Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26521 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9102/2014 proposto da:

M.P., e P.S.F., elettivamente domiciliati in Roma, via Germanico 172, presso lo studio dell’Avvocato LUIGI PANICI e rappresentati e difesi dall’Avvocato FRANCESCO DI CIOLLO per procure speciali a margine della prima e della seconda pagina del ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.L., elettivamente domiciliata in Roma, via Tazio Nuvolari 252, presso lo studio dell’Avvocato PASQUALE NARDO, che la rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5253/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 4/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 18/4/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

Con citazione del 3/10/1991, P.L. conveniva in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, il fratello P.F.S., proponendo domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di compravendita del 18/7/1989, avente ad oggetto un appartamento in *****, al quale il convenuto, a suo dire, rifiutava di dare esecuzione pur avendo già ricevuto il prezzo pattuito pari a Lire 20.000.000. Il convenuto, dal suo canto, eccepiva che il bene non era nella sua disponibilità in quanto facente parte della comunione familiare con la moglie M.P., la quale interveniva in giudizio chiedendo l’annullamento del contratto preliminare ai sensi dell’art. 184 c.c..

P.L., con citazione del 13/4/1992, conveniva ulteriormente in giudizio P.F.S. chiedendo la risoluzione del contratto con il quale, in data 28/10/1989, aveva venduto allo stesso una quota, pari al 50%, di un appartamento in *****, con box auto. L’attrice, in particolare, deduceva: di essere divenuta comproprietaria, insieme al fratello, a seguito della morte della madre, sia dell’appartamento di *****, che di quello di *****; che, per risolvere questioni ereditarie pendenti, avevano stipulato, in data 18/7/1989, il compromesso per la vendita da parte del fratello alla stessa attrice dell’appartamento di ***** e il compromesso per la vendita al fratello e alla di lui moglie M.P. del 50% dell’appartamento in *****; che i due trasferimenti erano tra loro collegati e finalizzati a realizzare una permuta tra di due beni sicchè, tenuto conto dell’inadempimento da parte del fratello in ordine al trasferimento della proprietà di *****, doveva essere risolto anche il contratto di vendita dell’immobile di *****.

Riuniti i giudizi, il tribunale di Roma, con sentenza del 19/7/2001, dichiarava l’inammissibilità della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare relativo all’immobile di ***** e, ritenuto che gli obblighi reciprocamente assunti dalle parti integrassero una permuta, dichiarava risolto per inadempimento dei convenuti il contratto di vendita relativo a *****.

P.F.S. proponeva appello. M.P. spiegava appello incidentale facendo proprie le richieste del marito.

P.L., a sua volta, proponeva appello incidentale per l’accoglimento della sua domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare relativo all’appartamento di *****, e la condanna del fratello al risarcimento dei danni.

La corte d’appello di Roma, con sentenza del 6/6/2007, accoglieva l’appello principale e rigettava l’appello incidentale di P.L., dichiarando la validità del contratto di compravendita relativo a ***** e l’inefficacia del contratto preliminare relativo a *****, condannando P.F.S. a restituire a P.L. la somma di Lire 10.000.000 pagata per l’appartamento di ***** il 18/7/1989, e condannando P.L. al pagamento delle spese di entrambi i gradi.

La corte d’appello, in particolare, riteneva che: nell’atto di vendita di ***** si dava atto che il prezzo dovuto da S.F. era stato pagato per intero; quanto al preliminare per *****, S.F. aveva riconosciuto di avere ricevuto dalla sorella Lire 10.000.000; dagli atti non risultava la volontà di concludere una permuta e non poteva desumersi dai preliminari, non essendo all’uopo sufficiente l’identità della data di stipulazione; erano di scarso pregio le testimonianze dei testi I., figli di primo letto del coniuge della P., i quali avevano riferito della presenza della moglie di S.F. al momento della stipula di entrambi i preliminari di vendita; per la mancata sottoscrizione del preliminare da parte del coniuge in comunione dei beni, non era possibile ottenere l’esecuzione coattiva del preliminare e il consenso tacito del coniuge non era rilevante per la necessità dell’atto scritto per la validità dei negozi traslativi di diritti immobiliari.

