LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29287-2011 proposto da:
SITE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA n.40, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE ROBERTO MERLINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELO VOLA;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n.12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n.48/2011 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 31/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato ANGELO VOLA per la ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’Avvocato dello Stato ALFONSO PELUSO per la resistente, il quale ha concluso per il rigetto.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate, ufficio di *****, notificava alla SITE Spa un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005 contestando quote di ammortamento per impianti ritenuti indeducibili; indebita detrazione iva sugli acquisti di cespiti ammortizzabili; costi indeducibili relativi al diritto di esclusiva nella produzione di “membrana bagnata”; costi indeducibili relativi all’acquisto di merci, in particolare additivi ed etichette/film, con conseguenti maggiori imposte Ires, Irap ed Iva.
Il contribuente impugnava detto avviso di accertamento e la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva in parte il ricorso, limitatamente ai recuperi relativi al diritto di esclusiva e all’acquisto merci. Proponeva appello la SITE Spa e l’Agenzia delle Entrate spiegava appello incidentale.
Con sentenza n.48/27/2011 la Commissione Tributaria Regionale dichiarava inammissibile l’appello incidentale perché proposto dopo la scadenza del termine di 60 gg. dalla notificazione dell’appello principale e respingeva quest’ultimo. In particolare la Commissione Tributaria Regionale riteneva infondato il primo motivo di gravame, con il quale la ricorrente aveva dedotto che le quote di ammortamento relative al contratto di affitto di ramo di azienda stipulato da SITE con altra società e le spese relative ai cespiti ammortizzabili compresi nel ramo affittato avrebbero dovuto essere riconosciute in deduzione a favore del concedente, e non dell’affittuario, in quanto non ravvisava, nel contratto di affitto del ramo di azienda, alcuna deroga all’art. 2561 c.c.. Riteneva inoltre che correttamente fossero state considerate indeducibili ai fini Iva le spese di manutenzione dei beni compresi nel ramo di azienda, in quanto il contratto di affitto prevedeva espressamente che esse dovessero essere sostenute dal conduttore, e non dal concedente, e pertanto dette spese non potevano essere ritenute inerenti all’attività di impresa di quest’ultimo. Respingeva altresì il secondo motivo di appello, relativo al mancato riconoscimento della deduzione dei costi per la concessione del diritto di produzione in esclusiva, posto che nel contratto di affitto del ramo di azienda non vi era alcuna pattuizione in proposito.
Interpone ricorso per la cassazione di detta sentenza la contribuente affidandosi a sei motivi. Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, comma 1 e art. 109, comma 5, nel testo post riforma, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto la Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato nel ritenere indeducibili a favore del concedente le quote di ammortamento relative al contratto di affitto di ramo di azienda di produzione della membrana bagnata e le spese relative ai cespiti ammortizzabili compresi nel detto ramo. Inoltre, la Commissione Regionale avrebbe altresì errato nel ritenere indeducibili ai fini iva le spese di manutenzione dei beni compresi nel ramo di azienda, sul presupposto che il contratto di affitto le poneva a carico del conduttore, e non del concedente.
Ad avviso della ricorrente, il giudice di appello avrebbe dovuto valorizzare la circostanza che SITE avesse stipulato con Gutte Werke Spa un contratto di produzione e vendita in esclusiva di membrana bagnata e che, nel settore specifico, la Gutte Werke fosse l’unico cliente della ricorrente; di conseguenza si sarebbe configurata un’esclusiva di fatto, che sarebbe rimasta tal quale quando SITE aveva affittato il ramo di azienda di produzione della membrana bagnata a terzi, conservando per sè la commercializzazione. Il contratto di affitto avrebbe quindi avuto natura strumentale rispetto all’attività d’impresa di SITE, perché senza di esso la ricorrente non avrebbe potuto rispettare gli impegni assunti verso Gutte Werke: dal che discenderebbe l’inerenza all’attività di impresa della ricorrente dei costi relativi all’affitto di ramo di azienda di cui si discute.
Inoltre la ricorrente sostiene che i costi relativi alla manutenzione dei cespiti compresi nel ramo di azienda sarebbero anch’essi inerenti e strumentali, in base alla risoluzione n.196/E del 16.5.08, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha affermato che anche i beni in comodato a terzi possono essere di fatto strumentali all’attività di impresa, ancorché fisicamente collocati al di fuori della struttura produttiva del comodante. Secondo la ricorrente, il concetto sarebbe estensibile al caso dell’affitto di ramo di azienda a terzi.
