LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federi – Consigliere –
Dott. MAROTTA Cateri – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12040/2013 proposto da:
B.G., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO BOEM, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
FOGAZZI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIORGIO VASARI 5, presso lo studio dell’avvocato RAOUL RUDEL, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 196/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 28/04/2012 r.g.n. 503/11;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato FABIO BOEM;
udito l’Avvocato RAOUL RUDEL.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 28.4.2012 la Corte d’Appello di Brescia ha accolto parzialmente il gravame proposto da B.G. avverso la sentenza del tribunale della stessa città che aveva accertato la responsabilità della datrice di lavoro Fogazzi srl, poi incorporata nella INVATEC Spa, nella causazione di un infortunio sul lavoro condannando la società al risarcimento del danno differenziale, determinato in Euro 154.840,00. Il B. aveva lamentato l’inadeguatezza della determinazione del danno differenziale operata dal Tribunale e l’errata liquidazione delle spese.
La Corte ha ritenuto fondata la censura del lavoratore relativa sia all’omessa liquidazione delle spese mediche sostenute, sia all’errata liquidazione delle spese di lite, effettuata in parte al di sotto dei minimi tariffari, ma ha respinto il gravame in relazione alla liquidazione del danno differenziale, ritenendo che l’applicazione della personalizzazione dello stesso effettuata dal primo giudice, in base alle tabelle milanesi, nella misura del 15% e non in quella massima del 25%, fosse corretta, perchè congrua avendo il Tribunale tenuto conto che il danno psichico sofferto non era mai stato trattato nè farmacologicamente nè con terapia psicologica, per il rifiuto dello stesso B..
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il B., affidato a quattro motivi, cui ha resistito INVATEC Spa con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 1 bis c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il B. deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1123,12262043,2056 e 2059 c.c.in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; per il ricorrente la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere applicabile la percentuale minima di personalizzazione del danno, secondo le tabelle milanesi, ciò in quanto il danno patito dal B. avrebbe dovuto essere determinato ricorrendo alla prova per presunzioni, oltre che in base alla prova testimoniale, offerta ma non ritenuta necessaria dal primo giudice.
Con il secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1226 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la corte di merito avrebbe utilizzato un meccanismo semplificativo che non ha tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della sofferenza patita e del turbamento del suo stato d’animo strettamente riconducibile all’infortunio patito ed alla lesione personale subita, come statuito dalla cassazione in numerose decisioni.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 112, 113, 114 e 115, in relazione agli artt. 244,323,329 e 346 c.p.c. e omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per avere errato la corte nel non ammettere i testi che erano stati in un primo momento ammessi dal tribunale ma poi non sentiti, laddove l’escussione di tali testi avrebbe potuto comportare una ben diversa valutazione in ordine al danno effettivamente patito ed al rischio di cecità in capo al medesimo.
Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione degli artt. 112,113 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alle tariffe professionali del 2004 – artt. 4 e 5, commi 2 e 4 – : la corte territoriale pur ritenendo fondato il relativo motivo di appello con riferimento alla sentenza di primo grado, ha poi liquidato i diritti indicati nella nota spesa di secondo grado al disotto dei minimi previsti dalle vigenti tariffe professionali, riducendo altresì gli onorari.
Il primo ed il secondo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente perchè connessi, censurano di fatto la quantificazione operata dalla corte della c.d. personalizzazione del danno, lamentando sostanzialmente l’inadeguatezza del danno differenziale riconosciuto. I motivi sono in primo luogo inammissibili perchè privi di specificità, atteso che sebbene il ricorrente lamenti la violazione di norme di diritto, non precisa quale sia stata l’erronea ricognizione della relativa fattispecie astratta, laddove invece la violazione della norma richiamata implica necessariamente un problema interpretativo della stessa.
Questa corte ha statuito che in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, l’omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano può essere fatta valere, in sede di legittimità, come violazione dell’art. 1226 c.c., costituendo le stesse parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge, mentre l’omesso esame di un fatto specializzante idoneo a giustificare lo scostamento da dette tabelle deve essere denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,(così Cass. n. 27562/2017). Pertanto ove pure si volesse ritenere che i motivi consistano in censure dell’iter motivazionale adottato dalla sentenza impugnata, la doglianza non merita accoglimento.
Questa corte ha ancora rilevato che quando il giudice procede alla liquidazione equitativa in applicazione delle “tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo “l’id quod plerumque accidit”, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate (così Cass. 3505/2016).
Nel caso in esame la Corte territoriale, pur riportandosi a quanto già argomentato sul punto dalla sentenza di primo grado, ha motivato il proprio convincimento fornendo una coerente spiegazione, immune da vizi logici, del perchè fosse corretta la decisione del giudice di prime cure di non arrivare a riconoscere la somma massima del 25% di personalizzazione del danno non patrimoniale, in quanto una riduzione dell’invalidità psichica complessiva era stata impedita anche dalla scelta del ricorrente di non essere trattato nè farmacologicamente, nè con terapia psicologica.
La valutazione degli elementi che concorrono alla concreta determinazione del danno e la precisazione delle ragioni che portano ad uno scostamento dai valori predeterminati delle citate tabelle è demandata al giudice di merito ed è insindacabile, ove immune da vizi logico giuridici.
Anche il terzo motivo si profila inammissibile per difetto di autosufficienza e di decisività. La censura relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è del tutto generica, non essendo stati trascritti i capitoli di prova non ammessi dalla corte territoriale, così impendendo un valutazione diretta della loro decisività. Peraltro il ricorrente, oltre a non trascrivere i capitoli di prova e a non indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto – non ha neanche allegato ed indicato la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione nella fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire “ex actis” alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione (così Cass. n. 9748/2010 e da ultimo Cass. 8294/2018).
Infine deve ritenersi egualmente inammissibile il quarto motivo, per violazione del principio di autosufficienza. La sinteticità e la genericità della censura non consente infatti alcun esame del motivo. Il ricorrente infatti si duole della violazione da parte della corte di appello dei minimi tariffari, indicando solo le cifre dei diritti che sarebbero stati ridotti e neanche indicando il valore della controversia e quindi lo scaglione applicabile.
Questa corte ha rilevato che il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi o massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio “in iudicando” e, pertanto, per l’ammissibilità della censura, è necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimità, senza dover espletare un’ammissibile indagine sugli atti di causa (così Cass. n. 22983/2014) ed ancora che “In tema di liquidazione degli onorari agli avvocati, il ricorrente per cassazione che deduca la violazione dei minimi tariffari per aver omesso il giudice d’appello di specificare, pur in presenza della richiesta di riconoscimento di poste dettagliate, il sistema di calcolo e la tariffa adottati, deve, a pena d’inammissibilità, indicare il valore della controversia rilevante ai fini dello scaglione applicabile, trattandosi di presupposto indispensabile per consentire l’apprezzamento della decisività della censura “(cfr. Cass. n. 2532/2015).
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
Non si dispone in ordine alle spese di lite, atteso che la costituzione in giudizio della contro ricorrente, INVATEC spa – società incorporante per fusione della s.r.l. Fogazzi – non può ritenersi rituale e dunque ammissibile, atteso che non essendo tale società parte del giudizio di merito, avrebbe dovuto allegare la propria “legittimatio ad causam” e fornire la dimostrazione di esser subentrata nella medesima posizione del proprio dante causa, producendo copia dell’atto relativo al procedimento di incorporazione o fusione (cfr Cass.n. 2655/2001, Cass. 17681/2007).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla sulle spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018
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