P.L. proponeva ricorso per la cassazione della sentenza, al quale resistevano P.F.S. e M.P..

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 12923 del 2012, accoglieva il primo motivo di ricorso e, per l’effetto, cassava, in relazione al motivo accolto, la sentenza, con rinvio alla corte d’appello anche ai fini delle spese.

La Corte, in particolare, per quanto ancora rileva – dopo aver evidenziato che la ricorrente, con il primo motivo, lamentando la “violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 180, 184 e 2932 c.c.”, aveva censurato il rigetto dell’appello incidentale dalla stessa proposto in ordine alla domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare del 18/7/1989 avente ad oggetto l’immobile di via Regina, sul rilievo che: – in caso di bene in comunione legale tra coniugi, ciascuno dei coniugi può disporre dell’intero e l’eventuale mancanza di consenso dell’altro coniuge espone il contraente soltanto all’azione di annullamento da parte del coniuge dissenziente; – nel caso di specie, il coniuge asseritamente pretermesso era stato presente alla stipulazione dell’atto, manifestando il proprio consenso; – inoltre, dal giorno della sottoscrizione della scrittura, avvenuta alla presenza del coniuge, era decorso il termine prescrizionale annuale per l’esercizio dell’azione di annullamento prevista dall’art. 184 c.c. – testualmente rilevava che “la domanda (reiterata con l’appello incidentale) di esecuzione in forma specifica del contratto è stata respinta dalla Corte di Appello senza alcuna pronuncia di annullamento del contratto preliminare per mancanza del consenso del coniuge (domanda che pur risulterebbe proposta dalla M.: v. pag. 4 della sentenza di appello), ma semplicemente sulla base dell’affermazione per la quale “la circostanza che la M. non abbia sottoscritto il preliminare di vendita dell’immobile… del quale era divenuta proprietaria per essere stato acquistato in regime di comunione dei beni… esclude… che il promissario acquirente abbia diritto ad ottenere l’esecuzione coattiva del preliminare stipulato da un solo dei coniugi, non potendo, questi, disporre della quota”. Nella sentenza si sostiene, in sostanza, che per il trasferimento del bene occorrerebbe il formarsi di un’unica volontà negoziale in capo ad una (in questo caso la parte costituita dai due coniugi in comunione dei beni) delle parti del contratto, data l’unicità e la inscindibilità del bene in comunione e che, quindi, il coniuge stipulante avrebbe potuto cedere la propria quota, ma non cedere anche quella del coniuge non stipulante; nel caso concreto, non poteva essere trasferita con sentenza costitutiva la sola quota del coniuge stipulante in quanto si sarebbe modificata la volontà negoziale…. Risulta pertanto evidente la violazione dei principi di cui agli artt. 180 e 184 c.(p.)c., e, in generale, dei principi relativi agli atti di disposizione di beni della comunione legale perchè la Corte territoriale ha applicato alla comunione legale i diversi principi che regolano la comunione ordinaria e che non si applicano nell’ipotesi di comunione legale tra coniugi. La Corte di Appello non ha considerato che la comunione legale tra coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei; ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non può disporre della propria quota, ben può disporre dell’intero bene comune (contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata), mentre il consenso dell’altro coniuge si configura come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c., nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione…. In particolare, come ha avuto occasione di chiarire questa Corte a S.U. (Cass. S.U. 24/8/2007 n. 17952…) il consenso del coniuge pretermesso non è atto autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c., comma 1, dunque, si riferisce non ad un caso d’acquisto inefficace perchè a non domino, bensì ad un caso d’acquisto a domino in base ad un titolo viziato. Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del coniuge non era sufficiente per la declaratoria di nullità del contratto, dovendosi esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell’atto. L’art. 184 c.c., infatti, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace nè nei confronti dei terzi, nè nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell’art. 184 c.c., comma 1, ed è solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione…”.

La Corte, quindi, ha annullato la sentenza impugnata affermando il principio che “per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c. (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento) nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione”.

