LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. Piera – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, con domicilio legale in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– ricorrente –
contro
PICH SAS DI P.R. & C., P.R., A.G., P.A.M., rappresentati e difesi, anche disgiuntamente tra loro, dall’avv. PETRINI Marco del Foro di Roma e dall’avv. FANELLI Vincenzo, del Foro di Torino, con domicilio eletto in ROMA, PIAZZA DI VILLA CARPEGNA N. 58, presso lo studio del primo.
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 41/02/2010, depositata l’11/06/2010.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 gennaio 2018 dal Consigliere Dott. GUIDA Riccardo;
udito l’Avvocato dello Stato DETTORI Bruno;
udito l’Avvocato PETRINI Marco;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO Mauro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del terzo motivo di ricorso principale, l’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale condizionato, il rigetto dei primi due motivi del ricorso principale e degli altri due motivi del ricorso incidentale.
RITENUTO IN FATTO
1. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, articolato su quattro motivi, nei confronti della P. Sas di P.R. & C., e dei soci P.R., A.G. e P.A.M., avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte (in seguito: “CTR”) indicata in epigrafe che – in controversia relativa all’impugnazione degli avvisi di accertamento, diretti alla società e a ciascuno dei soci, che ne rettificavano la posizione fiscale, per l’anno d’imposta 2003, ai fini della determinazione del reddito dell’impresa, dell’IRAP e dell’IVA, recependo i rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione – previa riunione delle cause riguardanti, rispettivamente, la società e i soci, in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha stabilito l’indeducibilità del compenso dell’amministratore unico e del costo del leasing per Euro 1.381,44 ed ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata (per quanto qui ancora interessa) favorevole ai contribuenti e, con riferimento alla posizione dei soci, ha testualmente disposto in tal senso: “Redditi di partecipazione dei soci di conseguenza alle rispettive quote”.
1.2. Secondo i giudici della CTR, il costo del compenso all’amministratore unico della società non è deducibile per l’incertezza circa l’effettività e l’ammontare della stessa voce di spesa; del pari è indeducibile il costo del leasing, per Euro 1.381,44, a titolo di IVA non recuperata su metà dei canoni di un’autovettura, perchè la società non ha esibito le relative fatture e non ha quindi dato prova del trattamento fiscale riservato ai canoni; infine, l’applicazione all’omessa integrazione e registrazione delle fatture d’acquisto di rottami ferrosi, in conformità delle disposizioni normative sull’inversione contabile D.L. 30 settembre 2003, n. 269, ex art. 35 (che ha modificato il regime IVA per la cessione di rottami ferrosi), delle sanzioni previste per le violazioni formali delle norme tributarie, sancita dalla sentenza di primo grado, è corretta e conforme alle norme dello Statuto del contribuente, dato che la stessa amministrazione finanziaria, prendendo atto dello ius supervenies, ha rinunciato al rilievo principale riguardante la violazione del regime dell’inversione contabile (c.d. reverse charge) ed ha riconosciuto il diritto della contribuente alla detrazione dell’IVA.
2. La società e i soci hanno resistito congiuntamente con controricorso, col quale hanno proposto altresì ricorso incidentale affidato a tre motivi, il primo dei quali formulato come motivo di ricorso incidentale condizionato.
2.1. I controricorrenti hanno depositato una memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Primo motivo: nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su un motivo di gravame ex art. 112 cod. proc. civ..
L’impugnata sentenza, emessa dopo la riunione degli appelli proposti dall’Ufficio avverso le pronunce di primo grado nei confronti della società e dei soci, sarebbe nulla, per omessa statuizione riguardante la posizione dei soci se, nonostante la correlazione delle diverse parti della decisione, si pervenisse alla conclusione che la CTR non abbia parzialmente accolto anche gli appelli dell’Ufficio contro le decisioni di primo grado riguardanti i soci.
2. Secondo motivo: nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione omessa o apparente.
In via subordinata (rispetto al primo motivo di ricorso), la sentenza d’appello sarebbe nulla per motivazione solamente apparente se venisse interpretata come pronuncia reiettiva degli appelli dell’Ufficio avverso le sentenze di primo grado emesse su ricorso dei singoli soci, per l’intrinseca contraddittorietà della stessa decisione, visto che le statuizioni sul reddito di partecipazione dei soci dipendono da quella riguardante il reddito e il conseguente debito d’imposta della società.
3. I due motivi, da trattare congiuntamente perchè connessi, non sono fondati.
La ricorrente avanza una mera ipotesi di mancato accoglimento degli appelli che essa ha proposto avverso le sentenze di primo grado emesse nei confronti dei soci.
L’ottica processuale adombrata non è conforme al contenuto della sentenza che, riuniti i procedimenti riguardanti la società e i soci, nell’accogliere parzialmente l’appello dell’Ufficio contro la P. Sas (limitatamente all’indeducibilità dei compensi dall’amministratore unico e del costo del leasing) e nel rideterminare i redditi di partecipazione dei soci in relazione alle rispettive quote, in sostanza, ha statuito, implicitamente, in senso conforme con riferimento agli appelli dell’Ufficio contro le sentenze di primo grado riguardanti ciascun socio.
