Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.25681 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25789-2014 proposto da:

F.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato ALBERTO PANUCCIO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questo in ROMA, VIA SISTINA 121;

– ricorrente –

contro

M.M., quale curatore dell’eredità di Fi.Ca., in parte giacente ed in parte rilasciata ai creditori, rappresentato e difeso dall’Avvocato G. CARLO GRILLO, ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POSTUMIA 1 (studio DSG);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 101/2014 della CORTE DI APPELLO di REGGIO CALABRIA, pubblicata il 17/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con scrittura privata del 28.2.1973 l’IMPRESA AN.MA., appaltatrice dei lavori di movimento terra e reinterri commissionati dalla C.T.I.P. S.P.A. e dal CONSORZIO NUCLEO INDUSTRIALE DI REGGIO CALABRIA (CONSORZIO ASI), stipulava contratto di sub-appalto con l’IMPRESA A.F., con il quale si obbligava a corrispondere al F. l’esatta metà dei prezzi netti di capitolato (voce per voce). L’impresa F. eseguiva tutti i lavori oggetto del contratto ed emetteva regolari fatture. L’impresa M. conseguiva dai committenti C.T.I.P. s.p.a. e Consorzio ASI compensi revisionali, il cui 50% non veniva corrisposto al F., nonostante il medesimo avesse eseguito i lavori e inoltrato ripetute richieste.

F.A. proponeva istanza di sequestro conservativo a garanzia del credito per compenso revisionale: il sequestro conservativo era concesso e, su istanza del M., era sostituito da fideiussione bancaria di importo non sufficiente a coprire la totale entità del credito.

Con atto di citazione, notificato il 28 febbraio -1 marzo 1975, il F. citava in giudizio il M. davanti al Tribunale di Reggio Calabria chiedendo la convalida del sequestro conservativo e la condanna del convenuto al pagamento del 50% dell’ammontare dei compensi revisionali dallo stesso percepiti dai committenti.

Il M. si costituiva in giudizio, contestando la domanda attrice e chiedendone il rigetto; preliminarmente proponeva eccezione di incompetenza per materia del Giudice adito, deducendo che il rapporto andava inquadrato tra quelli regolati dall’art. 409 c.p.c., n. 3.

La causa veniva rimessa al Collegio per la decisione della questione preliminare e il Collegio riteneva che occorresse l’acquisizione di copia dei contratti di appalto e capitolati intervenuti tra il M. e la C.T.I.P. s.p.a. e il Consorzio ASI, fissando l’udienza per la prosecuzione del giudizio. Il M. proponeva regolamento di competenza alla Corte di Cassazione, determinando la sospensione del giudizio davanti al Tribunale. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4258/1978, depositata il 22.9.1978, dichiarava inammissibile l’istanza per regolamento di competenza.

Il giudizio davanti al Tribunale veniva riassunto dal F., con la riproposizione di tutte le domande già proposte con l’atto introduttivo. Il M. si costituiva continuando a contestare la domanda attrice e a chiederne il rigetto. In difetto di deposito dei contratti di appalto, il F. intimava atto stragiudiziale diretto alla C.T.I.P. s.p.a. e al Consorzio ASI, al fine di ottenere copia dei contratti medesimi. La C.T.I.P. e il Consorzio ASI comunicavano di non avere intenzione di consegnare copia del contratto.

In seguito al decesso di M.A., il processo era interrotto e poi riassunto dal F.. Si costituiva in giudizio la vedova, unica erede, FI.CA. e, dopo la sua morte, il Curatore della sua eredità, M.M..

Veniva disposta ed eseguita C.T.U. con allegati elaborati con conteggi revisionali e successivamente era depositata altra relazione di chiarimenti.

Con sentenza n. 114/2001, depositata l’8.2.2001, il Tribunale di Reggio Calabria condannava la parte convenuta al pagamento della somma di Lire 395.528.560, al valore attuale, oltre interessi dalla data della sentenza e convalidava il provvedimento in sede cautelare emesso dal Presidente del Tribunale in data 1.2.1975, con la condanna della convenuta alle spese di lite.