P.L. riassumeva il giudizio, chiedendo, in via principale, di accogliere la domanda ex art. 2932 c.c., di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo in relazione all’immobile sito a *****via Regilla*****, con conseguente ordine di essere immessa nel possesso del bene e di ordinare la trascrizione della sentenza, e di condannare il fratello al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del mancato godimento dell’immobile ed a norma dell’art. 96 c.p.c.; in via subordinata, di condannare il fratello alla restituzione della caparra corrisposta ed, in ogni caso, di condannare P.F.S. e M.P. alla restituzione della somma versata a titolo di spese di giudizio, liquidate nella sentenza cassata, con interessi legali e rivalutazione monetaria.

P.F.S. e M.P., a loro volta, riassumevano il giudizio chiedendo di accertare e dichiarare che non era intervenuto, da parte della M., alcun consenso, neppure tacito, al predetto contratto preliminare, di accertare e dichiarare la tempestività e la validità dell’azione di annullamento promossa ex art. 184 c.c.,dalla M.; e, per l’effetto, dichiarare la nullità del contratto preliminare di compravendita del 18/7/1989 avente ad oggetto l’immobile di *****, confermando, per il resto, le ulteriori statuizioni contenute nella pronuncia cassata.

La corte d’appello, riuniti i giudizi, con sentenza del 4/10/2013, ha dichiarato prescritto il diritto di M.P. ad ottenere l’annullamento del contratto preliminare di compravendita relativo all’appartamento sito a *****via Regilla*****, piano terra, distinto al NCEU del Comune di Roma, al foglio *****, p.lla 231 sub 1, ha disposto, a norma dell’art. 2932 c.c., l’esecuzione in forma coattiva dell’obbligo di contrarre assunto da P.F.S. e M.P. mediante sottoscrizione del predetto contratto preliminare ed ha, per l’effetto, disposto il trasferimento di proprietà di detto immobile da P.F.S., in regime di comunione legale dei beni con la moglie M.P., in favore di P.L., ordinando a P.F.S. e M.P. di immettere immediatamente P.L. nel possesso di tale bene nonchè la trascrizione della sentenza. La corte ha, invece, respinto le domande risarcitorie avanzate da P.L. ed ha condannato P.F.S. e M.P., in solido tra loro, a restituire a P.L. la somma loro corrisposta a titolo di spese legali, in adempimento della sentenza di appello cassata, oltre interessi dalla data del pagamento al soddisfo. La corte, infine, ha condannato P.F.S. e M.P., in solido tra loro, a rifondere a Letizia P. le spese di tutti i gradi di giudizio, con distrazione in favore dell’Avvocato Nardo.

La corte d’appello, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver premesso che l’oggetto del giudizio di rinvio sono le contrapposte domande delle parti relative all’immobile di *****, oggetto del contratto preliminare di compravendita del 18/7/1989, e cioè, rispettivamente, la domanda di esecuzione in forma specifica, avanzata a norma dell’art. 2932 c.c., da P.L., e la domanda di annullamento del contratto, svolta da M.P. ai sensi dell’art. 184 c.c., ha ritenuto che “risulta dimostrato, sulla base dell’istruttoria esperita in primo grado (testi I.M. e I.L., escussi all’udienza del 13/10/1994), che M.P. era stata presente alla redazione ed alla sottoscrizione dei due contratti preliminari redatti in data 18/7/1989 dai fratelli P.”, non valendo a confutare “la genuinità delle deposizioni il rapporto di filiazione tra i testi ed il marito di P.L., essendo stata la questione dibattuta e risolta dal giudice istruttore, che li ha ammessi a deporre, non ravvisando alcuna incompatibilità con l’ufficio di testimone”. D’altra parte, “il fatto poi che i testi medesimi siano stati allegati a sospetto dalla difesa di P.S. e dalla M. appare circostanza priva di rilievo, non risultando i testi nè essere stati denunciati, nè tanto meno condannati per falsa testimonianza”, sicchè, “in assenza di elementi di segno opposto idonei ad incrinare la genuinità delle deposizioni ed a rendere le stesse inattendibili, deve quindi ritenersi che la prova orale abbia consentito di dimostrare l’assunto di P.L., secondo cui la M. fu personalmente presente alla redazione ed alla sottoscrizione del preliminare”. Da ciò deriva, ha proseguito la corte, da un lato, che il diritto della M. ad ottenere l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 184 c.c., si era prescritto, in quanto il termine annuale per esperire l’azione di annullamento decorre dalla conoscenza effettiva dell’atto da parte del coniuge pretermesso ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione, e, dall’altro lato, che era fondata la domanda di emissione della sentenza costitutiva dell’obbligo di contrarre avanzata da P.L. sicchè, in accoglimento dell’appello incidentale dalla stessa proposto, ha riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale ha dichiarato l’inammissibilità della domanda proposta a norma dell’art. 2932 c.c..