4. Terzo motivo: omessa o insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La sentenza d’appello, secondo la prospettazione dell’Ufficio, non ha affrontato un: “punto specifico – e decisivo – del motivo di appello” (cfr. pag. 14 del ricorso), perchè non ha chiarito la ragione per cui la violazione del meccanismo del reverse charge abbia una valenza meramente formale, cui consegue l’applicazione della (minore) sanzione già indicata dal giudice di prime cure.
5. Il motivo è inammissibile.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale si intende dare continuità, il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione riferibile ratione temporis al caso di specie, di:
“omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione” riguarda necessariamente un: “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, al quale non possono essere assimilate le questioni e le argomentazioni giuridiche che, pertanto, risultano irrilevanti e comportano l’inammissibilità delle relative censure, irritualmente proposte (Cass. 29/07/2015, n. 15997).
Nel caso in esame, appare evidente che la sentenza d’appello non è criticata per omessa, insufficiente motivazione circa un fatto storico, controverso e decisivo per il giudizio, ma piuttosto, in modo inammissibile, per avere erroneamente risolto la questione di diritto concernente la qualificazione della violazione, da parte della società, degli adempimenti fiscali derivanti dal regime del reverse charge come una violazione meramente formale, cui consegue una sanzione meno grave di quella irrogata dall’amministrazione finanziaria.
6. Quarto motivo: violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, commi 2 e 9-bis, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5-bis, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74, comma 8.
Diversamente da quanto affermato dalla CTR l’inosservanza della disciplina del reverse charge non costituisce una violazione formale, come si desume dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenza 8/05/2008, in cause riunite C-95/2007 e C 96/2007) e della Cassazione (Cass. 5/05/2010, n. 10819).
Nel caso di specie, premesso che non è contestato che la società non ha assolto agli obblighi di autofatturazione previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, è legittima: “l’irrogazione della sanzione del 100% a 200%, disciplinata dall’art. 6, comma 9 bis citato.” (cfr. pag. 21 del ricorso).
7. Il motivo è fondato.
E’ ius receptum della Corte che l’inosservanza, da parte del contribuente, degli obblighi formali d’integrazione della fattura e della sua registrazione nei libri contabili, secondo il regime fiscale del reverse charge, non integra una violazione meramente formale, priva di conseguenze sul piano sanzionatorio; in tale caso, al contrario, la sanzione, senz’altro applicabile, deve conformarsi al principio di legalità sancito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3 (Cass. 5/05/2010, n. 10819).
Nel caso in esame, la violazione del meccanismo dell’inversione contabile non è contestata, anzi è ammessa dai controricorrenti, che riconoscono di avere registrazione delle fatture di acquisto dei rottami di ferro, nel periodo dal 2/10/2003 al 24/11/2003, indicandole, erroneamente, quali operazioni non imponibili ai fini dell’IVA (cfr. pag. 13 del controricorso).
Pertanto, sotto questo profilo, la sentenza impugnata appare viziata perchè non si è conformata al suaccennato principio di diritto in punto di sanzionabilità dell’inottemperanza, da parte della società, alle disposizioni normative riguardanti l’inversione contabile.
Sicchè, la sentenza impugnata è cassata e la causa è rinviata alla CTR, in diversa composizione, per il rinnovo del giudizio.
8. Occorre adesso esaminare il ricorso incidentale, affidato a tre motivi, il primo dei quali, proposto come ricorso incidentale condizionato, denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 1 e 10, L. n. 472 del 1977, art. 6, comma 5-bis, L. n. 471 del 1997, art. 6.
Nell’ottica dei controricorrenti, in caso di accoglimento del ricorso dell’Ufficio in relazione all’assoggettabilità a sanzione della violazione degli obblighi formali del regime del reverse charge, la norma sanzionatoria da applicare, nel rispetto del principio di legalità, non sarebbe quella, indicata dall’Agenzia delle entrate, di cui alla L. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9-bis, primo periodo, (introdotto con L. 24 dicembre 2007, n. 244, in vigore dal 1/01/2008), riferita all’ipotesi in cui risulti un debito d’imposta verso l’Erario, ma quella prevista dal terzo periodo della medesima disposizione per il caso, conforme alla fattispecie, in cui non vi sia alcun debito tributario perchè l’imposta è stata assolta.
9. Il motivo è inammissibile.
Nessuna specifica censura è indirizzata alla decisione d’appello che, all’evidenza, non si è soffermata sull’aspetto del trattamento sanzionatorio per avere escluso, in radice, la stessa assoggettabilità a sanzione dell’omissione della società contribuente.
Per quanto si è sopra stabilito (cfr. p. 7), solo all’esito del giudizio di rinvio, la CTR potrà essere tenuta ad occuparsi dell’aspetto sanzionatorio connesso alla vicenda sostanziale.
10. Secondo motivo: violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 95, comma 5 e art. 109, artt. 2318, 2260, 1709, 2697 cod. proc. civ..
Omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La CTR, accogliendo l’appello dell’Ufficio, ha erroneamente escluso la deducibilità del costo per il compenso dell’amministratore per la sua incertezza in assenza di una delibera che ne quantificasse, anno per anno, l’ammontare.
Per giurisprudenza costante della Cassazione, secondo la prospettazione difensiva, il diritto al compenso dell’amministratore di una società di persone discende direttamente dagli artt. 2260,1709 cod. civ. e, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, la presunzione di onerosità dell’ufficio di amministratore (nonchè socio della Sas) non può essere vinta per effetto della mera attribuzione ai soci di quote di partecipazione, differenti le une dalle altre.
Inoltre, per le società di persone non vale la prescrizione dell’art. 2389 cod. civ., riguardante le società di capitali, secondo cui l’ammontare del compenso deve essere stabilito nell’atto costitutivo o dall’assemblea; non rientra, infine, nelle competenze dell’amministrazione finanziaria la valutazione della congruità del compenso dell’amministratore, deducibile come costo dal reddito d’impresa, per effetto della sua erogazione, ai sensi dell’art. 95, comma 5, TUIR.
11. Il motivo è inammissibile e infondato.
Esso cumula in sè, in modo confuso, una pluralità di censure collegate, indistintamente, alla violazione e falsa applicazione di legge e all’omessa e insufficiente motivazione, così demandando, in modo inammissibile, al giudice di legittimità il compito di sostituirsi al ricorrente nell’esatta individuazione del rilievo critico verso la decisione impugnata (Cass. 5/04/2017, n. 8787).
Quanto al merito della complessa doglianza, è dato rilevare che essa non individua, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, nè la violazione di norme di diritto, che ricorre quando il giudice di merito ha errato nell’individuazione e nell’interpretazione della norma da applicare al caso concreto, nè la “falsa applicazione” che consiste nell’errore di sussunzione della fattispecie concreta a una norma che non le si confà.
Del pari è infondata la censura attinente al vizio di motivazione: questa Corte ha più volte affermato che esso postula un giudizio critico sulla ricostruzione dei fatti giuridicamente rilevanti e l’allegazione di lacune e incoerenze, nel ragionamento sviluppato nella sentenza di merito, talmente consistenti da impedire l’individuazione della ratio decidendi (Cass. 26/03/2014, n. 7040).
Detto che un simile rilievo alla sentenza della CTR non è stato neppure sommariamente adombrato da parte dei controricorrenti, è altresì il caso di osservare come l’iter logico-giuridico seguito dai giudici d’appello appaia lineare e chiaro, avendo essi superato la presunzione d’onerosità dell’attività dell’amministratore, sulla base di univoci elementi obiettivi (quali, a titolo d’esempio: la mancanza di una deliberazione assembleare che fissasse, di anno in anno, gli emolumenti dell’organo amministrativo o l’omessa produzione in giudizio dei cedolini-paga dell’amministrare, dei quali i contribuenti pur avevano affermato l’esistenza) che, secondo la valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, non sono stati contraddetti da risultanze, anche documentali, di segno opposto.
12. Terzo motivo: violazione e falsa applicazione, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 102, comma 7, (Testo unico delle imposte sui redditi) e dell’art. 2697 cod. civ..
Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’amministrazione finanziaria ha recuperato a tassazione Euro 1.381,44, ritenendo, erroneamente, che tale importo eccedesse la quota annua deducibile dal reddito d’impresa per canoni di locazione finanziaria di un’autovettura.
I ricorrenti hanno impugnato l’avviso di accertamento rimarcando che l’Agenzia delle entrate non aveva tenuto conto della quota IVA non detraibile e, comunque, non detratta e rimasta a carico della contribuente, che concorre a formare il costo complessivo ai fini del calcolo della quota dei canoni di leasing deducibili dal risultato economico dell’esercizio.
Il giudice di primo grado ha condiviso il rilievo dei contribuenti; l’amministrazione finanziaria, dal canto suo, nel ricorso in appello accolto in parte qua dalla CTR – ha dedotto che il veicolo, immatricolato come autocarro, suscettibile di essere adibito al trasporto dei rottami, come tale, costituiva un costo interamente deducibile, con integrale detraibilità dell’IVA al 20% corrisposta sul canone.
Posto che nella motivazione dell’avviso di accertamento l’uso dell’autoveicolo per il trasporto dei materiali ferrosi non è stato nemmeno menzionato, i ricorrenti sottolineano altresì che l’immatricolazione di un veicolo è cosa diversa dal suo effettivo utilizzo.
13. Il motivo è inammissibile.
Ferma la constatazione (identica a quella di cui al p. 11) dell’inammissibile cumulo di censure eterogenee, quest’ultima doglianza è priva di autosufficienza in quanto fa esplicito riferimento al contenuto dell’avviso di accertamento, quale atto che, non riprodotto in seno al controricorso, è insuscettibile di essere apprezzato da questa Corte.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso;
rigetta il primo e il secondo motivo e dichiara inammissibile il terzo;
rigetta il ricorso incidentale;
cassa la sentenza nei limiti dell’accoglimento;
rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018
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