LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TELECOM ITALIA SPA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROMEI ROBERTO, MORRICO ENZO, BOCCIA FRANCO RAIMONDO;
– ricorrente –
contro
D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato LAURO MASSIMO, rappresentato e difeso dall’avvocato NAPPI SEVERINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6227/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/07/2018 dal Consigliere Dott.ssa GHINOY PAOLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Napoli ha respinto il gravame proposto da Telecom Italia s.p.a. avverso la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da D.S. per il pagamento delle retribuzioni per i mesi da marzo 2012 a gennaio 2014.
Telecom era ritenuta obbligata in quanto, con sentenza del medesimo Tribunale, era stata accertata l’inefficacia della cessione di ramo d’azienda cui era addetto il D. da Telecom s.p.a. a Telepost s.p.a. e quindi vi era stata condanna della prima a ripristinare la concreta funzionalità del rapporto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni dalla data della cessione, divenuta inefficace. La Corte distrettuale, per quanto qui interessa, escludeva detrazioni a titolo di aliunde perceptum argomentando che la cessazione del rapporto di lavoro con Telepost s.p.a. nel marzo 2012 dimostrava che nessuna retribuzione il lavoratore aveva percepito per il periodo di causa, nè la società aveva fornito la prova della prestazione di altra attività lavorativa nel medesimo periodo, o che il D. avesse percepito alcunchè a titolo di indennità di disoccupazione o mobilità, avendo solo allegato la relativa circostanza.
2. Per la cassazione della sentenza Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso D.S..
CONSIDERATO
che:
1. con l’unico motivo la ricorrente articola due censure, riguardanti, la prima, la mancata emissione, in violazione degli artt. 210 e 213 c.p.c., dell’ordine di esibizione dei documenti fiscali inerenti i redditi degli anni 2002 e 2003 o comunque documentazione fiscalmente rilevante, come richiesto nel ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo con istanza richiamata anche in appello, e la seconda concernente la violazione degli artt. 1223 e 1227 c.c., per non avere tenuto conto dell’aliunde percipiendum, nulla avendo dedotto il D. in merito all’impegno profuso per reperire un’ulteriore occupazione.
2. Questa Corte ha già affermato che l’aliunde perceptum o percipiendum, pur non integrando un’ eccezione in senso stretto ed essendo, pertanto rilevabile dal giudice anche in assenza di un’eccezione di parte in tal senso, presuppone comunque l’allegazione da parte del datore di lavoro di circostanze di fatto rilevanti ai fini della limitazione del danno (Cfr. Cass. 04/12/2014, n. 25679, Cass. 17/3/2016 n. 5310), qual è anche l’inerzia del lavoratore nel cercare una nuova occupazione.
Il Giudice del merito ha correttamente applicato le norme di legge evocate, attribuendo valenza preclusiva alla mancanza di allegazione specifica del datore di lavoro circa la ricerca o il reperimento di altra occupazione o la percezione di altri redditi; peraltro, sempre per consolidata giurisprudenza di legittimità, il datore di lavoro, onerato a provare l’aliunde perceptum da detrarre dall’ammontare del risarcimento del danno dovuto in base alla L. n. 300 del 1970, art. 18, non può esonerarsi chiedendo al giudice di voler disporre generiche informative o di attivare poteri istruttori con finalità meramente esplorative (Cass. 18/6/2018 n. 16028, Cass. 11/3/2015 n. 4884, Cass. 29/12/2014 n. 27424, Cass. 04/12/2014, n. 25679).
3. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, notificata alle parti che non hanno depositato memorie, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
4. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.
5. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018