Avverso detta sentenza proponeva appello la Curatela dell’eredità di Fi.Ca., chiedendo, in via preliminare, di dichiarare l’incompetenza per materia del Giudice adito e di revocare il sequestro conservativo in quanto emesso da Giudice incompetente; nel merito di rigettare la domanda e revocare il decreto di sequestro conservativo per carenza dei requisiti di legge; in via del tutto subordinata, di disporre la rinnovazione della CTU con conferimento di incarico ad altro CTU e condannare il F. alle spese del doppio grado di giudizio.

Si costituiva l’appellato chiedendo di dichiarare inammissibile e/o rigettare l’appello e di accogliere gli appelli incidentali con la condanna dell’appellante principale, in aggiunta alle somme per le quali era stata già pronunciata sentenza, al pagamento; a) del compenso revisionale per lavori commessi dalla ASI, liquidati per il 50% in Lire 21.650.869; b) del compenso revisionale per i lavori appaltati dalla C.T.I.P. nel doppio dell’importo di Lire 47.971.882, per errore della sentenza; c) della rivalutazione monetaria su tutte le somme e accogliere l’appello incidentale relativo agli interessi, stabilendo che essi competevano sulla somma rivalutata dal giorno della domanda o subordinatamente dal giorno della domanda sulla somma via via rivalutata, con condanna dell’appellante alle spese di lite.

La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 101/2014, depositata il 17.3.2014, rigettava l’appello principale e quello incidentale, compensando le spese del secondo grado di giudizio.

Avverso tale sentenza, F.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, cui ha resistito con controricorso Mario Monastero.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’intero ricorso, in quanto asseritamente riproduttivo delle stesse argomentazioni in punto di fatto già svolte nel giudizio di merito (e quindi incensurabili in sede di legittimità), che la Corte d’Appello ha esaminato, ritenendole prive di elementi di prova. Non si configurano i vizi lamentati dal controricorrente relativamente all’intero ricorso, che riguardano semmai alcuni singoli motivi di impugnazione.

2. – Con il primo di tali motivi, il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1364 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poichè la sentenza impugnata avrebbe, in primo luogo, omesso l’interpretazione fondata sul senso letterale delle espressioni usate, nel contratto di subappalto all’impresa F., relativamente ai “lavori di movimenti di terra e reinterri, relativi all’appalto che l’impresa M.A. ha con il Consorzio Nucleo Industriale (ASI) e con la C.T.I.P.”, essendo viceversa chiaro che nell’oggetto di tale contratto fossero appunto compresi lavori di movimento di terra e reinterri e che tali lavori fossero oggetto del subappalto per espressa clausola contrattuale. Osserva il ricorrente che è evidente che la Corte di merito non abbia tenuto conto, nell’interpretazione del contratto, del senso letterale delle parole e delle espressioni usate; nè ha considerato le clausole in correlazione tra loro, a norma dell’art. 1363 c.c., là dove, nella descrizione dell’oggetto del subappalto si specifica l’obbligo del F. di eseguire il lavoro di scavo e di reinterro con materiale di cava o di fiume. In secondo luogo, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, senza avere l’esatta cognizione del contratto di appalto M. e Consorzio ASI, mai prodotto in giudizio, si è limitata a dare per buona la comunicazione del 13.8.1979 del Consorzio ASI, che faceva riferimento solo ad abbattimento di alberi e manufatti murari. Tuttavia, l’abbattimento di alberi comportava necessariamente movimenti di terra, come quelli compresi nell’oggetto del subappalto. Di conseguenza, la Corte è pervenuta a un erroneo risultato interpretativo a causa dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Nella interpretazione del contratto, l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006). Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003).

2.3. – Nella specie, procedendo ad una analitica e coordinata lettura del contratto inter partes del 28.2.1973, la Corte distrettuale, facendo propria l’interpretazione del giudice di prime cure, ha correttamente e logicamente (e quindi incensurabilmente) individuato la volontà comune espressa nella clausola in esame, secondo la quale “per i lavori di movimenti di terra e rinterri, relativi all’appalto che l’Impresa An.Ma. ha con il Consorzio Nucleo Industriale e con la C.I.T.P. e per tutti quelli che saranno appaltati il sig. Ma. corrisponderà al sig. F. l’esatta metà dei prezzi netti di capitolato (voce per voce)”.