La censura è inammissibile perché si risolve nella richiesta di riesame nel merito della questione, preclusa in questa sede: il ricorrente infatti propone una ricostruzione del fatto alternativa rispetto a quella fatta propria del giudice del merito, senza considerare che “Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4916 del 15/04/2000, Rv. 535737).
Nè potrebbe considerarsi ammissibile la doglianza sotto il profilo del vizio motivazionale posto che, in continuità con il precetto contenuto nella sentenza delle S.U. di questa Corte n. 24148 del 25/10/2013 (Rv. 627790), il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”.
Va infine rilevato il difetto di specificità della censura, posto che la ricorrente non riporta il testo delle clausole del contratto di esclusiva asseritamente esistente tra SITE e Gutte Werke ritenute rilevanti ai fini della questione dedotta, nè dimostra che quest’ultima sia stata proposta nelle fasi di merito e che il predetto contratto sia stato effettivamente depositato in atti del giudizio. Anzi, a ben vedere i motivi di appello, riassunti a pag.4 del ricorso, non comprendono la specifica questione di cui si discute, onde la stessa va ritenuta – in difetto di diversa dimostrazione da parte della ricorrente – nuova e inammissibile.
Stesso dicasi anche per la parte della censura in cui si propone il parallelo con il comodato di beni a terzi, che non risulta compresa nell’elencazione contenuta a pag.4 del ricorso.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, comma 8, nel testo post riforma, e degli artt. 1362 e 1561 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato nel non ravvisare l’esistenza di una deroga all’art. 2561 c.c. alla luce del contegno delle parti e del tenore complessivo contratto di affitto del di ramo di azienda. Ad avviso della ricorrente, la Commissione Regionale avrebbe dovuto valorizzare l’art. 7 del contratto predetto, in base al quale l’affittuario era tenuto a riconsegnare al concedente il ramo d’azienda senza alcun diritto a risarcimento per migliorie. Tale norma contrasterebbe infatti con l’interpretazione dell’art. 2651 c.c. fornita da questa Corte, secondo cui alla fine del contratto di affitto di ramo di azienda occorre calcolare perdite e addizioni dei beni compresi nel ramo affittato, non essendo previsto lo ius tollendi a favore dell’affittuario per le migliorie apportate al ramo medesimo.
La doglianza non è fondata.
Ed invero questa Corte ha affermato il principio secondo cui “La disciplina dettata dagli artt. 1592 e 1593 c.c. in tema di miglioramenti ed addizioni all’immobile apportate dal conduttore, non trova applicazione nell’affitto di azienda, per il quale non è previsto uno ius tollendi in capo all’affittuario al termine del rapporto. Infatti, dal combinato disposto dell’art. 2561 c.c., comma 4 e art. 2562 c.c., emerge che la differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al termine dell’affitto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10623 del 09/05/2007, Rv. 599849).
In senso conforme si è espressa anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1388 del 13/04/1977 (Rv. 385106) secondo la quale “nel caso di affitto di azienda, la differenza fra le consistenze d’inventario all’inizio ed alla fine del rapporto – che a norma dell’art. 2562 c.c. vanno regolate in danaro sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto – corrisponde alla differenza esistente fra l’entità ed il modo di essere degli elementi che strutturano l’azienda all’inizio ed alla fine dell’affitto, dovendosi valutare tali elementi non solo nel loro aspetto quantitativo, con riguardo, cioè, alle eventuali perdite o addizioni, ma anche nel loro aspetto qualitativo, con riferimento ai loro deterioramenti o miglioramenti. Ne consegue che la suddetta differenza fra le consistenze d’inventario, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali, deve essere regolata unicamente in base alla citata norma, non essendo applicabili né l’art. 1592 c.c., nè gli artt. 985 e 986 c.c.”.
Da tanto deriva che, per potersi procedere alla verifica della differenza tra consistenze inventariali esistenti all’inizio e al termine del rapporto di affitto, è necessaria l’esistenza in concreto di un inventario iniziale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 993 del 28/01/2002, Rv .551891), sul quale il ricorrente nulla ha dedotto.
Inoltre, va osservato che “L’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche; ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7500 del 27/03/2007, Rv. 595780).
Ed invero “In materia di interpretazione del contratto, la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito; nessuna delle due censure può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito- dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006, Rv. 589465; conformi, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22899 del 25/10/2006, Rv. 593814; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26690 del 13/12/2006 Rv. 593652; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3644 del 16/02/2007, Rv. 595374).
