell’esame del secondo motivo in relazione alla funzione di garanzia di natura procedimentale riconosciuta alla procedura di messa in CIGS, alla stregua della quale la valutazione di conformità della stessa alle prescrizioni di legge andava effettuata ex ante e non, come sostenuto, ex post in relazione agli esiti della prova;

11. che il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto articolato con modalità non coerenti con la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata, successiva al 10 settembre 2012, (D.L. 22 giugno 2012, art. 54, comma 3, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134). Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., secondo 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale)tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso;

11.1. che parte ricorrente, a prescindere dalla modalità non autosufficienti con le quali sono state richiamate le emergenze istruttorie alla base della censura, omette di individuare il fatto storico di rilevanza decisiva oggetto di discussione tra le parti non considerato dal giudice di merito risultando a tal fine inidoneo il mero richiamo alle deposizioni testimoniali acquisite in giudizio e formatesi in altro analogo giudizio definito con pronunzia favorevole al lavoratore;

11.2. che in ogni caso la verifica della requisito di specificità dei criteri, espressione di attività valutativa riservata al giudice di merito, non potrebbe essere accertata sulla base della esperita istruttoria che ha ad oggetto la ricostruzione del fatto e non la sua valutazione;

12. che il quinto motivo di ricorso è infondato.

12.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che il dato documentale evidenziava la non conformità al parametro di legge della comunicazione L. n. 223 del 1991 cit., ex art. 1, comma 7, e affermato che sulla parte datoriale gravava la prova della rigorosa osservanza dei requisiti di legge per la legittimità della procedura e solo in ipotesi di vaglio positivo di tali requisiti – ipotesi non ricorrente nello specifico – sorgeva l’onere per il lavoratore di provare il mancato rispetto nei propri confronti dei criteri legittimamente adottati. Le censure articolate con il motivo in esame non inficiano la correttezza di tale ragionamento per le considerazioni sopra espresse (v. in particolare paragrafi 9.1.e.9.2.) in quanto muovono dalla errata prospettiva che sia possibile desumere ex post, con riguardo alle concrete emergenze di causa, la sussistenza della specificità dei criteri di selezione dei lavoratori da sospendere e delle modalità applicative della rotazione, laddove, si ribadisce, tale valutazione prescinde da ogni riscontro probatorio relative alle concrete modalità di applicazione dei criteri di selezione dei lavoratori e delle modalità di applicazione della rotazione. Quanto ora osservato rende ininfluenti le deduzioni della ricorrente relativa alla mancata prova da parte del lavoratore della violazione dei criteri di correttezza e buona fede o della sussistenza di un intento discriminatorio nella effettuazione della concreta selezione dei lavoratori da sospendere da parte del datore di lavoro posto che la valutazione di illegittimità della procedura si arresta al momento di invio della comunicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7;

13. che il sesto e settimo motivi, trattati congiuntamente per evidente connessione, sono infondati, in quanto, come già osservato dal giudice di merito, il particolare contesto nel quale si sono svolte le procedure in controversia ed in particolare l’avvenuto avvio della procedura di cigs ad istanza delle organizzazioni sindacali al fine di superare le inevitabili ricadute occupazionali negative connesse alla chiusura del reparto Automotive e servizi connessi ed in tal modo ottenere il “congelamento” della procedura di mobilità, non configura alcuna ipotesi, normativamente ammessa, di deroga alla prescrizioni procedurali di legge; tantomeno è consentito di valorizzare il consenso raggiunto tra le parti e la sottoscrizione dei Verbali da parte delle organizzazioni sindacali, per superare le carenze riscontate nella comunicazione valendo i principi già espressi (v. paragrafo 8.3.) in relazione all’esclusione della efficacia sanante degli accordi successivi in presenza di comunicazione assolutamente generica;

14. che al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;

15. che la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione in favore del procuratore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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