E, proprio in attuazione di tale volontà, la Corte ha riconosciuto il diritto dell’impresa F. di conseguire il pagamento del 50% della revisione prezzi liquidata alla Impresa appaltatrice dell’opera per i lavori oggetto dell’appalto con la C.T.I.P., mentre ha escluso l’identico diritto per i lavori oggetto dell’appalto con il Consorzio ASI, sul rilievo che – lamentando il F. “che il Tribunale non gli abbia riconosciuto la parte relativa alla revisione dei prezzi dell’appalto con l’ASI sol perchè quest’ultima aveva segnalato con propria nota del 13.8.1979 che per i lavori da essa appaltati all’Impresa Ma. non era previsto alcun movimento di terra e che essi riguardavano lavori diversi da quelli oggetto del subappalto (senza tenere) in debito conto che aveva dovuto effettuare comunque lavori di sistemazione del terreno anche per la parte interessante il Consorzio ASI, tanto che aveva rimesso al Ma. le relative fatture” – il F. “di tali lavori non ha fornito alcuna prova, tale non potendosi ritenere, a fronte della specifica contestazione della circostanza, l’emissione delle fatture commerciali, trattandosi di ducumentazione proveniente dalla stessa parte interessata” (sentenza impugnata, pag. 8).

2.4. – Tali valutazioni si sottraggono al sindacato di legittimità, avendo la Corte territoriale proceduto alla ricostruzione della comune intenzione dei contraenti, nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale poste dagli artt. 1362 e 1363 c.c., sulla base del tenore letterale e di una lettura della clausola in esame, ovviamente riferita anche al contenuto dell’accordo negoziale, con una motivazione esauriente ed immune da vizi logici.

3. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti”, là dove la Corte territoriale ha affermato che l’impresa F. non avesse fornito la prova dei lavori; risultando omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio: ossia la comunicazione del Consorzio ASI, che dopo l’indicazione dei lavori di abbattimento di alberi e manufatti murari, compresi nell’appalto all’Impresa Ma., attesta “lavori eseguiti”.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – E’ noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla controversia ratione temporis, consenta di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

3.3. – Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Orbene, della enucleazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter procedere all’esame del denunciato parametro, non v’è traccia. Sicchè, le censure mosse in riferimento al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), inammissibile seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dalla ricorrente.

4. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” in quanto la Corte territoriale, ritenendo che la prova dell’esecuzione dei lavori in subappalto non potesse essere fornita a mezzo delle fatture emesse dallo stesso subappaltatore, ha violato il principio sull’onere della prova. Osserva il ricorrente che il M. non aveva denunziato alcun inadempimento contrattuale nei confronti dell’impresa F., ma solo negato di essere tenuto al pagamento della revisione prezzi in aggiunta al corrispettivo di base. Pertanto, il subappaltatore ha regolarmente adempiuto alla propria obbligazione contrattuale, non gravando su di esso alcun altro onere probatorio, ai sensi dell’art. 2697 c.c.

4.1. – Il motivo non è fondato.

4.2. – La Corte distrettuale ha ritenuto non provato che il ricorrente avesse comunque effettuato lavori di sistemazione del terreno anche per la parte interessante il Consorzio ASI, non costituendo prova di ciò l’emissione di fatture commerciali, trattandosi di documentazione proveniente dalla stessa parte interessata.

Con tale affermazione la Corte medesima si imita ad operare un doveroso esame della valenza probatoria di siffatte fatture, senza minimamente incidere sulla ripartizione dell’onere probatorio delle parti. D’altronde, la valutazione delle prove è riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o illogicità della motivazione, ciò che (nel caso di specie) deve però escludersi (Cass. n. 15927 del 2016; Cass. n. 16056 del 2016).

5. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 116 c.p.c., art. 1175 c.c. e art. 88 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poichè, durante il giudizio, il M. non ha prodotto il contratto di appalto con allegato capitolato M.-Consorzio ASI, nè quello M.-C.T.I.P., e il F., nonostante l’intimazione diretta al Consorzio ASI e alla s.p.a. C.T.I.P., non ne ha ottenuto copia; e quindi la Corte distrettuale avrebbe erroneamente omesso di trarre elementi di prova a carico del M., derivanti dal suo comportamento processuale (art. 116 c.p.c.), essendosi egli sottratto volutamente agli adempimenti processuali richiesti con ordinanza collegiale, in violazione dei doveri di correttezza (art. 1175 c.c.) e di lealtà e probità processuale (art. 88 c.p.c.).