Infatti “In tema di interpretazione del contratto, alla Corte di cassazione è affidato il compito di verificare che non sussista un vizio di attività del giudice del merito, rilevabile solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione” (Cass. Sez. 3, Sentenza n .11193 del 17/07/2003, Rv. 565195; conformi, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012, Rv. 623697; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014, Rv. 630519; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017, Rv. 646063).
La censura è quindi nel suo complesso da respingere, sia sotto il profilo della carenza di specificità, non avendo la ricorrente allegato l’esistenza dell’inventario iniziale presupposto dall’art. 2561 c.c., sia in quanto la Commissione Tributaria Regionale ha proposto una delle possibili interpretazioni del contratto e delle sue clausole, rimanendo all’interno dei limiti riservati al giudice di merito e fornendo, a sostegno, motivazione sufficiente e logica.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perché la Commissione Regionale avrebbe dovuto -a suo giudizio- ravvisare l’inerenza del costo relativo alla concessione del diritto di produzione in esclusiva della membrana bagnata rispetto all’attività di impresa della concedente, in quanto quest’ultima acquistava la membrana dalla conduttrice del ramo di azienda per poi rivenderla a Gutte Werke.
Anche questa doglianza è inammissibile, perché si risolve in una richiesta di riesame del merito, preclusa in questa sede, e perché difetta della necessaria specificità, posto che la ricorrente non dimostra che la questione dell’esistenza del contratto di esclusiva tra SITE e Gutte Werke (non compresa tra i motivi di appello riassunti a pag. 4 del ricorso) sia stata proposta nelle fasi di merito, né che quel contratto sia stato effettivamente prodotto agli atti del giudizio.
Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Commissione Regionale non avrebbe tenuto conto del principio secondo cui, per effettuare legittimamente una detrazione ai fini iva, il contribuente deve soltanto dimostrare l’inerenza e la strumentalità del costo rispetto alla sua attività d’impresa. Nel caso specifico, SITE ritiene di aver fornito detta prova nelle fasi di merito.
La censura è inammissibile perché anch’essa si risolve in una richiesta di riesame del merito. Inoltre, la ricorrente asserisce che il contratto di affitto del ramo di azienda sarebbe strumentale rispetto alla sua attività di azienda, ma non deduce da quale elemento, atto o documento sarebbe dimostrata detta presunta strumentalità.
Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c. e il vizio di motivazione, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, poiché relativamente al mancato riconoscimento della deduzione del costo per la produzione in esclusiva della membrana bagnata e della detrazione della relativa iva, la sentenza non conterrebbe alcuna motivazione, neanche succinta, onde sarebbero oscure le ragioni che hanno condotto la Commissione Tributaria Regionale a respingere l’appello su questo specifico aspetto.
Inoltre, secondo la ricorrente la Commissione Regionale assumerebbe che il contratto di affitto del ramo di azienda di cui si discute sarebbe antieconomico, ove i costi suindicati fossero posti in capo alla concedente, senza considerare che il canone di affitto era congruo rispetto al capitale immobilizzato e senza tener conto che l’importo di Euro 240.000 previsto come corrispettivo per il diritto di produzione in esclusiva della membrana bagnata era da ritenere congruo, a fronte di ricavi per oltre Euro 4.000.000.
Infine, la ricorrente deduce che non sarebbe comprensibile il passo della decisione impugnata nel quale si afferma che il riferimento ai corrispettivi della vendita della membrana bagnata non è rilevante perché tali ricavi non dipendono dalla scelta di aver affittato a terzi il ramo di azienda avente ad oggetto la produzione di detto bene.
Con il sesto ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonché l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, perché la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe tenuto conto che, non considerando deducibile il costo per la concessione in esclusiva del diritto di produzione della membrana bagnata e non riconoscendo la detrazione della relativa Iva, si realizzerebbe un’illegittima duplicazione d’imposta con conseguente indebito arricchimento per l’erario. Anche queste doglianze, che possono essere trattate congiuntamente perché entrambe riferite al costo relativo alla produzione in esclusiva della membrana bagnata, sono inammissibili per i medesimi motivi indicati in relazione alle precedenti censure. Esse infatti si risolvono in una richiesta di riesame del merito, preclusa in questa sede, e difettano di specificità, poiché la società ricorrente non dimostra che le relative questioni erano state dedotte nelle fasi di merito, né indica da quali atti o documenti risulterebbe dimostrata la dedotta congruità del costo rispetto ai ricavi.
In definitiva, va respinto il secondo motivo e dichiarati inammissibili tutti gli altri. Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
la Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del grado, che liquida in Euro 10.000 oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 14 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018
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