La corte, poi, ha accolto la domanda con la quale la P. ha chiesto la restituzione delle spese legali corrisposte al fratello ed alla cognata in forza della sentenza cassata.

La corte, infine, ha ritenuto che, in base al principio della soccombenza, P.F.S. e M.P. dovessero essere condannati, in solido tra loro, a rifondere a P.L. le spese di tutti e tre i gradi di giudizio, con distrazione in favore dell’Avvocato Nardo, rilevando, al riguardo, che “la pretesa azionata da P.L. nei confronti del fratello (paralizzata dall’intervento volontario della cognata M.P.) era ab initio meritevole di accoglimento, anche perchè sebbene non potesse ravvisarsi una permuta tra i due contratti preliminari in ogni caso mediante gli stessi i due fratelli avevano inteso regolamentare la successione materna” ma “mentre P.L. ebbe a dar seguito nel 1989 alla propria obbligazione di trasferimento immobiliare, il fratello non vi ha ancora adempiuto”, per cui ” M.P. e P.S. vanno ritenuti soccombenti e vanno condannati in solido tra loro a rifondere a P.P. le spese di tutti i gradi di giudizio…”.

P.F.S. e M.P., con ricorso notificato il 4.7/4/2014, hanno chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

Ha resistito P.L. con controricorso notificato il 9.12/5/2014.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., il vizio di motivazione per omessa applicazione del principio di diritto statuito in funzione del motivo svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il limite del giudicato interno, l’illogicità della motivazione e la violazione del principio dispositivo, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che fosse stato dimostrato, sulla base dell’istruttoria esperita in primo grado, che M.P. era stata presente alla redazione ed alla sottoscrizione dei due contratti preliminari redatti in data 18/7/1989 dai fratelli P., trascurando, così, di considerare che l’accertamento in fatto circa la presenza o meno della M. al momento della stipula del preliminare era precluso al giudice di rinvio. La P., infatti, hanno osservato i ricorrenti, aveva a suo tempo proposto ricorso per la cassazione della sentenza della corte d’appello, limitandosi a censurare per violazione e/o falsa applicazione del comb. disp. degli artt. 180, 184 e 2932 c.c., il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare del 18/7/1989, erroneamente ritenuto inesigibile perchè stipulato da uno solo dei due coniugi comproprietari del bene, senza, tuttavia, contestare la sentenza nella parte in cui la corte d’appello, per lo scarso pregio delle confuse e generiche deposizioni dei testi I., figli di primo letto del coniuge della P., aveva ritenuto indimostrata la presenza della M. alla stipula dei due preliminari. E poichè, hanno aggiunto i ricorrenti, la Corte di cassazione, nel cassare con rinvio la sentenza della corte d’appello, aveva accolto soltanto il primo motivo di ricorso, che deduceva una violazione e/o falsa applicazione del comb. disp. degli artt. 180, 184 e 2932 c.c., e non un vizio o una carenza e/o una contraddittorietà della motivazione, il giudice di rinvio era tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti già acquisiti al processo.

