LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20588-2013 proposto da:
G.V., rappresentato e difeso dall’avvocato VITTORIO ALONGI;
– ricorrente –
contro
CINETEX SRL, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANPAOLO BUONO;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del Tribunale di NAPOLI, depositata il 5/12/11;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/02/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per inammissibilità in sub rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato ALONGI Patrizia con delega depositata in udienza dell’Avvocato ALONGI Vittorio, difensore del ricorrente che si riporta agli atti depositati;
udito l’Avvocato BUONO Giampaolo, difensore del resistente che si riporta agli atti depositati.
FATTI DI CAUSA
1. Con citazione notificata il 09/04/2009 G.V. ha convenuto la Cinetex s.r.l. dinanzi al tribunale di Napoli – sezione distaccata di Ischia – indicando che nel 1970 la S.a.p.e. s.r.l., originaria proprietaria di un compendio immobiliare sito nei pressi del cinema *****, primo piano, aveva ripartito l’appartamento, censito unitariamente in catasto, in due appartamenti, dei quali uno di più vani era stato occupato senza titolo da G.N., padre dell’attore, e l’altro di una stanza oltre bagno era stato concesso dalla S.a.p.e. s.r.l. in locazione prima in data 1/3/1970 a G.G. e poi alla figlia di quest’ultimo G.A., quale studio dentistico. G.V. ha assunto di avere usucapito, succeduto al padre, la proprietà del primo immobile, in cui aveva stabilito anche la propria residenza dal 09/02/1989 e aveva effettuato modificazioni edilizie, e poi di aver ricevuto in sublocazione il secondo da G.A., sua congiunta, eliminando il frazionamento esistente.
1.1. Sulla resistenza della Cinetex s.r.l. (acquirente del compendio da altra società, incorporante la S.a.p.e. s.r.I.) che ha chiesto in via riconvenzionale la condanna della controparte al risarcimento dei danni conseguenti al suo atteggiamento processuale, con sentenza depositata il 05/12/2011 il tribunale, in composizione monocratica, ha rigettato sia la domanda principale di accertamento dell’usucapione, sia la riconvenzionale, qualificata come domanda ex art. 96 c.p.c..
1.2. A sostegno della decisione, il tribunale ha considerato:
– doversi escludere il sussistere di un originario frazionamento da parte della S.a.p.e. s.r.l. con creazione di due accessi, non risultando esso dal catasto nè emergendone cenno nei contratti di locazione a favore di G. e G.A., invece facenti riferimento a un unitario “appartamento adibito a studio dentistico” al primo piano; parimenti nessun cenno risultava negli atti di vendita fino al pervenimento alla Cinetex s.r.l., nè nelle perizie estimative del patrimonio di quest’ultima redatte prima dell’avvio del contenzioso, nè ancora nella relazione redatta da custode nominato dal tribunale in procedura di pignoramento immobiliare a carico della stessa Cinetex s.r.l.;
– non sussistere attualmente alcuna separazione tra i presunti due appartamenti, neppure avendo la parte. attrice chiesto di provare per testi la rimozione dell’asserita preesistente struttura di frazionamento;
– doversi escludere la residenza in loco di G.N., padre dell’attore invece residente all’epoca in abitazioni in *****, emergendo la residenza dell’attore nell’appartamento solo dal 09/02/1989;
– non potersi desumere alcun elemento a favore delle tesi attrici da sentenza del t.a.r. di annullamento di ordinanza di demolizione di opere abusive, stante il carattere indistinto dell’ordine in essa formulato;
– non emergere dagli atti esistenza ed entità dei danni subiti dalla Cinetex s.r.l. per effetto dell’iniziativa processuale di G.V..
