Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.26490 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8262-2014 proposto da:

D.S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34/B, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO NARDI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.R., R.G. quali eredi di R.G., domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE LAI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1090/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 17/10/2013 R.G.N. 1066/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per inammissibilità e in subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MAURIZIO CECCONI per delega Avvocato MAURIZIO NARDI;

udito l’Avvocato MICHELE LAI.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1090/2013, pubblicata il 17 ottobre 2013, la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva le domande di D.S.R. dirette ad accertare la prosecuzione, successivamente al 30 aprile 2005 e senza soluzione di continuità, del rapporto di lavoro subordinato già in essere (dal 1993) con la Automoda di R.C. & Co. S.a.s. nonchè ad accertare la nullità del licenziamento verbale comunicatogli in data 2/11/2006, con le conseguenti pronunce di natura patrimoniale.

2. A sostegno della propria decisione la Corte osservava come le dichiarazioni testimoniali assunte in primo grado non fornissero elementi univoci sulla natura del rapporto, con riferimento al periodo 1/5/2005 – 2/11/2006, e come, d’altra parte, a fronte dell’incerto quadro probatorio dalle stesse delineato, si ponesse una serie di elementi di fatto che concorrevano a qualificarlo come di genuina collaborazione coordinata e continuativa, quali il notevole incremento del compenso mensile e la cessazione dell’attività aziendale in epoca molto ravvicinata alla sua instaurazione.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con quattro motivi, cui hanno resistito R. e R.G., quali eredi di R., socio accomandatario di Automoda di R.G. & C. S.a.s. in liquidazione (già Automoda di Ro.Ca. & Co. S.a.s.).

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. per avere la Corte desunto la natura di genuino rapporto di collaborazione dal fatto dell’aumento del compenso nel periodo contestato e dalla successiva cessazione di attività della società, in violazione del criterio di normalità e senza un’adeguata e corretta motivazione, ovvero senza una motivazione immune da vizi logici.

2. Con il secondo, viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. per avere la Corte di appello desunto, in relazione alle stesse circostanze, un fatto ignoto da un fatto noto in assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e senza un’adeguata e corretta motivazione, ovvero senza una motivazione immune da vizi logici.

3. Con il terzo, viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, per avere la Corte erroneamente ritenuto non contestata la circostanza che l’accordo fra le parti alla base del rapporto di collaborazione (periodo dall’1/5/2005 al 2/11/2006) autorizzasse il ricorrente a prestare attività lavorativa anche per committenti diversi.

4. Con il quarto motivo, viene dedotto il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) con riferimento al fatto che il ricorrente, nel periodo contestato, percepisse a cadenze fisse una retribuzione prestabilita, che le sue prestazioni avessero carattere continuativo e che egli non disponesse di una pur minima struttura imprenditoriale.

5. Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

6. Si deve premettere al riguardo che la Corte di appello ha posto in evidenza, a fronte di un “incerto quadro probatorio” delineato dalle dichiarazioni testimoniali assunte in primo grado, come, nel periodo dedotto in giudizio e con decorrenza dalla trasformazione del rapporto, il compenso del ricorrente risultasse “notevolmente aumentato”, passando “da circa Euro 1500 mensili ad Euro 2500”: ciò che l’ha portata a “presumere la genuinità del contratto di collaborazione”, sul rilievo della inesistenza di “ragioni diverse da quelle di un sensibile mutamento del rapporto che possano giustificare la circostanza”.

7. La Corte di appello ha, inoltre, esaminato l’evoluzione delle vicende aziendali e, in particolare, “la cessazione dell’attività nel 2007” (verificatasi, dunque, in epoca prossima alla cessazione del rapporto), traendone la conclusione che tale circostanza “rende del tutto verisimile che l’acquisto di autonomia operativa da parte del D.S. fosse preordinato alla dismissione dell’impresa e pertanto rende verisimile che l’accordo delle parti autorizzasse” l’appellato “a prestare la sua attività anche per committenti diversi” (cfr. sentenza, p. 2, 1 capoverso).

8. A fronte di tali procedimenti inferenziali e delle sintetiche ma chiare motivazioni che li sorreggono, il ragionamento decisorio seguito dal giudice di merito si sottrae alle critiche che con i mezzi in esame gli sono rivolte, dovendosi confermare il principio, per il quale “le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta pertanto al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. n. 15737/2003 e successive numerose conformi).

9. Il terzo motivo risulta inammissibile: sia in quanto, nell’inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non riporta la trascrizione, quanto meno nei punti rilevanti, del “verbale di prima udienza”, dal cui esame, unitamente alla memoria di costituzione della società, la Corte ha derivato il convincimento della “non contestazione” circa il fatto che l’accordo di collaborazione autorizzasse il D.S. a prestare la propria opera anche per committenti diversi da Automoda; sia per carenza di decisività dell’elemento probatorio oggetto di non contestazione, la ricostruzione fattuale compiuta dal giudice di merito, circa la natura effettiva del rapporto, risultando più estesa e articolata, in quanto comprensiva degli esiti delle prove testimoniali e di una pluralità di fatti aventi rilevanza presuntiva.

10. Il quarto motivo risulta inammissibile per analoghe considerazioni, posto, che anche volendo trascurare la circostanza che la Corte, ritenendo il protratto inserimento nella organizzazione della società compatibile con un genuino rapporto di collaborazione, ha di fatto valutato anche l’assenza in capo al D.S. di una qualche, pur minima, struttura imprenditoriale, resta indimostrata la decisività di ciascuno dei fatti di cui è stato dedotto l’omesso esame, come anche del loro insieme, a determinare una diversa risoluzione della controversia, tenuto conto della molteplicità di elementi considerati dal giudice dì merito e dell’accertata insussistenza di un orario di lavoro, di occasioni di esercizio del potere disciplinare e di direttive specifiche.

11. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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