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione di norme di diritto in relazione al superamento del limite di giudicato interno, la contraddittorietà della motivazione per erronea interpretazione e travisamento di fatti e degli atti di causa, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che fosse stato dimostrato, sulla base dell’istruttoria esperita in primo grado, che M.P. era stata presente alla redazione ed alla sottoscrizione dei due contratti preliminari redatti in data 18/7/1989, laddove, in mancanza di un’espressa impugnazione di tale accertamento da parte della P., in occasione del ricorso per cassazione, per vizio di motivazione, il giudice di rinvio non poteva procedere ad una nuova valutazione delle prove, svolta, peraltro, travisando fatti ed atti di causa. Contrariamente a quanto assunto dal giudice del rinvio, infatti, hanno osservato i ricorrenti, non può dirsi provata, tramite l’escussione dei testi I.M. e L. la presenza della M. alla stipula del preliminare relativo all’immobile di *****.

3. Il primo ed il secondo motivo, che per la loro connessione devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Questa Corte, in effetti, ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio di intangibilità (Cass. n. 17353 del 2010; Cass. n. 26241 del 2009; Cass. n. 20981 del 2015). La cassazione di una sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), tuttavia, consente al giudice di rinvio, sia pur nell’ambito delle conclusioni precedentemente assunte dalle parti, l’accertamento del fatto e la libera valutazione delle prove già raccolte tutte le volte in cui la sentenza rescindente imponga l’esame di un thema decidendum non affrontato ovvero rimasto assorbito in occasione del primo giudizio (Cass. n. 10037 del 2001; Cass. n. 24064 del 2008; Cass. n. 11716 del 2014). Nel caso di specie, la corte d’appello di Roma, con la sentenza del 6/6/2007 – alla quale la Corte, trattandosi di error in procedendo, accede direttamente – nel rigettare la domanda di esecuzione in forma specifica proposta da P.L. relativamente al preliminare stipulato in data 18/7/1989, ha dichiarato “l’inefficacia” di tale contratto sul rilievo che, a causa della mancata sottoscrizione dello stesso da parte del coniuge pretermesso in comunione dei beni, non era possibile ottenerne l’esecuzione coattiva, con la conseguenza che tutte le questioni relative all’annullamento di tale contratto per difetto di consenso della M. ed alla prescrizione della relativa azione per decorso del termine annuale previsto dall’art. 184 c.c. (compresa, evidentemente, quella relativa alla presenza della M. alla stipulazione del predetto preliminare), sono rimaste, sia pur implicitamente, assorbite. Ne consegue che, quando la Corte di cassazione ha annullato la predetta sentenza, sul rilievo che “per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge” e che “la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c. (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento) nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione”, il giudice di rinvio ha potuto (ed anzi: dovuto) senz’altro procedere all’accertamento dei fatti (ed alla valutazione delle relative prove), come la decorrenza del termine annuale dell’azione di annullamento, che, per quanto esposto, erano rimasti estranei alle statuizioni della corte d’appello ed ai relativi presupposti logico-giuridici. Nè la valutazione che di tali prove aveva a suo tempo fatto la corte d’appello nella sentenza del 6/6/2007, poi cassata con rinvio (“… di scarso pregio e rilievo appaiono le confuse e generiche deposizioni dei testi I., figli di primo letto del coniuge della P., in ordine alla presenza della M. al momento della stipula dei due preliminari di vendita…”), può ritenersi, in mancanza di un’esplicita impugnazione con il ricorso per cassazione, preclusiva di un’autonoma e differente valutazione da parte del giudice di rinvio (“risulta dimostrato, sulla base dell’istruttoria esperita in primo grado (testi I.M. e I.L., escussi all’udienza del 13/10/1994), che M.P. era stata presente alla redazione ed alla sottoscrizione dei due contratti preliminari redatti in data 18/7/1989 dai fratelli P.”): sull’accertamento compiuto dal primo giudice, infatti, non si è formato alcun giudicato, il quale, invero, non si determina sul “fatto” (ed, a maggior ragione, sulle relative prove e la relativa valutazione) ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia (nella specie: quella relativa alla domanda di esecuzione in forma specifica proposta dalla P.), con la conseguenza che l’impugnazione proposta con riguardo anche ad uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato apre il riesame sull’intera questione che essa identifica ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame. Ne consegue che, una volta che la sentenza così impugnata sia stata, come nella specie, cassata con rinvio nella parte in cui aveva ritenuto l’inefficacia del contratto preliminare di ***** e respinto la domanda ex art. 2932 c.c., avanzata dalla P., il giudice del rinvio poteva senz’altro procedere, relativamente alla domanda oggetto delle statuizioni cassate, all’accertamento dei corrispondenti fatti e delle relative prove: tanto più in un caso, come quello di specie, in cui la valutazione della corte d’appello in ordine alle testimonianze rese dai I. circa la presenza della M. al momento della stipula del preliminare invocato dalla P., risulta essere stata resa non con riferimento alla domanda di esecuzione in forma specifica proposta da quest’ultima, rigettata per l’assorbente motivo del rifiuto della M. quale comproprietaria rimasta estranea alla sua stipulazione, ma con riguardo alla domanda di accertamento della permuta tra l’appartamento di ***** e quello di ***** in ragione del collegamento tra i relativi contratti preliminari (v. la sentenza del 6/6/2007, p. 12: “l’intento di porre in essere un contratto di permuta non risulta in alcun modo esplicitata nè può desumersi da specifici elementi insiti nei detti contratti preliminari. Mentre di scarso pregio e rilievo appaiono le confuse e generiche deposizioni dei testi I., figli di primo letto del coniuge della P., in ordine alla presenza della M. al momento della stipula dei due preliminari di vendita, deve rilevarsi che detti preliminari non contengono elementi da cui desumere tra gli stessi un collegamento tale da renderli costitutivi di un unico contratto di permuta, se non la circostanza temporale della sottoscrizione degli stessi nel medesimo giorno”). Per il resto, i motivi in esame, per come formulati, finiscono per involgere gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e si risolvono, pertanto, in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Ed è noto, invece, che non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta, nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, invero, dopo aver affermato che “risulta dimostrato, sulla base dell’istruttoria esperita in primo grado (testi I.M. e I.L., escussi all’udienza del 13/10/1994), che M.P. era stata presente alla redazione ed alla sottoscrizione dei due contratti preliminari redatti in data 18/7/1989 dai fratelli P.”, ha coerentemente ritenuto, da un lato, che il diritto della M. ad ottenere l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 184 c.c., si era prescritto, in quanto il termine annuale per esperire l’azione di annullamento decorre dalla conoscenza effettiva dell’atto da parte del coniuge pretermesso, e, dall’altro lato, che la domanda di emissione della sentenza costitutiva dell’obbligo di contrarre avanzata da P.L. era fondata.

4. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del comb. disp. degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione agli esiti dei tre gradi di giudizio, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha condannato P.F.S. e M.P. a rifondere a P.L. le spese di tutti i gradi di giudizio nonchè a restituire a quest’ultima le spese legali dalla stessa corrisposte al fratello ed alla cognata in forza della sentenza cassata, senza tener conto del fatto che, nel giudizio di legittimità, è stata accolta l’impugnazione proposta dai ricorrenti quanto all’inesistenza della permuta ed al trasferimento dell’immobile di *****, le cui questioni sono rimaste estranee al giudizio di rinvio.

5. Il motivo è infondato. Questa Corte, infatti, ha ritenuto che, in tema di liquidazione delle spese, per la ipotesi di cassazione della sentenza, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, deve attenersi al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio e al loro risultato (Cass. n. 2634 del 2007; conf. Cass. n. 19345 del 2014), com’è accaduto nel caso di specie, dove la corte d’appello, quale giudice di rinvio, ha ritenuto che ” M.P. e P.S. vanno ritenuti soccombenti e vanno condannati in solido tra loro a rifondare a P.P. le spese di tutti i gradi di giudizio…” sul rilievo che “la pretesa azionata da P.L. nei confronti del fratello (paralizzata dall’intervento volontario della cognata M.P.), era ab initio meritevole di accoglimento, anche perchè sebbene non potesse ravvisarsi una permuta tra i due contratti preliminari in ogni caso mediante gli stessi i due fratelli avevano inteso regolamentare la successione materna” ma “mentre P.L. ebbe a dar seguito nel 1989 alla propria obbligazione di trasferimento immobiliare, il fratello non vi ha ancora adempiuto”.

6. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e SG nella misura del 15%. Dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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