2. Adita da G.V. con citazione avviata alla notifica il 22/01/2013, la corte d’appello di Napoli, nel contraddittorio della Cinetex s.r.l., ne ha dichiarato inammissibile il gravame ex art. 348-bis c.p.c. con ordinanza depositata il 16/05/2013 comunicata all’appellante in pari data.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza del tribunale G.V. in base a dieci motivi illustrati da tempestiva memoria, cui ha resistito la Cinetex s.r.l. con controricorso, anch’esso illustrato da tempestiva memoria e da una “nota di deposito in replica” depositata il dì antecedente la pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Al ricorso (esteso su n. 62 pagine, oltre allegati per ulteriori p. 110, cui corrisponde un controricorso su n. 91 pagine) il ricorrente premette una rubrica (pp. 15 e 16) menzionante “motivi di impugnazione della sentenza di 1^ grado per violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1158 c.c. e degli artt. 89, 113, 115, 116, 221 e 228 c.p.c., nonchè errore di diritto stante la esclusione della possibilità per la parte di avvalersi, del mezzo della confessione giudiziale e della prova testimoniale in relazione al thema decidendum, difetto o quanto meno insufficienza di motivazione”.
2. A detta premessa seguono poi capitoli indicativi di motivi di ricorso, ciascuno preceduto da una intitolazione soltanto numerica (“1^ motivo”, “2^ motivo”, ecc.), cui segue una critica – non òcontenente riferimenti ad alcuno dei parametri di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, – alla sentenza impugnata; compare poi, per ciascun asserito motivo, un paragrafo intestato “indicazione delle circostanze che determinano violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione della causa”, anch’esso di regola contenente una discussione giuridica, essendo esso privo, però, di indicazioni specifiche di norme violate; infine compare un paragrafo, sempre per ciascun motivo, intitolato “modifiche che si sollecitano con il… motivo”.
3. Con il primo motivo si deduce che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe escluso il sussistere del possesso sulla base del rilievo che il frazionamento non risulta in catasto; si argomenta, che le risultanze catastali non rivestono alcuna valenza probatoria.
4. Con il secondo motivo si denuncia che il giudice del merito erroneamente avrebbe ritenuto che dai contratti di locazione non si potesse desumere il dedotto frazionamento.
5. Con il terzo motivo si lamenta l’errore di valutazione in cui sarebbe incorso il tribunale nel dare rilevanza all’insussistenza della residenza anagrafica nell’immobile da parte di G.N..
6. Con il quarto motivo si assume l’ulteriore erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui si è ritenuto che gli atti di alienazione dell’immobile non contenessero alcun riferimento al frazionamento e che in essi l’immobile fosse indicato in modo unitario.
7. Con il quinto motivo si deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui si è rilevato che nelle relazioni estimative l’appartamento sarebbe stato sempre indicato in maniera unitaria.
8. Con il sesto motivo si lamenta come erronea la valutazione operata dal giudicante nel senso che l’immobile sarebbe stato oggetto di accesso da parte di pubblici ufficiali nominati dal tribunale, che avrebbero riferito di una struttura unitaria e non frazionata.
9. Con il settimo motivo si denuncia l’avere il tribunale erroneamente evidenziato che l’attore non avrebbe chiesto di provare tramite testimoni la rimozione della struttura di separazione ipotizzata come esistente; si sostiene essere diversamente articolato l’onere probatorio.
10. Con l’ottavo motivo si assume erronea la statuizione con cui il tribunale ha rilevato che il contratto di locazione risalente nel 1976 farebbe anch’esso emergere l’unitarietà dell’appartamento.
11. Con il nono motivo si censura l’operato del giudice di merito, che non avrebbe valutato come offensive – ai fini dell’esercizio dei poteri d’ufficio – alcune frasi contenute nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica della controparte.
12. Con il decimo motivo – privo di argomentazioni – si rileva meramente che “l’accoglimento del ricorso dovrà comportare la riforma della sentenza di 1 grado quanto alle spese di lite”.
13. Ciò posto, va premesso in diritto che il ricorso per cassazione, avendo a oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass., sez. U, n. 17931 del 24/Ó7/2013).
14. Posto dunque che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità, nonchè esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie previste, sicchè sono inammissibili critiche generica della sentenza impugnata. Nel caso di specie, invece, pur dopo una ricerca all’interno del testo dei motivi tesa a rinvenire non necessariamente precise indicazioni delle categorie cui le censure fossero riferibili nel quadro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ma almeno dati sufficientemente univoci per risalire ad una delle categorie stesse, non risulta comunque possibile enucleare, per ciascun motivo tra quelli dal primo all’ottavo, alcuna delle ipotesi indicate. In definitiva il ricorso è articolato su motivi che esulano da quelli tassativamente indicati nel codice di rito.
