Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.25696 del 15/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20661-2014 proposto da:

T.C., elettivamente domiciliata a Roma, via M.F. Nobliore 42, presso lo studio dell’Avvocato GIANCARLO VENTURI e rappresentata e difesa dall’Avvocato GIUSEPPE LAURIA per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

TO.PI., rappresentato e difeso dall’Avvocato CORRADO MARINELLI, presso il cui studio a Roma, piazza dell’Orologio 7, elettivamente domicilia, per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3900/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 5/7/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

T.C., con citazione del 5/6/1998, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Tivoli, To.Pi. proponendo, tra l’altro, per quanto ancora interessa, la domanda volta a dichiarare il suo acquisto, per usucapione ventennale, del ripostiglio autorimessa, del piccolo manufatto in muratura per l’alloggiamento delle bombole del gas nonchè della cisterna per l’accumulo dell’acqua.

Il convenuto si è costituito contestando quanto dedotto e domandato dall’attrice.

Il tribunale, con sentenza del 25/6/2007, ha rigettato le domande dell’attrice, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.

T.C. ha proposto appello ed ha chiesto l’accoglimento delle domande precisate in primo grado, deducendo, in sostanza, l’errata e superficiale valutazione delle prove ed il grave travisamento dei fatti operata dal primo giudice, che avrebbe completamente trascurato di valutare la confessione resa dal convenuto in occasione dell’interrogatorio formale.

L’appellato To.Pi. ha chiesto il rigetto dell’appello. La corte d’appello, con sentenza del 5/7/2013, ha respinto l’appello ed ha condannato l’appellante al rimborso, in favore dell’appellato, delle spese processuali del grado.

La corte, in particolare, dopo aver evidenziato come, in sede di interpello, il convenuto avesse effettivamente ammesso, nelle risposte ai capitolo C4) e C5) formulati dalla parte attrice, che il manufatto in struttura lignea adibito a box-autorimessa, come pure il piccolo manufatto in muratura adibito all’alloggiamento delle bombole del gas e la cisterna per l’accumulo dell’acqua, costituivano beni utilizzati soltanto dalla T., ha ritenuto che tali circostanze non fossero sufficienti all’acquisto per usucapione dei beni facenti parte della comunione tra le parti. La T., ha aggiunto la corte, non ha, infatti, assolto all’onere di provare il proprio dominio esclusivo sui beni, e cioè della sua volontà di escludere, in modo inequivocabile, il concorrente possesso da parte del To., come già evidenziato dal tribunale.

T.C., con ricorso notificato il 17-18/7/2014, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

Ha resistito, con controricorso notificato in data 7.9/10/2014, To.Pi..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in riferimento agli artt. 1140,1141,1142,1146 e 1158 c.c. nonchè l’insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione ovvero l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.pc., nn. 3, 4 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo accertato che il manufatto in struttura lignea adibito a box autorimessa, come pure il piccolo manufatto in muratura adibito all’alloggiamento delle bombole del gas e la cisterna per l’accumulo dell’acqua, costituivano beni utilizzati soltanto dalla T., ha ritenuto che tali circostanze non fossero sufficienti all’acquisto per usucapione dei beni in questione, non avendo l’attrice adempiuto all’onere di provare il proprio esclusivo dominio dei beni e cioè la sua volontà di escludere, in modo inequivocabile, il concorrente possesso da parte del convenuto. Tali conclusioni, infatti, ha osservato la ricorrente, sono incongrue e contraddittorie rispetto alle emergenze istruttorie, dalla quali, invece, è emerso che i tre piccoli manufatti, costituiti da un piccolo box ligneo dimensionato per un’autovettura di modeste dimensioni, come quella della ricorrente, dotato di una porta chiusa da lucchetto del quale soltanto quest’ultima possiede la chiave, nonchè da una cisterna interrata per l’acqua e da un ricovero di due bombole del gas che alimentano esclusivamente l’abitazione di proprietà della T., risultano costruiti a soddisfazione esclusiva di chi li ha realizzati, e cioè la ricorrente, e che li utilizza in via esclusiva, tanto più se si considera che il lunghissimo tempo trascorso dalla loro realizzazione, avvenuta negli anni ‘60, è di per sè inconciliabile con atti di tolleranza, peraltro neppure dedotti e provati dal convenuto.

2.11 motivo è infondato. Intanto, la ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 116 c.p.c. può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, invero, apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 17097 del 2010; Cass. n. 19011 del 2017). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017). In effetti, non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere a un rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, infatti, dopo aver accertato, in fatto, che il manufatto in struttura lignea adibito a box-autorimessa, al pari del piccolo manufatto in muratura adibito all’alloggiamento delle bombole del gas e della cisterna per l’accumulo dell’acqua, costituivano beni utilizzati soltanto dalla T., ha ritenuto, in modo congruo sul piano logico e corretto sul piano giuridico, che tali circostanze, in difetto di prova della sua volontà di escludere in modo inequivocabile il concorrente possesso da parte del To., non fossero sufficienti ad integrare l’acquisto per usucapione della piena proprietà dei beni in comunione con quest’ultimo. La corte, così facendo, si è attenua al principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo il quale, in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori, in mancanza di prova di un atto o di un fatto da cui possa desumersi l’esclusione degli altri compossessori, non è, di per sè, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell’interessato attraverso un’attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cass. n. 8152 del 2001; Cass. n. 19478 del 2007; Cass. n. 17462 del 2009). In particolare, non sono a tal fine sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore (Cass. n. 9100 del 2018). Nè sussiste il vizio, che la ricorrente ha denunciato, di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in conseguenza dell’erronea o mancata valutazione dei documenti prodotti e delle prove raccolte in giudizio, essendo noto che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), la norma in questione consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 7472 del 2017): fermo restando, però, che l’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, vale a dire, nella specie, le modalità di esercizio del possesso dei predetti immobili da parte della ricorrente, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91,92 e 324 c.p.c. e l’insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione, in reazione alla condanna delle spese del grado, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ingiustamente ed erroneamente condannato la T. al rimborso delle spese del grado, in contrasto con la sentenza di primo grado, che le aveva totalmente compensate.

4. Il motivo è inammissibile. La censura che lo stesso contiene, infatti, è priva di qualsivoglia argomentazione a suo sostegno e difetta, quindi, della necessaria specificità. La corte d’appello, del resto, nel condannare l’appellante al rimborso delle spese del grado, non ha fatto altro che applicare il principio per il quale, a norma dell’art. 91 c.p.c., comma 1, il giudice, con la sentenza che chiude il processo innanzi a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte.

5. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

7. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti, con esclusivo riguardo al ricorso principale, per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1.

P.Q.M.

la Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite che liquida nella somma di Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e SG nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018

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