5.1. – Il motivo non è fondato.

5.2. – La produzione o meno di un documento ad opera della parte che ne sia in possesso rientra nella legittima strategia difensiva della parte medesima, che ne subisce le conseguenze (ed i rischi) in termini di mancato assolvimento dell’onere della prova, senza che ciò implichi violazione dei doveri di correttezza, lealtà e probità processuale della parte, di cui alle norme evocate nel motivo. D’altronde, non risulta che sia stata avanzata dal F. (che si è limitato a richiederla con una informale intimazione diretta al Consorzio ASI ed alla C.T.I.P. s.p.a., cui questi non hanno dato positivo riscontro: v. ricorso pag. 13) alcuna istanza di esibizione del documento medesimo ai sensi dell’art. 210 c.p.c. a carico della controparte o di terzi; nè che essa sia stata ordinata d’ufficio dal giudice.

6. – Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia la “violazione degli artt. 112 e 287 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la Corte distrettuale omesso completamente l’esame del motivo di appello incidentale, con ciò incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c., che impone al Giudice di pronunciare su tutta la domanda.

6.1. – Il motivo è fondato.

6.2. – Nella comparsa di risposta in appello con appello incidentale del 22.1.2002 (che questo Collegio è legittimato a consultare venendo in rilievo un error in judicando), al n. 2 è stato proposto quale motivo di appello incidentale che, con riferimento alla liquidazione del 50% del compenso revisionale per i lavori appaltati dalla C.T.I.P. spettante al ricorrente, “l’errore contenuto nella sentenza è di avere diviso per due l’importo di Lire 95.943.764 ed avere ritenuto che al F. spetta il 50% pari a Lire 47.271.882 (poi rivalutato). L’importo di Lire 95.943.764 rappresenta invece già il 50%, che non va ulteriormente diviso per due. L’impresa F. ha eseguito tutti i lavori, ma ha fatturato, ovviamente, soltanto il 50% del corrispettivo. La liquidazione del compenso revisionale va fatta quindi sull’intero ammontare del compenso revisionale relativo ai lavori subappaltati e poi l’intero importo va calcolato al 50%”.

Con tale motivo di appello incidentale (ribadito nelle conclusioni della comparsa di risposta, nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica in appello) è stata dunque denunciata l’esistenza di un errore materiale, commesso dal primo Giudice, che non s’era avveduto che la CTU aveva precisato (pag. 3) che le fatture erano già ridotte alla metà degli importi percepiti dall’Impresa M.; e che quindi (pag. 4) il totale conteggio della relazione di Lire 117.594.633 costituiva già il 50% del totale del compenso revisionale liquidato all’impresa, cioè l’importo spettante al F., mentre, per errore materiale, la sentenza aveva diviso per due detto importo liquidando solo Lire 47.271.822, invece di Lire 117.991.663 (giacchè anche il calcolo della svalutazione monetaria andava sviluppato sul maggiore importo dovuto).

6.3. – Essendo stato proposto appello avverso la sentenza di primo grado che contiene il denunciato errore materiale, ed essendo stata proposta con esplicito motivo di appello incidentale davanti alla Corte adita per il giudizio di gravame, in applicazione dell’art. 287 c.p.c., la domanda di correzione di detto errore materiale, la Corte d’appello ha completamente omesso l’esame di detto motivo di appello, con ciò incorrendo nella denunciata violazione di legge.

6.4. – Dall’accoglimento del quinto motivo di ricorso, consegue l’assorbimento del sesto motivo, con cui il ricorrente lamenta la “falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto “dall’accoglimento del ricorso discende la revisione della pronuncia del giudice di appello in ordine all’onere delle spese processuali di quel grado”.

7. – In conclusione, quindi, alla stregua dei richiamati principi, deve essere accolto il quinto motivo di ricorso, con assorbimento del sesto motivo; vanno rigettati invece i primi quattro motivi di ricorso. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e rinviata alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso; accoglie il quinto motivo di ricorso, con assorbimento del sesto motivo. Cassa e rinvia alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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