15. Nè può valere a soddisfare il requisito dell’esistenza di motivi di ricorso nella forma necessitata di cui si è detto la promiscua intitolazione “motivi di impugnazione della sentenza di 1 grado per violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1158 c.c. e degli artt. 89, 113, 115, 116, 221 e 228 c.p.c., nonchè errore di diritto stante la esclusione della possibilità per la parte di avvalersi del mezzo della confessione giudiziale e della prova testimoniale in relazione al thema decidendum, difetto o quanto meno insufficienza di motivazione”, premessa a mò di esordio di tutti gli asseriti motivi sopra riepilogati. Trattasi infatti di una indistinta elencazione di vizi, non riconducibili con chiarezza ad alcuna specifica parte dei motivi successivamente enunciati, noto essendo invece che l’esposizione cumulativa delle questioni non è consentita in quanto mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse; essendo viceversa statuito che la formulazione debba permettere di cogliere con chiarezza le doglianze cumulate, se prospettate in maniera tale da consentirne l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. n. 19443 del 23/09/2011 e sez. U n. 9100 del 06/05/2015).
16. Quanto poi in particolare ai motivi, come sopra descritti, numerati da 1^ a 10^, al di là dell’assenza di specifici riferimenti alle categorie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve rilevarsi quale che ne sia l’inquadramento – che con essi la parte ricorrente, in sostanza, sottopone alla corte di legittimità una inammissibile istanza di revisione di valutazioni di fatto, prevalentamente probatorie, rientranti nel sovrano apprezzamento del giudice del merito e non sindacabili in sede di legittimità neppure più per vizi di motivazione, dopo che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ha ridotto al minimo costituzionale dell'”omesso esame” il relativo controllo, neppure invocato nel caso di specie.
17. I motivi predetti, dunque, condividendosi le argomentazioni svolte in sede di discussione dal procuratore generale, vanno considerati inammissibili.
18. Quanto, poi, al nono motivo, lo stesso, ove implichi una censura alla sentenza del tribunale per violazione dell’art. 89 c.p.c., è anche per altra via inammissibile. Invero, come è pacifico in giurisprudenza (v. ad es. Cass. n. 6439 del 17/03/2009 e n. 10517 del 28/04/2017), il provvedimento di cancellazione delle espressioni sconvenienti od offensive, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., riveste una funzione meramente ordinatoria, avente rilievo esclusivamente entro l’ambito del rapporto endoprocessuale tra le parti, e ha contenuto di puro merito, per cui la corte di cassazione è competente ad ordinare la cancellazione delle espressioni contenute nei soli scritti ad essa diretti, con la conseguenza che è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si chieda – come nel caso di specie – la cancellazione delle frasi che, in tesi, sarebbero contenute in atti delle fasi processuali anteriori, essendo riservata la relativa statuizione al potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità.
19. Il decimo motivo, privo di argomentazioni a supporto, non può inoltre considerarsi tale in quanto costituisce una mera volizione in ordine al regime delle spese processuali, più che una deduzione in giudizio.
20. Dovendo, in definitiva, complessivamente dichiararsi inammissibile il ricorso, per non riconducibilità di alcuno dei motivi che lo sorreggono al modello legale, può esimersi la corte dall’esaminare in dettaglio questioni di inammissibilità di altra tipologia, quali quelle sottoposte dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso per mancanza di esposizione sommaria dei fatti o per mancata deduzione delle ragioni specifiche in ordine al vizio di motivazione nel caso di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5. Resta altresì esentata questa corte, di conseguenza, dal valutare l’ammissibilità delle produzioni documentali effettuate da parte ricorrente con memoria e, al di fuori dei termini, da parte ricorrente con “nota di deposito”.
21. Segue a quanto innanzi la condanna del ricorrente alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 4.
P.Q.M.
La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 5.000 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018
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